(massima n. 1)
È manifestamente infondata — ai sensi degli artt. 26 comma primo della L. 11 marzo 1953, n. 87 e 9 comma secondo delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte cost. 16 marzo 1956 — la questione di legittimità costituzionale dell'art. 571 comma secondo c.p. sollevata in riferimento all'art. 3 comma primo Cost., sostenendo che il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio (anche) quando ne deriva una lesione personale lievissima (comma secondo), in tal caso punita con un terzo della pena del reato di lesione personale lievissima, mentre quest'ultimo delitto, nonostante la maggior gravità della sanzione, è perseguibile soltanto a querela di parte (art. 582, comma secondo). Ma nel nostro ordinamento giuridico penale, la perseguibilità d'ufficio non è necessariamente in relazione alla gravità del reato, quale si rivela con la misura della pena, ma, talvolta, si ricollega alla particolarità della fattispecie e del bene che con la condotta criminosa venga offeso. Nell'art. 571 il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio perché non si rimetta all'iniziativa dell'offeso, spesso un minore, o un minorato, o un dipendente, la punibilità di chi ha tradito la sua funzione di educatore o istruttore: motivo, questo, che basta ad escludere l'irrazionalità della norma. Allorquando dal reato derivi una lesione personale lievissima, la perseguibilità d'ufficio è connessa all'abuso e non alla lesione, che, fra l'altro, ne è conseguenza solo eventuale. Pertanto, la disparità di trattamento fra reato di abuso con lesioni personali lievissime e reato di lesioni personali lievissime è giustificata dalla disparità di situazioni, poiché, qualunque sia la misura della pena nei due casi, nell'uno c'è l'abuso e nell'altro no.