Cass. pen. n. 54015/2018
In tema di "aberratio delicti", l'evento non voluto è addebitabile all'agente solo a titolo di colpa, quando sia assolutamente diverso, cioè di altra natura rispetto a quello voluto, ma non quando di questo costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile, dovendo in tal caso l'agente rispondere, anche in relazione al secondo evento, a titolo di dolo, sia pure alternativo o eventuale.
Cass. pen. n. 19293/2015
In tema di aberratio delicti, l'evento non voluto è addebitabile all'agente solo a titolo di colpa, quando sia assolutamente diverso, cioè di altra natura rispetto a quello voluto, ma non quando di questo costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile, dovendo in tal caso l'agente rispondere, anche in relazione al secondo evento, a titolo di dolo, sia pure alternativo o eventuale.
Cass. pen. n. 16976/2003
Quando la condotta dell'agente sia consapevolmente diretta a realizzare un determinato evento, ma questo si verifica non per effetto di quella condotta, bensì di un comportamento sorretto dall'erroneo convincimento della già avvenuta produzione dell'evento, quest'ultimo non può essere imputato a titolo di dolo, se non sotto il profilo del delitto tentato, mentre l'ulteriore frammento della condotta può essere ascritto solo a titolo di colpa, ove il fatto da essa integrato sia previsto come delitto colposo. (Nella specie è stata censurata la sentenza di merito la quale aveva ritenuto configurabile l'omicidio volontario in capo a soggetti che, nel dichiarato intento di dare una «lezione» alla vittima della loro aggressione, le avevano provocato lesioni gravi e che, subito dopo, nell'erronea convinzione del già avvenuto e non voluto decesso, allo scopo di occultare il presunto cadavere, ne avevano dato alle fiamme il corpo, così cagionandone la morte)
Cass. pen. n. 175/1996
La disposizione dell'art. 83, comma 2, c.p., secondo la quale «se il colpevole ha cagionato, altresì, l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati», non trova applicazione qualora l'evento voluto sia configurabile come delitto tentato.
Cass. pen. n. 1129/1995
Nell'ipotesi, prevista dall'art. 586 c.p., di evento diverso che sia conseguenza non voluta di altro reato doloso, per errore dei mezzi di esecuzione o per qualsiasi altra causa, l'elemento soggettivo rispetto a tale evento è ravvisabile nella commissione stessa del reato doloso che si pone come ipotesi di colpa specifica. Ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo nel reato di cui all'art. 586 c.p. è, quindi, superflua un'indagine specifica sulla sussistenza in concreto di una colpa generica, essendo sufficiente quella circa la condotta esecutiva del reato doloso e circa l'assenza, nel determinismo eziologico dell'evento non voluto, di fattori eccezionali non imputabili all'agente e da costui non dominabili.
Cass. pen. n. 16264/1990
L'evento non voluto è valutabile ai sensi dell'art. 83 c.p. ed è, quindi, addebitabile all'agente a solo titolo di colpa, soltanto quando esso sia materialmente ed essenzialmente diverso da quello voluto. Qualora, invece, si tratti di un evento dolosamente voluto, anche se verificatosi con modalità diverse, il colpevole risponde a titolo di dolo dell'evento cagionato, al quale abbia comunque partecipato. (Fattispecie in tema di incendio sviluppatosi in anticipo perchè non era stata spenta, contrariamente a quanto concordato tra gli imputati, la fiamma del bruciatore della caldaia, su cui era stata versata della benzina per provocare poi dall'esterno il fuoco con apposito congegno elettronico).
Cass. pen. n. 3168/1989
L'evento non voluto è valutabile ai sensi dell'art. 83 c.p. ed è quindi addebitabile all'agente a solo titolo di colpa, soltanto quando sia assolutamente diverso e, cioè, di altra natura rispetto all'altro, perché, ove, invece, tale diversità sia da escludere - o perché l'evento verificatosi costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile di quello voluto, ovvero perché risulti di entità maggiore o più grave di quest'ultimo - anche il secondo evento va addebitato all'agente a titolo di dolo, sia pure alternativo od eventuale.
