Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda risarcitoria avanzata da un soggetto che sosteneva di aver subito un infortunio mentre, al termine del turno di lavoro, stava tornando a casa in bicicletta.
In particolare, il soggetto in questione deduceva di essere stato colpito da un motociclo, chiedendo la condanna dell’INAIL ad “erogargli le prestazioni di cui all'art.13 d.lgs. n. 381/2000”.
La Corte d’appello, tuttavia, aveva ritenuto che il danneggiato “non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un'iniezione alla suocera) per fare ricorso al mezzo privato, e poiché il percorso da coprire, benchè non coperto da mezzi pubblici, era di soli cinquecento metri doveva quindi ritenersi che l'uso dei mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (7,5), mentre l'utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentasse un aggravamento del rischio rispetto all'andare a piedi, tanto più nel mese di gennaio quando si era verificato l'infortunio”.
Avverso tale pronuncia, il danneggiato proponeva ricorso in Cassazione.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello non aveva dato corretta applicazione all’art. 12 d.lgs. 381/2000, in quanto, nel caso di specie, “l'uso della bicicletta per recarsi al lavoro” doveva considerarsi “incluso nella tutela assicurativa”, in considerazione della “necessità protetta dall'ordinamento di favorire spostamenti che riducano costi economici, ambientali e sociali”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente.
Osservava la Cassazione, infatti, che l'art.12 del d.lgs. 381/2000, ha aggiunto un ultimo comma agli artt. 2 e 210 del testo unico n. 1124/65, in base ai quali “salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti”.
Pertanto, con tale disciplina, “la tutela assicurativa gestita dall'INAIL è stata estesa all'infortunio che accada al lavoratore lungo il percorso che collega l'abitazione al lavoro e viceversa”, ampliando “la tutela a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa a luogo di lavoro, escludendo qualsiasi rilevanza all'entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto”.
Nel caso in esame, dunque, secondo la Cassazione, la Corte d’appello non aveva correttamente applicato i principi sopra enunciati.
Il giudice di secondo grado, infatti, aveva motivato la propria decisione facendo riferimento unicamente al “criterio della distanza che separa l'abitazione dal luogo di lavoro (peraltro considerata in unico senso di percorrenza)”.
Invece, “la distanza, tanto più quando venga in considerazione l'utilizzo della bicicletta, non può essere ritenuto in assoluto un criterio selettivo da solo sufficiente ad individuare la necessità dell'uso del mezzo privato”.
Secondo la Cassazione, in particolare, “l’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro” doveva essere “valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore (…), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l'utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (….), alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell'ordinamento e rivolta all'incentivazione dell'uso della bicicletta”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso presentato dal danneggiato, annullando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Corte d’appello affinchè la medesima decidesse in base ai principi sopra riportati.