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Articolo 641 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Accoglimento della domanda

Dispositivo dell'art. 641 Codice di procedura civile

Se esistono le condizioni previste nell'articolo 633, il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiunge (1) all'altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all'articolo 639 nel termine di quaranta giorni (2), con l'espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata.

Quando concorrono giusti motivi, il termine può essere ridotto fino a dieci giorni oppure aumentato a sessanta (3).Se l'intimato risiede in uno degli altri Stati dell'Unione europea, il termine è di cinquanta giorni e può essere ridotto fino a venti giorni. Se l'intimato risiede in altri Stati, il termine è di sessanta giorni e, comunque, non può essere inferiore a trenta né superiore a centoventi(4).

Nel decreto, eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni, il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento(5)(6).

Note

(1) La norma indica espressamente la sola ipotesi dell'accoglimento totale della domanda di ingiunzione, ma la dottrina ipotizza la possibilità di un accoglimento parziale della stessa. In tal caso, il ricorrente può agire separatamente o nell'eventuale giudizio di opposizione per chiedere la differenza.
Con d.lgs. 231/2002 sono state aggiunte le parole "da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso".
(2) Il termine di quaranta giorni è stato inserito dall'art. 8, comma 1, del d.l. 18-10-1995, n. 432, conv. in l. 20-12-1995, n. 534. Si tratta di un termine perentorio, come risulta dalla natura sostanzialmente impugnatoria dell'opposizione. Il suo decorso infruttuoso fa sì che il decreto acquisti efficacia di titolo esecutivo.
(3) Il primo periodo di questo comma è stato così sostituito dal Decreto legge 18 ottobre 1995, n. 432 convertito nella L. 20-12-1995, n. 534.
(4) L'ultimo periodo di questo comma è stato così sostituito dal Dlgs. 9 ottobre 2002, n. 231.
(5) La Corte Costituzionale, con sentenza 19-31 dicembre 1986, n. 303, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'inciso: "eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni".
(6) Si precisa che tali spese devono essere sostenute dal debitore anche nel caso in cui quest'ultimo abbia pagato la somma ingiunta, pur se il pagamento sia anteriore alla notificazione del decreto. Inoltre, il debitore sopporta le spese della procedura legittimamente avviata che siano maturate fino al pagamento della predetta somma, qualora il pagamento medesimo sia stato eseguito dopo la domanda di ingiunzione non anteriormente alla emissione del decreto. La liquidazione delle spese contenuta nel decreto viene superata dalla sentenza che decide sull'opposizione accogliendola. In questo caso, tale decisione ha l'effetto di revocare l'ingiunzione di pagamento che non rivive nel caso in cui la pronuncia del giudice d'appello, riformando la stessa sentenza di accoglimento, disponga unicamente in merito alle spese del secondo grado.

Spiegazione dell'art. 641 Codice di procedura civile

Questa norma, a differenza della precedente, si occupa dell’accoglimento della domanda in presenza delle condizioni prescritte dall’art. 633 del c.p.c..
Il giudice deve compiere una valutazione sommaria della fondatezza della domanda, facendo pur sempre applicazione delle normali regole processuali.
Secondo parte della dottrina, nello svolgimento della sua attività cognitiva il giudice dovrebbe limitarsi alla semplice verifica dell'esistenza di una delle fonti di prova previste dalla legge, da intendersi quali mere condizioni di ammissibilità del procedimento, che in tal modo assurgerebbero al rango di prove legali.
Secondo altra tesi, invece, i documenti prodotti dal ricorrente costituirebbero uno strumento per consentire al giudice, attraverso il suo libero convincimento, la doverosa cognizione sui fatti costitutivi del diritto azionato.

In ogni caso, appare incontestabile che la cognizione eseguita nella fase monitoria è di per sé sufficiente a consentire soltanto la pronuncia del decreto ingiuntivo e non già a produrre immediatamente un accertamento vincolante sul diritto azionato, in quanto è necessario che il debitore ingiunto abbia conoscenza del provvedimento attraverso la sua notifica ex art. 643 del c.p.c. e che decida di non opporsi.

