Il bene giuridico oggetto di tutela è l'incolumità fisica del soggetto passivo, ovvero l'inviolabilità della libertà personale, oppure ancora la libertà di manifestazione del pensiero.
Trattasi di
reato proprio, in quanto può essere commesso solamente da persone avvinte da un particolare vincolo nei confronti del soggetto passivo.
L'
abuso è configurabile qualora vi sia un esercizio illecito di un potere riconosciuto dall'ordinamento. Per quanto riguarda il potere educativo e disciplinare in capo agli insegnanti, l'uso della violenza non può mai ritenersi né correttivo né educativo, per via del primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del
minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come si riteneva in passato, semplice oggetto di protezione.
Il reato è a
forma libera e si consuma tramite l'abuso di un qualsivoglia mezzo di correzione e di disciplina, e non rappresenta un'ipotesi di reato abituale, essendo la reiterazione dell'abuso una semplice modalità di manifestazione del reato.
Il reato diviene punibile qualora dal fatto derivi un
pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, concetto più ampio di quello enucleato in tema di lesioni personali (art.
582).
Qualora si verifichi un'effettiva malattia o la
morte del soggetto passivo, il secondo comma prevede l'applicazione di una
circostanza aggravante specifica. Inoltre, secondo la giurisprudenza, tale aggravante si applica anche qualora la morte derivi dal
suicidio del soggetto passivo, eziologicamente riconducibile all'abuso subito.
///SPIEGAZIONE ESTESA
La norma in esame punisce chi ecceda volontariamente nell'uso di mezzi correttivi o disciplinari, a cui faccia ricorso per esercitare la propria autorità correttiva o coercitiva, facendo insorgere il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente nei confronti del soggetto a lui sottoposto.
È un
reato proprio, in quanto soggetto attivo può essere soltanto chi eserciti un certa autorità verso un'altra persona, la quale può derivare da un rapporto di famiglia, di istruzione, di educazione, di cura, di vigilanza, di custodia o di esercizio di una
professione o di un'arte.
La
condotta tipica consiste, dunque, negli atti con cui il soggetto agente ecceda, nei confronti della persona da lui dipendente, per uno dei suddetti motivi, nell'uso di mezzi coercitivi o disciplinari che, se contenuti entro certi limiti, sarebbero del tutto legittimi.
Il
presupposto per la realizzazione della fattispecie in esame è, quindi, rappresentato dall'utilizzo di
mezzi di correzione, di per sé
leciti, il cui eccesso, però, li renda illeciti. Da ciò deriva che, qualora il mezzo usato fosse per sua stessa natura illecito, come, ad esempio, le sevizie o le minacce, non si potrebbe configurare il delitto in esame, ma ci si troverebbe di fronte ad una fattispecie di reato contro la persona.
È, altresì, essenziale che il fatto si verifichi nel
momento in cui il soggetto agente
eserciti la propria
autorità di correzione o di disciplina. Qualora tale rapporto non sussistesse, non si potrebbe configurare il delitto in esame ma, eventualmente, un'altra fattispecie. Non è, dunque, configurabile il reato di abuso dei mezzi di correzione qualora il soggetto passivo sia, ad esempio, il figlio maggiorenne, seppur convivente, non essendo esso più sottoposto alla
responsabilità genitoriale.
Il rapporto disciplinare può, peraltro, essere sia di diritto privato, come nel caso di quello derivante dall'esercizio della responsabilità genitoriale, sia di
diritto pubblico, si pensi, ad esempio, a quello intercorrente tra il direttore di un carcere e le persone in esso detenute. Nel caso in cui, però, il rapporto abbia la propria fonte nel diritto pubblico, l'art.
571 c.p. risulta applicabile soltanto se il fatto non integri un'altra fattispecie.
L'
oggetto materiale del reato è costituito dalle
persone sottoposte all'autorità del soggetto agente, o, comunque, a lui affidate per motivi di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, oppure per l'esercizio di una professione o di un'arte. Possono, pertanto, rientrare in tale concetto, ad esempio: il figlio soggetto alla responsabilità genitoriale, la persona soggetta a
tutela, l'allievo affidato al maestro, il dipendente soggetto a chi abbia su di lui un'autorità nell'esercizio di una professione o di un'arte.
Il reato di abuso dei mezzi di correzione si considera
consumato nel momento in cui si realizzi l'
evento tipico, rappresentato dall'insorgenza di un
pericolo di malattia nel corpo o nella mente del dipendente, conseguentemente alla condotta criminosa dell'agente. Non si potrà, dunque, considerare perfezionato il delitto in esame, né qualora il pericolo di malattia non sorga come conseguenza della condotta tenuta dal soggetto attivo, né nel caso in cui il mezzo da lui impiegato non sia tale da determinare un pericolo di malattia.
Non è, pertanto, configurabile il
tentativo, poiché, se sorge il pericolo il reato è consumato, e se esso manca, il fatto non è punibile
ex art.
571 c.p.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il
dolo generico, quale coscienza e volontà di tenere un certo comportamento, abusando nell'esercizio della propria autorità correttiva o disciplinare. L'evento di pericolo, dunque, sebbene prevedibile, non deve essere voluto dal soggetto attivo, poiché, in caso contrario, la propria condotta integrerebbe un delitto contro la persona, venendo meno
ab origine l'intento disciplinare.
Il reato risulta
aggravato, ai sensi del secondo comma, qualora, dalla condotta criminosa, derivi, come evento non voluto, una lesione personale o la morte del soggetto passivo.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA