Partendo dall’illustrazione del flusso procedimentale relativo alla sospensione del procedimento con messa alla prova prima della fase tipicamente processuale, si prevede che – nella fase procedimentale – il
pubblico ministero possa formulare la proposta solo a partire dal momento in cui le
indagini preliminari possono ritenersi concluse (cioè: al momento della notifica dell’avviso previsto dall’art.
415 bis c.p.p.).
Tale scelta – apparentemente distonica rispetto a quanto prevede l’art.
464 ter c.p.p. per la richiesta di messa alla prova formulata durante le indagini preliminari dall’interessato – si giustifica sulla base di tre ragioni:
a) la avvenuta conclusione delle indagini preliminari garantisce la serietà del lavoro inquirente e scongiura il rischio di prassi che potrebbero giungere a svuotare di contenuti il principio di obbligatorietà dell’
azione penale e quello di completezza delle indagini preliminari;
b) la completezza delle indagini preliminari assicura la possibilità per la persona ad esse sottoposta di operare scelte processuali con piena cognizione di causa: se la sospensione del procedimento con messa alla prova postula il consenso dell’imputato, è di tutta evidenza che tale consenso – e con esso la rinuncia a contestare l’accusa (v.
Corte costituzionale, sentenza n. 91 del 2018, cit.) – deve potersi formare in modo pienamente consapevole (e, dunque, con piena cognizione degli elementi d’accusa potenzialmente pregiudizievoli alla persona sottoposta ad indagini);
c) la completezza delle indagini preliminari, infine, consentirà al
giudice per le indagini preliminari di assolvere – con piena cognizione di causa – alla sua funzione di controllo (sulla ammissibilità della richiesta in relazione alla
qualificazione giuridica del fatto proposta; sull’insussistenza di elementi che impongano il proscioglimento ai sensi dell’art.
129 c.p.p.; sulla idoneità della proposta di sospensione del procedimento messa alla prova a perseguire gli obiettivi di special-prevenzione che comunque appartengono alla
ratio dell’istituto).
Quanto allo schema procedimentale, all’esito delle indagini preliminari il pubblico ministero – con l’avviso previsto dall’art. 415
bis c.p.p. – può (e non “deve”) formulare una proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, indicando “
la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale”.
È opportuno sottolineare – quanto all’indicazione dei contenuti del programma trattamentale – che il pubblico ministero, nel formulare la proposta, potrà limitarsi ad indicare i contenuti essenziali del programma trattamentale (se, cioè, sia necessario un ristoro per la persona offesa; o, ad esempio, la tipologia di lavoro di pubblica utilità maggiormente confacente al caso in esame); il definitivo programma trattamentale, infatti, dovrà necessariamente essere elaborato con l’indispensabile apporto consensuale della persona interessata.
Relativamente a tale scansione procedimentale, si è ritenuto utile chiarire che il pubblico ministero – ove lo ritenga necessario – possa chiedere l’ausilio dell’Ufficio di
Esecuzione Penale Esterna (di seguito UEPE) per la formulazione della proposta (art. 464
ter.1, co. 1, ultimo periodo, c.p.p.).
Il coinvolgimento dell’UEPE in questa fase è solo eventuale, essendo opportuno non sovraccaricare tale ufficio di una serie di incombenti che rischierebbero di comprometterne la complessiva funzionalità.
Tuttavia, tale esplicita previsione è utile anche a promuovere un’attività di collaborazione tra procure della Repubblica e UEPE che potrebbe trovare espressione non solo nell’elaborazione di proposte di MAP dedicate al singolo procedimento, ma anche all’elaborazione di protocolli condivisi tra UEPE e Procura della Repubblica, capaci di offrire degli
standard di riferimento dai quali i pubblici ministeri potranno attingere nell’elaborare le proposte da formulare nei singoli casi individuali.
Si è altresì ritenuto opportuno prevedere – con finalità acceleratorie – che, in tal caso, l’UEPE debba fornire il proprio contributo entro trenta giorni (v. art.
141 ter, co. 1
bis disp. att. c.p.p.), con l’introduzione di un termine che, sebbene ordinatorio, deve comunque essere rispettato (arg. ex art.