E’ previsto che il decreto di accoglimento debba essere motivato, requisito che in genere viene soddisfatto per relationem, con riferimento anche implicito ai motivi addotti dal ricorrente a sostegno della domanda (il decreto va notificato all’ingiunto unitamente al ricorso).
Sebbene la norma non preveda espressamente la possibilità di un accoglimento parziale della domanda, si ritiene tuttavia consentito che il decreto possa accogliere il ricorso in modo parziale, e ciò soprattutto all'esito del subprocedimento previsto dall' art. 640, 2° co., durante il quale è certamente immaginabile che il ricorrente possa rinunziare in parte alla pretesa inizialmente azionata.
In questo caso il ricorrente sarà tenuto egualmente a notificare il decreto di parziale accoglimento al fine di evitarne la caducazione che deriverebbe ex art. 644 del c.p.c. per la parte di domanda accolta; tale notifica, tuttavia, non può intendersi come acquiescenza al provvedimento per la parte di credito non accordata nel decreto stesso, la quale potrà essere chiesta in via riconvenzionale nell’eventuale giudizio di opposizione ovvero mediante altro giudizio monitorio.

Occorre, comunque, precisare che, poiché vigono anche nel rito monitorio i principi della domanda e di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, l'accoglimento parziale sarà consentito solamente quando non si possa individuare una volontà del creditore ricorrente di ottenere esclusivamente l'ingiunzione negli esatti termini, soggettivi ed oggettivi, da lui inizialmente indicati, volontà che potrà essere manifestata anche all'esito dei chiarimenti resi ex art. 640, 2° co.

Il termine di quaranta giorni a cui fa riferimento il primo comma della norma sostituisce il precedente termine di venti giorni ed è stato così modificato a seguito del d.l. n. 432/1995, convertito nella Legge n. 534/1995.
Tale termine ha carattere perentorio (come risulta dalla natura sostanzialmente impugnatoria dell’opposizione) ed il suo inutile decorso (senza che venga proposta opposizione) consente al decreto di acquistare efficacia esecutiva.

La circostanza che la norma definisca l’avvertimento come “espresso” induce a ritenere che la mancata indicazione nel decreto del termine di quaranta giorni dia luogo ad un caso di nullità del medesimo decreto.
Secondo una tesi più recente, invece, dovrebbe ritenersi implicitamente fissata la misura ordinaria di 40 giorni, poiché il termine stesso è previsto dalla legge, la quale attribuisce al giudice un potere d'intervento solo per procedere alla sua modifica.

Il secondo comma attribuisce al giudice il potere di aumentare o ridurre il termine dei quaranta giorni al ricorrere di “giusti motivi”, sebbene costituisca oggetto di discussione se il termine più breve o più lungo così fissato rilevi solo ai fini dell’adempimento dell’ingiunto o anche ai fini dell’opposizione.
La giurisprudenza si è di recente occupata della possibilità che vi sia una discordanza tra l'originale del decreto ingiuntivo e la copia notificata all'ingiunto, allorchè il primo rechi l'indicazione di un'abbreviazione del termine ordinario, non riportata sulla seconda, pervenendo alla conclusione che l'ingiunto ha diritto di proporre l'opposizione nel termine più ampio indicato nella copia notificatagli, corrispondente al tenore dell'ingiunzione da lui effettivamente ricevuta e dalla quale è dunque chiamato a difendersi.

L’inciso in parentesi quadra contenuto all’ultimo comma è stato introdotto dall’art. 2 della Legge 10.05.1976 n. 358. Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 303 del 31.12.1986 ha dichiarato l’incostituzionalità di tale norma proprio relativamente all’introduzione di quel periodo, in quanto non consente la liquidazione delle spese e competenze al ricorrente che abbia già un titolo esecutivo a proprio favore (pertanto, la liquidazione delle spese va effettuata anche quando il giudice emetta il decreto ingiuntivo sulla base di titoli già esecutivi, quale una cambiale).

Le spese liquidate nel decreto gravano sul debitore anche nell’ipotesi in cui questi abbia provveduto a pagare la somma ingiunta e pur se il pagamento sia stato effettuato in data anteriore alla notificazione del decreto.
Vanno pure poste a carico del debitore le spese della procedura legittimamente avviata che siano maturate fino al pagamento di tale somma, allorchè il pagamento non sia stata eseguito anteriormente alla emissione del decreto, ma dopo la domanda di ingiunzione.

Occorre precisare che il provvedimento di condanna al pagamento delle spese processuali:
  1. è inevitabilmente connesso ad una precisa istanza del ricorrente, cui normalmente viene chiesto di allegare al ricorso un'apposita nota specifica, anche se l'art. 75 delle disp. att. c.p.c. (che si occupa proprio di tale nota) sembra riferirsi alle sole controversie da decidere con sentenza;
  2. è ritenuta ammissibile la richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore del ricorrente, malgrado l'art. 93 del c.p.c. si riferisca letteralmente alle sole decisioni da emettere in forma di sentenza;
  3. sono incompatibili con la disposizione in esame sia il secondo comma dell’art. 92 del c.p.c. (non si ritengono possibili soluzioni diverse dalla mera condanna dell'ingiunto) sia l’art. 96 del c.p.c. (l'assenza di contraddittorio impedisce di poter configurare le ipotesi di responsabilità processuale aggravata).

