Tale comportamento processuale può influire nella valutazione e nella decisione del giudice?
Il Tribunale di Milano, con una sentenza del 6 marzo 2015, si è occupato proprio di questa questione, fornendo alcune precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dal Tribunale, la moglie aveva agito in giudizio al fine di ottenere la pronuncia della separazione personale dal marito, chiedendo che la stessa fosse addebitata al marito, dal momento che lo stesso aveva abbandonato, senza motivo, il tetto coniugale.
La moglie chiedeva, inoltre, l’affidamento esclusivo dei figli, l’assegnazione della casa coniugale, nonché la condanna del marito al pagamento di un assegno mensile, a titolo di contributo nel mantenimento proprio e dei figli minori.
Il marito, tuttavia, decideva di non partecipare nemmeno al giudizio, rimanendo “contumace”.
Il Tribunale di Milano, giunto al momento della pronuncia, riteneva di dover accogliere la domanda di separazione proposta dalla moglie, dal momento che le risultanze processuali dimostravano inequivocabilmente come la convivenza tra i coniugi fosse divenuta “intollerabile”, come previsto dall’art. 151 codice civile.
Osserva il Tribunale, come, ai fini della pronuncia della separazione, il giudice debba verificare “in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile la convivenza”.
Laddove, poi, tale situazione di “intollerabilità” possa dirsi verificata, “anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto”.
Nel caso di specie, dunque, secondo il Tribunale, “già il ricorso della moglie e il contegno processuale assunto dal marito, rimasto contumace, hanno reso evidente che le parti non hanno più intenzione di considerarsi marito e moglie, per effetto di un rapporto di coniugo disgregato dai fatti intervenuti nel tempo”.
In altri termini, ciò significa che, nella valutazione dell’intollerabilità della convivenza e dei presupposti richiesti dalla legge per la pronuncia della separazione, assume rilevanza anche il comportamento processuale tenuto dai coniugi, con la conseguenza che la contumacia di uno, può essere ritenuta indice del venir meno di un qualsiasi rapporto di affezione tra i coniugi, contribuendo, quindi, a giustificare l’accoglimento della domanda di separazione.
Peraltro, nel caso di specie, il Tribunale riteneva meritevoli di accoglimento anche le altre domande proposte dalla moglie, dichiarando l’addebito della separazione al marito (il quale si era allontanato, ingiustificatamente, dalla casa coniugale, abbandonando moglie e figli), disponendo l’affidamento esclusivo dei figli alla moglie (in quanto il marito si era completamente disinteressato delle esigenze dei figli), assegnando alla moglie la casa coniugale (in quanto alla moglie erano stati assegnati in via esclusiva i figli, i quali, dunque, dovevano risiedere presso di lei) e ponendo a carico del marito l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di euro 600, a titolo di contributo nel mantenimento dei figli minori nati durante il matrimonio (importo che viene ritenuto congruo, considerando che i figli sono stati affidati esclusivamente alla madre, la quale dovrà costantemente occuparsi degli stessi).
Non viene accolta, invece, la domanda di contributo al mantenimento dalla moglie, dal momento che la stessa non aveva fornito la prova che le sue sostanze economiche non le consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui godeva in costanza di matrimonio e non aveva provato nemmeno una disparità di redditi tra lei e il marito.