Cass. pen. n. 28524/2009
L'esame dell'"hard disk" di un computer in sequestro e la conseguente estrazione di copia dei dati ivi contenuti non sono attività che le parti possono compiere durante il termine per comparire all'udienza dibattimentale senza contraddittorio e alla sola presenza del custode, in quanto implicano accertamenti ed interventi di persone qualificate e l'utilizzo di appositi strumenti, sì che devono essere necessariamente svolti in dibattimento, nel contraddittorio, e sotto la direzione del giudice. (Rigetta, App. Bolzano, 03 aprile 2008).
Cass. pen. n. 12929/2007
In tema di sequestro probatorio, rientrano nella nozione di "cose pertinenti al reato" non solo quelle con un'intrinseca e specifica strumentalità rispetto al reato per il quale si procede, ma anche quelle indirettamente legate al reato e però necessarie all'accertamento dei fatti. (Fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto la legittimità del sequestro, come cosa pertinente al reato, di un indumento intimo dell'indagato - un paio di mutande -, che serviva per l'estrapolazione di tracce di DNA a scopo comparativo con i reperti). (Rigetta, Trib. Enna, 24 Maggio 2006).
Cass. pen. n. 5678/1996
Nel procedimento di camera di consiglio disciplinato dall'art. 127 c.p.p., pur non prevedendosi espressamente l'obbligo di deposito dei relativi atti, prima dell'udienza di discussione (come invece previsto, ad esempio, dagli art. 309 comma 8, 416 comma 2 e 466 c.p.p.), detto obbligo può agevolmente dedursi dal complesso della disciplina in questione, sol che si consideri come una diversa interpretazione renderebbe pressochè inutile sul piano fattuale la comunicazione anticipata della data d'udienza, peraltro prevista a pena di nullità, volta che a tale comunicazione non fosse correlato il corrispondente diritto della parte di prendere cognizione degli atti del procedimento; diritto che peraltro non comprende anche quello di estrarre copia dei detti atti, operando invece, a tale ultimo riguardo, la disciplina dettata dall'art. 116 c.p.p.
Cass. pen. n. 4421/1996
A norma dell'art. 253 c.p.p., la legittimità del sequestro probatorio postula che il vincolo di temporanea indisponibilità sia imposto soltanto ai beni qualificabili come corpo di reato o cose pertinenti al reato. La nozione di corpo di reato, definito dalla norma con una dizione che ripete, nella sostanza, quella relativa alla confisca - art. 240 c.p. comprende i "corpora delicti" ed i "producta sceleris", cioè cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l'azione delittuosa. La nozione di cose pertinenti al reato è necessariamente generica, invece, in quanto comprende tutte quelle "res" che sono in rapporto indiretto con la fattispecie concreta e sono strumentali, secondo i principi generali della libera prova e del libero convincimento del giudice, all'accertamento dei fatti. In tale dizione vanno ricomprese, quindi, le cose necessarie sia alla dimostrazione del reato e delle modalità di preparazione ed esecuzione, sia alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'"ante factum" e del "post factum", comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all'"iter criminis", purchè funzionali alla finalità perseguita, cioè all'accertamento del fatto e all'individuazione dell'autore. Consegue che l'obbligo di motivazione si traduce, sia per il p.m., in ordine al decreto di sequestro ed al decreto di convalida, sia per il giudice del riesame, nell'indicazione delle finalità preventiva o probatoria del sequestro e nella dimostrazione dell'esistenza del rapporto diretto o pertinenziale tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato. Poichè questo rapporto può essere dimostrato soltanto in concreto, la norma postula l'esigenza, non solo dell'indicazione delle norme violate, ma anche e soprattutto di specificazione della fattispecie.
Cass. pen. n. 3494/1990
Sebbene per effetto delle disposizioni di cui al 3° e 4° comma art. 82 delle norme di attuazione del nuovo c. p. p., sino all'entrata in vigore delle disposizioni regolamentari concernenti il loro deposito e la loro custodia, le cose sequestrate che pur andrebbero depositate nella segreteria del p. m. a norma dell'art. 259 di detto codice, sono invece depositate nella cancelleria della pretura o del tribunale, tuttavia tale disciplina non esclude che trattasi di cose che restano nella disponibilità del p. m.; ne consegue che tenuto a provvedere, tramite la stessa cancelleria o la polizia giudiziaria all'uopo incaricata, all'eventuale distruzione delle dette cose confiscate è il p. m. (nell'affermare il principio di cui in massima la cassazione ha rilevato che il 4° comma dell'art. 82 delle norme di attuazione impone alla cancelleria soltanto gli adempimenti previsti dal successivo art. 83 concernenti la vendita o distruzione delle cose deperibili, mentre d'altro canto, non contenendo alcun richiamo all'art. 86, porta a ritenere che competa appunto al p. m. direttamente la distruzione delle cose sequestrate e confiscate che vengono a trovarsi e restano nella sua disponibilità, anche se in attesa delle disposizioni regolamentari sono depositate nella cancelleria della pretura o del tribunale anziché nella segreteria del p. m.).