Cass. pen. n. 10961/1988
L'art. 116 c.p. non è norma speciale rispetto a quello dell'art. 83 c.p. in quanto mentre quest'ultima riguarda esclusivamente la posizione del colpevole che risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto allorché il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (cosiddetto aberratio delicti), la norma sul concorso anomalo riguarda la posizione del compartecipe, il quale risponde del reato più grave che sia stato realizzato dal concorrente o dai concorrenti in difformità dal programma criminoso concertato, sempre che tale fatto più grave sia ricollegabile a quello meno grave (e voluto) da un nesso di sviluppo logicamente prevedibile.
Cass. pen. n. 5250/1988
L'art. 116 c.p. assoggetta, nel quadro della maggiore pericolosità della delinquenza associata, la deviazione individuale dal piano concordato da parte di uno dei concorrenti, ad una disciplina più severa di quella predisposta dall'art. 83 stesso codice per la divergenza tra voluto e realizzato, che si verifica in regime di esecuzione monosoggettiva. Data la diversità esistente tra le situazioni disciplinate dalle due norme, l'art. 83, primo comma, c.p. può, atteso il carattere generale della disciplina dell'aberratio delicti, trovare applicazione anche nell'ambito della partecipazione criminosa, ogni qualvolta il reato diverso sia dall'esecutore materiale (o dagli esecutori materiali nell'ipotesi di esecuzione frazionata) commesso per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione o altra causa — purché non assistita dal coefficiente psichico della rappresentazione e della volontà — e di tale reato tutti i concorrenti rispondono a titolo di colpa, sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.
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Nel concorso di persone nel reato qualora accanto al reato non voluto venga realizzato anche quello concordato, tutti i concorrenti rispondono di entrambi i reati, secondo le regole dettate dall'art. 81 c.p. per il concorso formale e materiale dei reati, salvo la diminuzione della pena prevista per il concorrente che non volle il reato diverso e più grave. La diversità di disciplina che caratterizza l'aberratio delicti plurilesiva ex art. 83 secondo comma, e la deviazione individuale del piano concordato, disciplinato dall'art. 116, nell'ambito del concorso di persone e l'impossibilità di applicare alla ipotesi di realizzazione cumulativa la regola contenuta nel secondo comma dell'art. 83, si spiega considerando che nell'ipotesi di concorso, contrariamente a quanto avviene nella realizzazione monosoggettiva, il concorrente, che affida ad altri (o anche ad altri) il dominio dell'accadimento, necessariamente si rappresenta, in relazione anche alla natura del reato concordato, che taluno dei partecipi possa andare oltre i limiti dell'accordo o che prenda di sua iniziativa delle decisioni autonome per superare le difficoltà, che possono insorgere durante l'esecuzione dell'impresa criminosa. Di conseguenza, qualora il reato diverso, commesso dall'esecutore materiale, si prospetti come lo sviluppo logico e prevedibile dell'accordo criminoso, nell'evolversi delle situazioni umane, egli risponde anche di tale reato a titolo di dolo e la pena per esso prevista, è diminuita, ove il reato realizzato sia più grave.
Cass. pen. n. 1673/1986
L'art. 83 c.p. nel disciplinare l'ipotesi di «evento diverso da quello voluto dall'agente» stabilisce che qualunque sia in concreto nelle singole fattispecie il determinismo causale che dà luogo all'aberratio, l'evento non voluto può esser posto a carico dell'agente solo se dal comportamento di questi sia stato cagionato per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per qualsiasi altra causa. L'esistenza di una causalità materiale comunque verificatasi tra l'azione o l'omissione e l'evento diverso è sufficiente per giustificare l'addebitabilità di questo senza che sia necessaria la colpa, non potendosi identificare come ipotesi di colpa l'errore e le altre cause menzionate dall'art. 83 c.p. Elemento psicologico necessario per l'affermazione di responsabilità è il dolo del reato voluto, anche se la punibilità per il reato verificatosi è a titolo di colpa.