A seguito di opposizione, il giudice di tale fase deve liquidare le spese processuali sia del ricorso che del successivo giudizio di opposizione.

Per quanto concerne la correzione del decreto ingiuntivo, va detto che, sebbene gli artt. 287 e 288 si riferiscano letteralmente alla sola correzione delle sentenze, gli stessi possono trovare applicazione in via analogica anche al decreto ingiuntivo, di cui deve ritenersi ammissibile la correzione, a condizione che non sia stata già proposta l'opposizione.
Tale correzione va ritenuta ammissibile sia su istanza del creditore che del debitore (quest’ultimo, ad esempio, potrebbe avvalersi di tale istituto per ottenere una modifica dell’importo della condanna, qualora sia frutto di un errore di calcolo).

Massime relative all'art. 641 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 13594/2019

Il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo può rilevare d'ufficio l'inammissibilità dell'opposizione per inosservanza del termine prescritto dall'art. 641 c.p.c., solo se dagli atti emerga con certezza la tardività dell'opposizione in riferimento sia al "dies a quo", ossia alla data di notificazione del decreto, che al "dies ad quem", ossia alla data della relativa opposizione, ma, qualora sia noto soltanto il "dies ad quem", non può adottare analoga statuizione officiosa presumendo tale tardività in assenza di dati significativi e, segnatamente, addebitando all'opponente la mancata produzione della busta contenente il decreto notificato, in quanto recante la data di smistamento del plico presso l'ufficio postale, ma non anche quella di effettivo recapito al destinatario.

Cass. civ. n. 21671/2017

L'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c., deve ritenersi tempestiva anche se erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, qualora entro il termine previsto dall'art. 641 c.p.c., avvenga l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell'atto di citazione o di una copia di esso (cd. velina) purché, in quest'ultimo caso, segua poi il deposito dell'originale dell'atto.

Cass. civ. n. 15376/2016

La tempestività dell'opposizione, proposta da uno dei soci di una società di persone avverso un decreto ingiuntivo emesso a carico sia della società che dei singoli soci, deve essere determinata esclusivamente assumendo come "dies a quo" la data della notifica del provvedimento monitorio al socio opponente, a nulla rilevando, ai fini del computo del termine perentorio ex art. 641 c.p.c., la solidarietà passiva con la società e con gli altri soci.

Cass. civ. n. 8586/2013

Diversamente da quanto previsto nel procedimento d'ingiunzione, nel quale il giudice può aumentare o ridurre, ai sensi del secondo comma dell'art. 641 cod. proc. civ., il termine per proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo, non era soggetto a "ius variandi" il termine per l'opposizione avverso il provvedimento di liquidazione agli ausiliari del giudice previsto dall'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo applicabile anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 15 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

Cass. civ. n. 24858/2011

Il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo può rilevare d'ufficio l'inammissibilità dell'opposizione per inosservanza del termine prescritto dall'art. 641 c.p.c., solo se dagli atti emerga con certezza la tardività dell'opposizione in riferimento sia al "dies a quo", ossia alla data di notificazione del decreto, che al "dies ad quem", ossia alla data della relativa opposizione, ma, qualora sia noto soltanto il "dies ad quem", non può adottare analoga statuizione officiosa presumendo tale tardività in assenza di dati significativi e, segnatamente, addebitando all'opponente la mancata produzione della busta contenente il decreto notificato, in quanto recante la data di smistamento del plico presso l'ufficio postale, ma non anche quella di effettivo recapito al destinatario.

Cass. civ. n. 20585/2010

Nel termine stabilito dall'art. 641 c.p.c. per proporre l'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente deve eseguire soltanto la notificazione dell'atto di citazione all'opposto e non già provvedere anche all'iscrizione a ruolo della causa ed alla conseguente costituzione in giudizio.

Cass. civ. n. 8014/2009

L'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione e quindi soggetta al rito del lavoro deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte.