124 c.p.p.).
La proposta di messa alla prova formulata dal pubblico ministero è formalizzata – e notificata alla persona sottoposta ad indagini – con l’avviso previsto dall’art. 415
bis c.p.p.
Ricevuta tale proposta, la persona sottoposta ad indagini deve – entro il termine di venti giorni – manifestare la propria adesione alla proposta del pubblico ministero. Si tratta dello stesso termine che l’art. 415
bis, co. 3, c.p.p. assegna alla persona sottoposta ad indagini per esercitare alcune scelte procedimentali (presentazione di memorie; formulazione di richieste di indagine; richiesta di
interrogatorio).
Entro tale termine, dunque, la persona sottoposta ad indagini deve manifestare la propria adesione alla proposta del pubblico ministero, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (con una forma di manifestazione del consenso che è coerente alle altre ipotesi di messa alla prova).
La manifestazione di adesione può essere depositata presso la segreteria del pubblico ministero anche con modalità telematica (v. art.
111 bis c.p.p.). È solo il caso di evidenziare che – laddove il pubblico ministero riesca ad elaborare una proposta di MAP coerente con le risultanze del procedimento e con il profilo soggettivo della persona sottoposta ad indagini – è probabile che essa incontri l’adesione dell’interessato ed è dunque possibile che l’istituto possa esercitare anche l’auspicabile effetto deflativo.
Ove, viceversa, il pubblico ministero formuli proposte di MAP che la persona sottoposta ad indagini reputa eccessivamente gravose, più limitato sarà il tasso di adesioni alla proposta formulata dal PM e, conseguentemente, significativamente inferiore sarà l’effetto deflativo dell’istituto, considerato che in tal caso il procedimento seguirebbe il suo corso ordinario.
In questo secondo scenario (proposte di MAP formulate dal PM eccessivamente “gravose”), tuttavia, nessun pregiudizio vi sarà sulla posizione della persona sottoposta a procedimento penale; quest’ultima, infatti, potrà comunque non aderire alla proposta del pubblico ministero e – nelle successive scansioni del procedimento – conserverà la facoltà di sottoporre all’attenzione del giudice una propria richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nelle forme già oggi previste.
Si ritiene che una delle possibili chiavi di successo della novità legislativa sia legata alla snellezza procedimentale e alla necessità di non gravare gli uffici del giudice per le indagini preliminari (già coinvolti da molte novità conseguenti alla riforma) di una serie di incombenze ulteriori e non indispensabili. In tale prospettiva, si è ipotizzato che l’ineliminabile vaglio del giudice per le indagini preliminari sulla proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa avvenire all’esito di un procedimento di natura cartolare; è comunque previsto che – laddove lo ritenga necessario – il giudice per le indagini preliminari possa fissare udienza camerale, ai sensi dell’art.
127 c.p.p. (art. 464-
ter.1, co. 6, c.p.p.).
Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell'imputato.
Non si ritiene che ciò determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla – per certi versi omologa – disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova richiesta nel corso delle indagini preliminari e disciplinata dall’art. 464
ter c.p.p.
Da un lato, perché la persona sottoposta ad indagini non vede in alcun modo preclusa la possibilità di chiedere la sospensione del procedimento secondo le modalità già oggi previste dagli artt. 464
bis e 464
ter c.p.p. Dall’altro lato, perché la procedura delineata nell’art. 464
ter.1 c.p.p. contenuta nella proposta del pubblico ministero postula comunque il consenso della persona interessata.
Inoltre, lo schema procedimentale proposto permette di superare alcuni aspetti disfunzionali previsti dalla disciplina oggi delineata dagli artt. 464
bis e 464
ter c.p.p. (cui, nella prassi, si è ovviato con protocolli e linee guida).
La procedura delineata nel nuovo art. 464
ter.1 c.p.p. contempla infatti il coinvolgimento nel procedimento degli UEPE solo quando vi è una prognosi concreta e plausibile di sospensione del procedimento con messa alla prova, così limitando il dispendio di risorse da parte di questo ufficio, cruciale per il successo della riforma.
