Con la
sentenza in commento, la Cassazione interviene sulla
qualificazione giuridica del fatto di un uomo che, dopo aver concesso in uso a una donna, per tre giorni, un appartamento di cui aveva la disponibilità, si era introdotto nell’immobile (usando la propria copia delle chiavi) ed aveva sottratto la valigia della donna.
Egli infatti sosteneva che, avendo conservato le chiavi dell'immobile, ne aveva mantenuto anche la
detenzione e, pertanto, la donna non aveva la disponibilità esclusiva dell’appartamento.
La Suprema Corte ha nettamente smentito tale interpretazione. concludendo per la manifesta infondatezza del ricorso.
Ricordiamo che, per il codice penale, commette furto in abitazione “
chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”. La
pena base prevista è la
reclusione da tre a sei anni congiunta con la
multa da euro 927 a euro 1.500, e [def ef=reato perseguibile d'ufficio]si procede d'ufficio[/def].
In primo luogo, la Corte ribadisce la nozione di “
privata dimora”, rilevante ai sensi dell'art. 624bis c.p., che deve intendersi come “
ogni luogo in cui vengono svolti, in maniera non occasionale, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”, con ciò richiamando espressamente la definizione data dalle
Sezioni Unite con
ordinanza n. 31345/2017).
La concessione in uso di un appartamento, anche se per un periodo limitato di tempo - prosegue la sentenza in esame - impone al
proprietario, al possessore o al detentore l'obbligo di astenersi da ogni attività che costituisca ingerenza nella sfera di
godimento dell'usuario. Infatti l'accordo intercorso tra le parti rende esclusivo il
godimento concesso.
Ciò si verifica anche quando il concedente abbia conservato (come avviene nella prassi) una copia delle chiavi dell'immobile, dal momento che la possibilità materiale di entrare - precisa la Corte - non equivale alla sua liceità giuridica.