Cass. civ. n. 19125/2006
La revoca del fallimento, ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del giudice, lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso del termine di prescrizione dei relativi crediti, non rilevando in proposito il disposto dell'art. 21 legge fall., che si riferisce agli atti degli organi della procedura, non a quelli compiuti nei confronti di essa; né la revoca comporta l'estinzione della procedura fallimentare, con la conseguenza che trova applicazione la regola di cui al secondo comma dell'art. 2945 c.c., con la sospensione del corso della prescrizione, e non quella di cui al terzo comma della medesima norma, che fa salvo, nel caso di estinzione del processo, il solo effetto interruttivo prodotto dalla domanda giudiziale.
Cass. civ. n. 14471/2005
La domanda di ammissione al passivo fallimentare, come si evince dall'art. 94 legge fall., ha natura e funzione di vera e propria domanda giudiziale introduttiva di una attività cognitiva idonea a produrre il giudicato formale e sostanziale sui crediti insinuati. Ne consegue che é riservato al tribunale fallimentare, investito del reclamo avverso il decreto del giudice delegato di approvazione ed esecutività del piano di riparto, il compito di interpretare, in correlazione a detto provvedimento, il contenuto e le finalità della domanda di insinuazione allo stato passivo fallimentare e che le relative valutazioni soggiacciono, nel giudizio di legittimità, a un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e al riscontro di una motivazione coerente e logica. (Nella specie, in applicazione del principio affermato, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso un provvedimento con cui il tribunale, respingendo un reclamo proposto contro il decreto del giudice delegato dichiarativo dell'esecutività del piano di riparto finale, aveva ritenuto che l'avvenuta ammissione di un istituto di credito fondiario al passivo del fallimento “come da domanda, salvo conguaglio in sede di distribuzione, secondo le norme sul credito fondiario”, dovesse intendersi limitata al contenuto più propriamente postulatorio del ricorso ex art. 93 legge fall. e non estesa a quanto rappresentato in seguito nell'istanza circa il necessario modularsi del credito in dipendenza delle clausole contrattuali e delle disposizioni di legge sul credito fondiario, specie in punto di interessi legati alla garanzia ipotecaria, e che l'espressione adoperata dal giudice delegato si riferisse a possibili compensazioni con somme che il creditore fondiario avrebbe potuto riscuotere in sede di eventuale esecuzione individuale).
Cass. civ. n. 4217/2003
In caso di fallimento del datore di lavoro in base all'art. 2 della legge n. 297 del 1982 e al D.L.vo n. 80 del 1992 il Fondo di garanzia istituito presso l'Inps si sostituisce al datore di lavoro nel pagamento delle somme dovute rispettivamente a titolo di trattamento di fine rapporto o per crediti di lavoro diversi da quel trattamento. Il carattere sussidiario della relativa obbligazione non esclude la sua natura di obbligazione solidale (essendo essa relativa alla medesima prestazione della obbligazione principale) e comporta, altresì, che, per effetto dell'accollo legislativamente predisposto, l'originario debitore non viene liberato e il Fondo diviene suo condebitore solidale per i crediti dianzi menzionati, sicchè l'interruzione della prescrizione effettuata nei confronti del datore di lavoro ha effetto anche nei riguardi del Fondo. Ne consegue che la prescrizione del diritto a crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto deve considerarsi interrotta nei confronti del suddetto Fondo di garanzia qualora sia stata presentata dai lavoratori domanda di ammissione allo stato passivo nei confronti del datore di lavoro. Tale interruzione (decorrente dalla data di ammissione dei crediti al passivo) ha — in base ai principi generali applicabili in caso di presentazione di domande giudiziali nei confronti di debitori solidali sottoposti a procedura concorsuale — effetti permanenti fino alla data di chiusura della procedura stessa.
Cass. civ. n. 5663/2001
Dagli artt. 2 e 4 del D.L.vo n. 80 del 1992 — l'ultimo dei quali prevede uno specifico termine di prescrizione annuale identico, nella durata, a quello generalmente stabilito per i diritti alle prestazioni previdenziali di carattere temporaneo erogate dall'Inps — si desume inequivocamente che l'obbligazione del Fondo istituito presso l'Inps in base allo stesso D.L.vo n. 80 del 1992 per garantire il pagamento dei crediti di lavoro del datore di lavoro insolvente diversi dal TFR non ha natura retributiva ma previdenziale ed è, perciò, autonoma rispetto a quella del datore di lavoro (anche se l'oggetto di tale obbligazione è del tutto coincidente con l'obbligazione datoriale, essendo determinato per relationem con riferimento a quello che sarebbe stato il credito nei confronti del datore di lavoro, nella sua interezza e nel suo regime giuridico). Ne consegue che, non trattandosi di una unica obbligazione con pluralità di debitori, ma di distinte obbligazioni di diversa natura, non vengono in considerazione gli istituti propri della disciplina delle obbligazioni in solido e, in particolare per quanto riguarda la prescrizione, non si applica l'art. 1310 c.c. e, quindi, il termine prescrizionale annuale previsto dal citato D.L.vo n. 80 del 1992 non viene interrotto nei confronti del menzionato Fondo durante la procedura fallimentare a carico del datore di lavoro ex art. 94 della legge fallimentare (non potendo tale conclusione desumersi dalla circostanza che il Fondo è accollatario ex lege del debito del datore di lavoro).
Cass. civ. n. 14761/1999
Il termine di prescrizione previsto dall'art. 2 della legge n. 297 del 1982 per il pagamento del trattamento di fine rapporto da parte dell'apposito Fondo istituito presso l'Inps non è suscettibile di interruzione ex art. 94 della legge fallimentare nei confronti del Fondo medesimo durante la procedura fallimentare a carico del datore di lavoro. Infatti, dalla circostanza che il Fondo suddetto è accollatario ex lege del debito del datore di lavoro non può desumersi l'applicabilità dell'art. 1310 c.c. a differenza di quanto avviene per i debiti diversi da quello relativo al TFR del datore di lavoro insolvente disciplinati dal D.L.vo n. 80 del 1992, il quale ancorchè richiami la legge n. 297 del 1982, prevede una normativa che da questa si differenzia e, in particolare con riferimento alla prescrizione, prevede uno specifico termine annuale.
Cass. civ. n. 5606/1994
La prescrizione quinquennale del diritto al trattamento di fine rapporto — che la L. 29 luglio 1982, n. 297 configura (secondo quanto risulta anche dai relativi lavori preparatori) come forma di risparmio forzoso nei riguardi del lavoratore e di finanziamento imprenditoriale nei confronti del datore di lavoro — è suscettibile d'interruzione, ai sensi dell'art. 94 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, per effetto della domanda di ammissione al passivo del fallimento del datore di lavoro, cui l'art. 2 della citata legge sostituisce (in caso d'insolvenza) il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto istituito presso l'Inps; infatti, l'accollo (cumulativo) ex lege del relativo debito previsto da tale norma non muta, rendendola previdenziale, l'originaria natura del credito, che rimane quindi assoggettato, in tutte le sue vicende, anche fallimentari, e fino all'estinzione, alla disciplina dettata per i crediti di capitale.