Una volta ricevuta notizia della tempestiva adesione alla proposta di MAP da parte della persona sottoposta ad indagini, il pubblico ministero formula l’imputazione (in analogia a quanto prevede oggi l’art. 464
ter, co. 3, c.p.p.) e trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari, notificando alla
persona offesa dal reato l’esistenza di tale possibile sviluppo del procedimento, con avviso della possibilità di presentare memorie al giudice per le indagini preliminari entro un termine – necessariamente breve – di dieci giorni.
Il coinvolgimento della persona offesa in tale scansione del procedimento appare necessario, onde assicurare una adeguata possibilità di partecipazione al procedimento e, dunque, l’esercizio del diritto al
contraddittorio.
Il coinvolgimento della persona offesa, del resto, è previsto anche in tutte le altre ipotesi di sospensione del procedimento con messa alla prova (art.
464 quater, co. 1, c.p.p.) e non si vedono valide ragioni per escludere la partecipazione della persona offesa nel particolare procedimento ora in esame.
Nella procedura ordinaria che si è introdotta, il coinvolgimento della persona offesa è, in linea di massima, cartolare (salva l’ipotesi in cui il giudice non ritenga necessario fissare udienza ai sensi dell’art. 127 c.p.p.).
Del resto, la persona offesa non ha un “potere di veto” sulla possibile sospensione del procedimento con messa alla prova, ma solo il diritto di essere “sentita” e, quindi, di rappresentare il proprio punto di vista.
Che la rappresentazione del punto di vista della persona offesa possa avvenire non nel corso di un’udienza camerale, ma solo tramite memorie non è un inedito del nostro sistema processuale: si pensi alla facoltà assegnata alla persona offesa da reati a base violenta di presentare memorie in caso di richieste di revoca o sostituzione di misure cautelari (art.
299, co. 3, c.p.p.) o al contraddittorio cartolare che il legislatore ha delineato in materia di reclamo avverso il decreto di
archiviazione (art.
410 bis c.p.p.).
Il termine di dieci giorni indicato per la presentazione di memorie da parte della persona offesa è poi coerente con il termine dilatorio previsto dalla legge processuale per la celebrazione delle udienze in camera di consiglio (e, dunque, la persona offesa ha lo stesso lasso di tempo per esporre al giudice il proprio punto di vista sulla eventuale sospensione del procedimento con messa alla prova, benché diversa sia la forma di rappresentazione).
Ricevuti gli atti – e le eventuali memorie presentate dalla persona offesa – il giudice per le indagini preliminari deve procedere al vaglio della proposta di MAP formulata dal PM, cui abbia aderito la persona sottoposta ad indagini, oramai divenuto imputato.
La norma che si introduce contempla tre ipotesi:
a) il giudice per le indagini preliminari ritiene che la concorde richiesta di sospensione del procedimento debba essere respinta;
b) il giudice per le indagini preliminari ritiene che la concorde richiesta di sospensione del procedimento debba essere accolta;
c) il giudice per le indagini preliminari ritiene necessario acquisire ulteriori elementi utili alla decisione.
Il testo dell’art. 464-
ter.1, co. 4, c.p.p. prevede esplicitamente tre ragioni di possibile diniego della concorde richiesta di sospensione da parte del giudice per le indagini preliminari:
a) quando deve emettere
sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (e, in tal caso, il giudice penale emetterà la sentenza senza nemmeno fissare camera di consiglio, come avviene anche in materia di pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. in caso di richiesta di decreto penale; la sentenza sarà suscettibile di
ricorso per cassazione; cfr. Cass. Sez. U, 30.9.2010, n. 43055, rv. 248378-0 e Cass. Sez. U, 11.5.1993, n. 6203, rv. 193744-0);
b) quando ritiene che non possa essere formulata una prognosi favorevole in ordine al pericolo di
recidiva;
c) quando ritiene che il contenuto della proposta di MAP formulata dal PM e condivisa dall’imputato non sia idoneo alla luce dei criteri indicati dall’art.
133 c.p.
