Al fine di comprendere l’approdo della Suprema Corte, occorre però prima di tutto ricordare sinteticamente quando ricorre il pregiudizio in esame nonché in cosa consistano le escluse tabelle milanesi.
Orbene, il danno da perdita del rapporto parentale consiste un pregiudizio non patrimoniale subito dai congiunti (compresi i conviventi e i soggetti legati da profondi vincoli affettivi) di una persona deceduta in conseguenza di un fatto ingiusto altrui, i quali possono agire iure proprio per chiederne il risarcimento. Va ricordato che la giurisprudenza ormai è pacifica nel riconoscere la risarcibilità di siffatto pregiudizio in quanto il fatto dell’ingiusto decesso del congiunto lede valori costituzionalmente e convenzionalmente tutelati quali l’intangibilità della sfera degli affetti e la stabilità del rapporto familiare (artt. 2 Cost., 29 Cost. e 8 Cedu).
Quanto invece alle c.d. Tabelle di Milano, può ricordarsi che quello tabellare è un meccanismo introdotto dalla prassi pretoria originariamente con riferimento al danno biologico, in base al quale ad un certo grado di invalidità medico legale si attribuisce un punto, che varia a seconda del grado di vari parametri. A questo punto, si collega un quantum di risarcimento, suscettibile poi di personalizzazione.
La natura di tali tabelle, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, è paranormativa, costituendo esse un uniforme e prevedibile criterio guida, integrativo dell’equità ex art. 1226 c.c., per il giudice che deve liquidare il danno non patrimoniale.
Con la recente sentenza, tuttavia, la Suprema Corte boccia nettamente il citato criterio di liquidazione.
Per gli Ermellini, infatti, le Tabelle di Milano, pur essendo ad altri fini un valido strumento di liquidazione del danno, non sono adatte con riferimento a quello da perdita del rapporto parentale perché in relazione ad esso non seguono il meccanismo del punto, ma si limitano ad individuare un tetto minimo e un tetto massimo, senza predeterminare criteri utili a stabilire, entro il range indicato, l’importo esatto da liquidare.
V’è pertanto – come si legge nella sentenza in parola – la necessità di ricorrere a tabelle diverse fondate sul meccanismo del punto variabile: tali tabelle, cioè, devono valorizzare espressamente, con l’attribuzione di uno specifico punteggio, una serie di circostanze concrete indefettibili (tra le quali il grado di parentela e la convivenza e l’età della vittima e del congiunto sopravvissuto), salva poi la possibilità di personalizzazione alla luce delle peculiarità della singola fattispecie allegate.
Nel caso di specie, in particolare, si trattava della domanda giudiziale di risarcimento del danno avanzata dagli eredi di un signore deceduto a causa di un errore medico.
Il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda attorea, condannando il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della moglie e dei figli della vittima. Per la liquidazione dei singoli importi, in particolare, il giudice di prime cure aveva valorizzato il grado e il rapporto di parentela di ogni soggetto, la convivenza e l’età del deceduto.
Avverso tale pronuncia era proposto appello in relazione al quantum del risarcimento riconosciuto: la Corte distrettuale, tuttavia, rigettava l’impugnazione valorizzando la circostanza per cui gli eredi, pur avendo chiesto che la liquidazione del danno avvenisse non sulla base alla clausola generale di liquidazione equitativa del danno ma sulla scorta delle tabelle meneghine, non avevano assolto all’onere di produrle in giudizio.
Questa sentenza è quindi stata oggetto di ricorso e la Suprema Corte – pur accogliendo la censura relativa alla non necessità di produrre in giudizio le comunemente adottate Tabelle di Milano e altresì la doglianza relativa all’arbitrarietà della quantificazione del danno – l’ha cassata, precisando che nel giudizio di rinvio il giudice dovrà liquidare il danno sulla base di una tabella diversa da quella di Milano che sia rispettosa dei requisiti necessari, sopra esaminati.