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La norma dell'art. 586 c.p. concerne una fattispecie diversa da quella dell'art. 83 c.p. alla quale non può essere ricondotta come ipotesi particolare perchè, mentre l'art. 83 c.p. ha per oggetto il caso in cui il comportamento diretto alla produzione di un evento ne cagioni un altro soggettivamente od oggettivamente diverso, l'art. 586 c.p. riguarda l'ipotesi in cui da un delitto doloso derivi come conseguenza ulteriore l'offesa alla vita e all'incolumità altrui, prescindendo dal nesso causale tra comportamento ed evento e riconducendo tale nesso unicamente alla necessità di un rapporto di conseguenzialità tra un delitto doloso e l'evento morte o lesioni. Le fattispecie regolate dalle predette norme si differenziano perciò non sotto il profilo psicologico (ricondotto in entrambe le ipotesi alla volizione dell'evento, e perciò del reato che si intendeva porre in essere), ma per la disciplina del nesso di causalità, ricondotto per l'art. 83 c.p., alla condotta dell'agente e per l'art. 586 c.p. solo ed esclusivamente al delitto voluto e commesso, indipendentemente dall'avere l'agente cagionato l'evento per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altre cause.
Cass. pen. n. 4754/1985
Nell'aberratio ictus i due eventi - il voluto e il non voluto - debbono essere caratterizzati dalla stessa natura del bene e interesse giuridico offeso; nell'aberratio delicti, invece, la detta uguaglianza tra i due eventi è esclusa, dovendo porsi a carico del reo un evento intrinsecamente diverso da quello voluto.
Cass. pen. n. 1352/1985
La norma di cui all'art. 586 c.p., che si ricollega alla regola generale esposta nell'art. 83 c.p., considera l'ipotesi di un delitto doloso diverso da quello di omicidio o lesione personale, che produca, come conseguenza non voluta, la morte o la lesione di una persona, sempre che tale evento non sia elemento costitutivo o circostanza aggravante del delitto doloso. Ne consegue che per l'applicazione dell'ipotesi normativa di cui all'art. 586 c.p. occorre che il secondo evento, morte o lesione personale, non sia stato voluto neppure indirettamente e cioè in presenza di dolo eventuale, ovverosia con l'accettazione del rischio dei risultati anche probabili del suo comportamento, da parte dell'agente.
Cass. pen. n. 4694/1983
Il delitto di omicidio preterintenzionale non è assimilabile all'omicidio da aberratio delicti, ma ai delitti aggravati dall'evento.
Cass. pen. n. 4144/1983
Nell'ipotesi prevista dall'art. 82 c.p., l'errore cade non sull'oggetto giuridico ma sull'oggetto materiale e l'evento si considera commesso in danno della persona che si voleva offendere; questa finzione favorisce il reo il quale risponde di un solo reato, quello consumato. Nel caso disciplinato dall'art. 83 c.p., invece, l'evento voluto è di natura diversa da quello cagionato, nel senso che non vi è omogeneità tra il bene giuridico che si voleva ledere e quello effettivamente leso; sicché il fatto realmente commesso va posto a carico dell'agente in base al principio della causalità psichica.
Cass. pen. n. 11169/1981
Il capoverso dell'art. 83 c.p. realizza un caso di concorso formale improprio, in cui, con una medesima azione od omissione, si perfeziona un'offesa dolosa ed un'offesa colposa a beni giuridici omogenei di due diversi soggetti passivi; offese equiparate sotto l'aspetto dell'elemento psicologico del reato, sul piano normativo, ma diverse su quelle naturalistico.