Vi sono poi due possibili motivi di reiezione della concorde richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova che non si è ritenuto necessario esplicitare e che qui possono essere comunque menzionati per completezza espositiva:
d) il giudice per le indagini preliminari può rigettare la concorde richiesta di MAP perché può non condividere la qualificazione giuridica data in imputazione al fatto (ad es.: in imputazione si ipotizza la violazione dell’art.
393 c.p., per cui la MAP è ammissibile; il GIP, esaminati gli atti, ritiene che il fatto debba essere qualificato come estorsione, per cui la MAP è inammissibile;
e) il giudice potrebbe ritenere che il fatto di reato ascritto all’imputato sia di particolare tenuità e, dunque, inquadrabile tra “
i fatti marginali che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo” (così delinea la
ratio della
causa di non punibilità Cass. Sez. U, 25.2.2016, n. 13681, rv. 266590-01); in tal caso, il giudice potrebbe ritenere non necessario – perché il fatto e l’agente non mostrano bisogno di pena – disporre la messa alla prova e, conseguentemente, restituire gli atti al pubblico ministero (che, a questo punto, potrebbe anche proporre richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto); questa ipotesi di rigetto non è stata esplicitata perché non considerata dalla legge delega; tuttavia, un simile sviluppo procedimentale è stato ritenuto conforme al sistema dalla giurisprudenza di legittimità in un caso per certi versi analogo (Cass. Sez. U, 18.1.2018, n. 20569. rv. 272715-0 ha escluso che il rigetto della richiesta di decreto penale con restituzione atti al PM per particolare tenuità del fatto costituisca indebita regressione procedimentale e come tale atto abnorme).
Una volta restituiti gli atti al pubblico ministero, l’ufficio requirente potrà assumere le determinazioni che ritiene più adeguate in ordine alle modalità di prosecuzione del procedimento (esemplificativamente: richiesta di archiviazione ex art.
131 bis c.p.; richiesta di fissazione di udienza preliminare o di emissione di decreto di giudizio immediato o di decreto penale di condanna; citazione diretta a giudizio).
Ove la concorde proposta delle parti di sospensione del processo con MAP non presenti profili problematici, il giudice per le indagini preliminari – sempre con procedura cartolare – può dare incarico all’UEPE di elaborare la proposta di MAP d’intesa con l’imputato (art. 464-
ter.1, co. 4, c.p.p.).
Al fine di evitare stasi del procedimento, si prevede che l’UEPE elabori il programma di intesa con l’imputato e lo trasmetta al giudice per le indagini preliminari entro novanta giorni (art. 464-
ter.1, co. 5, c.p.p.); si tratta di
termine ordinatorio (di cui è comunque doveroso il rispetto; v. art.
124 c.p.p.), che contempera le esigenze di celerità del singolo procedimento con quelle di “sostenibilità” per gli UEPE del complessivo carico di lavoro gravante su quegli uffici.
Una volta ricevuto il programma elaborato dall’UEPE, il giudice per le indagini preliminari – con ordinanza (e sempre senza fissare udienza) – dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il cui esito sarà valutato nelle forme già oggi previste dall’art. 464
quater e ss. c.p.p.
L’abbandono della procedura esclusivamente cartolare è previsto per il solo caso in cui il giudice per le indagini preliminari ritenga necessario chiarire alcuni aspetti della proposta avanzata concordemente dalle parti o del programma elaborato dall’imputato d’intesa con l’UEPE. In tali casi, il giudice per le indagini preliminari può fissare udienza camerale, da celebrare nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p. (art. 464
ter.1, co. 6, c.p.p.).
In quell’udienza camerale, la cui celebrazione è solo eventuale, il giudice per le indagini preliminari potrà acquisire informazioni utili ai fini della decisione e, eventualmente, acquisire il consenso dell’imputato ad integrare con alcuni contenuti del programma trattamentale. Ove, all’esito degli approfondimenti raccolti nell’eventuale udienza camerale, il giudice per le indagini preliminari ritenga percorribile l’alternativa della sospensione del processo con messa alla prova, egli provvederà ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 464
ter.1 c.p.p.; viceversa, ove il giudice ritenga non esservi spazio per tale procedimento speciale, provvederà a respingere la richiesta restituendo gli atti al pubblico ministero per l’ulteriore corso del procedimento.