Cass. civ. n. 11867/2008

La tempestività della proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo deve essere determinata esclusivamente assumendo come dies a quo la data della notifica del provvedimento monitorio al debitore opponente, e nulla rilevando, ai fini del computo del termine perentorio, la solidarietà passiva con altri condebitori. Ne consegue che, atteso il carattere di autonomia che caratterizza l'obbligazione solidale, il debitore solidale non può avvalersi, ai fini della tempestività dell'opposizione, del diverso termine relativo al debitore principale al quale il decreto sia stato notificato in data successiva.

Cass. civ. n. 22502/2004

L'opponente a decreto ingiuntivo il quale non si sia tempestivamente costituito in giudizio può, ove il decreto non sia ancora stato dichiarato esecutivo, a norma dell'art. 647 c.p.c., a causa della mancata o tardiva costituzione, riproporre l'opposizione entro i termini di cui all'art. 641, primo e secondo comma, c.p.c., non essendo ciò vietato dall'art. 647 cit. (in conformità all'interpretazione datane dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 18 del 2002 e n. 141 del 1976) e, del resto, contrastando l'opposta soluzione con i principi di cui agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., nella misura in cui l'opponente si troverebbe privato, senza alcuna giustificazione connessa alle esigenze di celerità tipiche del procedimento monitorio, della possibilità di utilizzare pienamente il termine stabilito dalla legge per l'esercizio del diritto di opposizione, e ad essere giuridicamente trattato, senza alcuna ragionevole giustificazione, in modo diverso rispetto alle analoghe situazioni previste dagli artt. 358 e 387 c.p.c. (secondo i quali, nelle ipotesi di inammissibilità o improcedibilità rispettivamente dell'appello e del ricorso per cassazione, la preclusione della riproposizione dell'impugnazione anche in pendenza del relativo termine si verifica solo allorché l'inammissibilità o improcedibilità della precedente impugnazione sia stata già dichiarata dal giudice).

Cass. civ. n. 16455/2004

Il potere, attribuito al giudice dall'art. 641, secondo comma, c.p.c., di ridurre o aumentare il termine entro il quale il debitore può proporre opposizione al decreto ingiuntivo «se concorrono giusti motivi» non si sottrae all'obbligo di motivazione imposto, dal primo comma dello stesso articolo («con decreto motivato»), per l'emissione del provvedimento di ingiunzione se esistono le condizioni previste dall'art. 633 c.p.c. Tale obbligo di motivazione, come non impone al giudice l'esplicazione delle ragioni che hanno determinato l'accoglimento del ricorso, venendo di regola soddisfatto con rinvio ai motivi addotti dal ricorrente, che vengono portati a conoscenza del debitore ingiunto con la notifica dell'atto di ingiunzione, integrando per relationem il decreto stesso, così, per i motivi che consentono la modifica della durata del termine, ed anche le ragioni che li caratterizzano come «giusti» comporta che risultino enunciati nel provvedimento, quantomeno con rinvio, ancorché implicito, alle condizioni che ne giustificano la sussistenza, le quali devono esser specificamente rappresentate dal creditore nel testo del ricorso, sì che possa ritenersi che il giudice le abbia lette, vagliate e, quindi, accolte. La modifica del detto termine, infatti, costituente eccezione alla regola ordinaria che lo fissa in quaranta giorni, siccome destinata ad incidere, in ragione della sua perentorietà, sul diritto di difesa del debitore ingiunto, in tanto può essere disposta in quanto questi possa percepire l'esistenza dei giusti motivi che deviano in concreto il momento introduttivo del giudizio di cognizione dal suo modello astratto.

Cass. civ. n. 18744/2003

Ai sensi dell'art. 641, secondo comma, c.p.c., non è necessaria la espressa richiesta del creditore istante ai fini del legittimo esercizio da parte del giudice della facoltà di ridurre fino a dieci giorni il termine per proporre opposizione a decreto ingiuntivo in presenza di giusti motivi, atteso che in tutti i casi in cui il giudice è vincolato, nell'esercizio di un potere discrezionale, ad una espressa richiesta della parte, la norma espressamente condiziona l'esercizio di tale potere alla formulazione della richiesta; detto provvedimento, in difetto di una espressa previsione in tal senso, non è neppure soggetto all'obbligo di motivazione.

Cass. civ. n. 8334/2003

Alla stregua delle disposizioni degli artt. 641 e 645 c.p.c., il termine per proporre opposizione a decreto ingiuntivo è perentorio ed è determinato in via ordinaria in quaranta giorni decorrenti dalla notificazione del decreto. Il prolungamento di detto termine a sessanta giorni ha carattere di eccezione alla regola generale, e si rende possibile solo in presenza di questi motivi i quali devono essere preventivamente indicati nel ricorso per decreto ingiuntivo.

