Questa norma, a differenza della precedente, si occupa dell’accoglimento della
domanda in presenza delle condizioni prescritte dall’
art. 633 del c.p.c..
Il
giudice deve compiere una valutazione sommaria della fondatezza della domanda, facendo pur sempre applicazione delle normali regole processuali.
Secondo parte della dottrina, nello svolgimento della sua attività cognitiva il giudice dovrebbe limitarsi alla semplice verifica dell'esistenza di una delle
fonti di prova previste dalla legge, da intendersi quali mere condizioni di ammissibilità del procedimento, che in tal modo assurgerebbero al rango di prove legali.
Secondo altra tesi, invece, i documenti prodotti dal
ricorrente costituirebbero uno strumento per consentire al giudice, attraverso il suo libero convincimento, la doverosa cognizione sui fatti costitutivi del diritto azionato.
In ogni caso, appare incontestabile che la cognizione eseguita nella fase monitoria è di per sé sufficiente a consentire soltanto la pronuncia del
decreto ingiuntivo e non già a produrre immediatamente un accertamento vincolante sul diritto azionato, in quanto è necessario che il debitore ingiunto abbia conoscenza del provvedimento attraverso la sua notifica ex
art. 643 del c.p.c. e che decida di non opporsi.
E’ previsto che il decreto di accoglimento debba essere motivato, requisito che in genere viene soddisfatto
per relationem, con riferimento anche implicito ai motivi addotti dal ricorrente a sostegno della domanda (il decreto va notificato all’ingiunto unitamente al ricorso).
Sebbene la norma non preveda espressamente la possibilità di un accoglimento parziale della domanda, si ritiene tuttavia consentito che il decreto possa accogliere il ricorso in modo parziale, e ciò soprattutto all'esito del subprocedimento previsto dall' art. 640, 2° co., durante il quale è certamente immaginabile che il ricorrente possa rinunziare in parte alla pretesa inizialmente azionata.
In questo caso il ricorrente sarà tenuto egualmente a notificare il decreto di parziale accoglimento al fine di evitarne la caducazione che deriverebbe ex
art. 644 del c.p.c. per la parte di domanda accolta; tale notifica, tuttavia, non può intendersi come
acquiescenza al provvedimento per la parte di credito non accordata nel decreto stesso, la quale potrà essere chiesta in via riconvenzionale nell’eventuale giudizio di opposizione ovvero mediante altro giudizio monitorio.
Occorre, comunque, precisare che, poiché vigono anche nel rito monitorio i principi della domanda e di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, l'accoglimento parziale sarà consentito solamente quando non si possa individuare una volontà del creditore ricorrente di ottenere esclusivamente l'ingiunzione negli esatti termini, soggettivi ed oggettivi, da lui inizialmente indicati, volontà che potrà essere manifestata anche all'esito dei chiarimenti resi ex art. 640, 2° co.
Il termine di quaranta giorni a cui fa riferimento il primo comma della norma sostituisce il precedente termine di venti giorni ed è stato così modificato a seguito del d.l. n. 432/1995, convertito nella Legge n. 534/1995.
Tale termine ha carattere perentorio (come risulta dalla natura sostanzialmente impugnatoria dell’opposizione) ed il suo inutile decorso (senza che venga proposta opposizione) consente al decreto di acquistare
efficacia esecutiva.
La circostanza che la norma definisca l’avvertimento come “
espresso” induce a ritenere che la mancata indicazione nel decreto del termine di quaranta giorni dia luogo ad un caso di nullità del medesimo decreto.
Secondo una tesi più recente, invece, dovrebbe ritenersi implicitamente fissata la misura ordinaria di 40 giorni, poiché il termine stesso è previsto dalla legge, la quale attribuisce al giudice un potere d'intervento solo per procedere alla sua modifica.
Il secondo comma attribuisce al giudice il potere di aumentare o ridurre il termine dei quaranta giorni al ricorrere di
“giusti motivi”, sebbene costituisca oggetto di discussione se il termine più breve o più lungo così fissato rilevi solo ai fini dell’
adempimento dell’ingiunto o anche ai fini dell’opposizione.
La giurisprudenza si è di recente occupata della possibilità che vi sia una discordanza tra l'originale del decreto ingiuntivo e la copia notificata all'ingiunto, allorchè il primo rechi l'indicazione di un'abbreviazione del termine ordinario, non riportata sulla seconda, pervenendo alla conclusione che l'ingiunto ha diritto di proporre l'opposizione nel termine più ampio indicato nella copia notificatagli, corrispondente al tenore dell'ingiunzione da lui effettivamente ricevuta e dalla quale è dunque chiamato a difendersi.
L’inciso in parentesi quadra contenuto all’ultimo comma è stato introdotto dall’art. 2 della Legge 10.05.1976 n. 358. Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 303 del 31.12.1986 ha dichiarato l’incostituzionalità di tale norma proprio relativamente all’introduzione di quel periodo, in quanto non consente la liquidazione delle spese e competenze al ricorrente che abbia già un titolo esecutivo a proprio favore (pertanto, la liquidazione delle spese va effettuata anche quando il giudice emetta il decreto ingiuntivo sulla base di titoli già esecutivi, quale una cambiale).
Le spese liquidate nel decreto gravano sul debitore anche nell’ipotesi in cui questi abbia provveduto a pagare la somma ingiunta e pur se il pagamento sia stato effettuato in data anteriore alla notificazione del decreto.
Vanno pure poste a carico del debitore le spese della procedura legittimamente avviata che siano maturate fino al pagamento di tale somma, allorchè il pagamento non sia stata eseguito anteriormente alla emissione del decreto, ma dopo la domanda di ingiunzione.
Occorre precisare che il provvedimento di condanna al pagamento delle spese processuali:
-
è inevitabilmente connesso ad una precisa istanza del ricorrente, cui normalmente viene chiesto di allegare al ricorso un'apposita nota specifica, anche se l'art. 75 delle disp. att. c.p.c. (che si occupa proprio di tale nota) sembra riferirsi alle sole controversie da decidere con sentenza;
-
è ritenuta ammissibile la richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore del ricorrente, malgrado l'art. 93 del c.p.c. si riferisca letteralmente alle sole decisioni da emettere in forma di sentenza;
-
sono incompatibili con la disposizione in esame sia il secondo comma dell’art. 92 del c.p.c. (non si ritengono possibili soluzioni diverse dalla mera condanna dell'ingiunto) sia l’art. 96 del c.p.c. (l'assenza di contraddittorio impedisce di poter configurare le ipotesi di responsabilità processuale aggravata).
A seguito di opposizione, il giudice di tale fase deve liquidare le spese processuali sia del ricorso che del successivo giudizio di opposizione.
Per quanto concerne la correzione del decreto ingiuntivo, va detto che, sebbene gli artt.
287 e
288 si riferiscano letteralmente alla sola correzione delle sentenze, gli stessi possono trovare applicazione in via analogica anche al decreto ingiuntivo, di cui deve ritenersi ammissibile la correzione, a condizione che non sia stata già proposta l'opposizione.
Tale correzione va ritenuta ammissibile sia su istanza del creditore che del debitore (quest’ultimo, ad esempio, potrebbe avvalersi di tale istituto per ottenere una modifica dell’importo della condanna, qualora sia frutto di un
errore di calcolo).