Cass. civ. n. 156/1999

La sottrazione delle controversie di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria alle norme sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale — che, prevista dall'art. 3 della legge n. 742 del 1969, opera in ogni fase concernente il processo del lavoro, stante lo scopo sollecitatorio perseguito dal legislatore — rileva anche rispetto al termine per l'opposizione al decreto ingiuntivo concernente crediti di lavoro, nonostante l'inapplicabilità al procedimento monitorio, prima dell'opposizione, delle forme del rito del lavoro, data la prevalente rilevanza, ai fini in esame, della materia controversa.

Cass. civ. n. 12668/1998

In tema di procedimento d'ingiunzione, va esclusa, in assenza di una espressa disposizione processuale in tal senso, la sussistenza di un obbligo di preventiva audizione del debitore nei cui confronti è emesso il decreto ingiuntivo. Ed infatti, tale audizione, ove ritenuta necessaria, e non discrezionale, risulterebbe in netto contrasto con la natura stessa della procedura monitoria, tendente, con evidenti profili di sommarietà, ad un accertamento con prevalente funzione esecutiva.

Cass. civ. n. 4987/1997

La sospensione feriale dei termini processuali, disposta dall'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, si applica a tutti i termini processuali, e, quindi, anche a quello previsto per la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo.

Cass. civ. n. 5310/1987

Il giudice che emette il decreto ingiuntivo accogliendo le ragioni del ricorrente ne fa propri i motivi, per cui il riferimento a questi — portati a conoscenza dell'ingiunto mediante la notificazione sia del ricorso che del decreto, prevista dal secondo comma dell'art. 643 c.p.c. — è sufficiente ad integrare per relationem la motivazione del provvedimento, necessaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 641, primo comma, e 135, secondo comma, dello stesso codice.

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Consulenze legali
relative all'articolo 641 Codice di procedura civile

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Angelo D. M. chiede
mercoledì 07/10/2015 - Lazio
“Spett. Redazione giuridica
Vi invio un quesito che è stato già dibattuto da avvocati che mi hanno assistito nel merito del processo de quo, ma sul quale non ho personalmente raggiunto una convinzione incontrovertibile.
Il tema è il seguente: "Restituzione, a seguito di riforma, di somme versate in esecuzione coattiva"

Fatto
Un’opposizione, presentata dal sottoscritto, a decreto ingiuntivo emesso a favore di un dottore commercialista, veniva rigettata dal Tribunale di ..., che provvedeva “confermando il decreto ingiuntivo opposto [circa Euro 10.000,00, per una parcella] e condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.800,00, di cui Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 3.500 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge”.
In assenza del pagamento spontaneo della somma ordinata in 1° grado, controparte richiedeva il pignoramento del quinto dello stipendio dell’attore, sino a integrazione dell’intero debito.
Nella causa in appello il collegio così concludeva:
“Il ... va condannato a pagare l’importo di Euro 2628,36 [ridotto rispetto ai circa Euro 10.000 inizialmente richiesti dal commercialista con il D.I.], oltre interessi legali dalla domanda al saldo. In considerazione del parziale accoglimento della domanda del commercialista le spese vanno compensate per il 50%. La restante parte segue la prevalente soccombenza del ... e si liquidano come da dispositivo:
PQM
In parziale riforma dell’impugnata sentenza:
- revoca il decreto ingiuntivo opposto;
- determina in Euro 2628,36 il compenso dovuto;
- condanna DI MARZO Angelo a pagare al commercialista Euro 2.628,36, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed alla rifusione in suo favore del 50% delle spese di lite, quota che liquida per il primo grado in Euro 1400,00 e per questo grado in Euro 1.400,00 per compensi”

Posta di fronte alla necessità di restituire il dovuto, controparte, prima di un dibattito, ha cercato di “forzare la mano” mediante la consegna di un assegno di Euro 8.725,25, che il sottoscritto ha fatto restituire immediatamente dal suo legale; al tempo stesso egli ha preparato un prospetto indicante una somma – da restituire – pari ad Euro 17.510,95.
A seguito del rifacimento dei calcoli, controparte ha fatto pervenire una nuova offerta di Euro 12.725,00, che questa parte non ritiene soddisfacente, e non negoziabile.
Prescindendo infatti, in questa sede, dai sottocalcoli spiccioli, che si ritengono esatti, lo snodo centrale consiste nello stabilire se – atteso che in appello il decreto ingiuntivo è stato revocato e contestualmente è stato ordinato il pagamento di una somma pari a circa un terzo della primitiva domanda del commercialista – le spese imputate a questa parte per il recupero forzoso di tutto il dovuto (D.I. + spese processuali di 1° grado + spese di recupero coattivo) devono essere restituite per intero ovvero solo per una parte, eventualmente proporzionata alla somma che, sia pure con nuova pronuncia (in appello) è stata imputata al sottoscritto (Euro 2628.36 = circa 1/3 dell’iniziale domanda).
La mia personale opinione è che la pronuncia/condanna della Corte d’appello rappresenta un evento giudiziale nuovo rispetto al Decreto ingiuntivo, e comporta peraltro nuove spese legali, imputate ad entrambe le parti, e che pertanto tutto ciò che è connesso al D.I. (la somma ingiunta, le spese legali di 1° grado e le spese di esecuzione coattiva) va interamente restituito al sottoscritto. Il parere contrario di un avvocato è probabilmente legato ad un’interpretazione troppo estensiva dell’art. 653 cpc.
Inoltre è probabile che l’espressione “In parziale riforma dell’impugnata sentenza” adoperata nel dispositivo d’appello abbia confuso la discussione, e andrebbe chiarita fino in fondo, nel senso che, secondo me, lascia impregiudicata l’indipendenza delle due sentenze (1° e 2° grado), e non equivale a dire che il D.I. prosegue nel grado di appello.
Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 12/10/2015
L'art. 653 del c.p.c. prevede che, quando l'opposizione è accolta parzialmente, gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto ingiuntivo conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta. Sembra che il dato letterale sia piuttosto chiaro: l'esecuzione già eseguita contro il debitore rimane valida per quella somma riconosciuta come dovuta, quindi le relative spese possono continuare ad essere fatte gravare sul debitore stesso, che non ne può chiedere il rimborso. Si può ipotizzare un loro ridimensionamento, ma non una loro totale ripetibilità dal creditore.

Parimenti, in base alla stessa norma, non potrà essere chiesta la restituzione di quella parte dell'importo pignorato e successivamente dichiarato come dovuto nel giudizio di opposizione (anche se inferiore all'importo del decreto ingiuntivo).

Per quanto riguarda le spese del primo grado di giudizio, nel caso in esame è la sentenza d'appello a stabilirne l'ammontare e in capo a chi esse sono poste a carico, quindi nulla quaestio.

Discorso diverso vale, invece, per le spese connesse al decreto ingiuntivo.
In caso di accoglimento parziale dell'opposizione, il citato art. 653 ci dice che il titolo esecutivo è costituito solo dalla sentenza, ma non disciplina la sorte del decreto ingiuntivo, in particolare delle spese già liquidate.

Nell'accogliere parzialmente l'opposizione, il giudice, secondo alcune pronunce, non sarebbe tenuto a pronunciare esplicitamente la revoca del d.i. (v. Cass. 3646/1989); secondo altre, più recenti, invece, il giudicante dovrebbe revocare integralmente il d.i. (si veda Cass. civ. sez. III, 23.9.2004, n. 19126, in particolare, "la disposizione contenuta nell'art. 653, secondo comma, cod. proc. civ., 'se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza' - comporta che l'accoglimento, anche parziale, dell'opposizione, impone la revoca del decreto, con conseguente caducazione anche delle spese con tale provvedimento liquidate. Ciò tuttavia non toglie che se l'accoglimento dell'opposizione è determinato dall'adempimento totale sopravvenuto all'emanazione del decreto e non conflittuale - caso ricorrente quest'ultimo se l'opponente ha adempiuto, ma persiste nella propria linea difensiva - ma permanga contrasto sull'onere delle spese, poichè al momento dell'emanazione (art. 634 cod. proc.civ.) il decreto era giusto e valido, il giudice deve provvedere sulle stesse, anche della fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale").

La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni sostenuto che "l'accoglimento parziale dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo, sebbene implichi la revoca dello stesso, non comporta necessariamente il venir meno della condanna dell'ingiunto, poi opponente, al pagamento delle spese della fase monitoria e di quelle attinenti all'esecuzione provvisoria del decreto, le une e le altre potendo essere legittimamente poste a carico del debitore, con riferimento ai limiti della somma definitivamente attribuita al creditore" (Cass. civ., sez. III, 13.07.2007, n. 15725).
La stessa pronuncia poco sopra citata (Cass. 19126/2004) ribadisce il concetto più volte stabilito dalla Suprema Corte, secondo il quale "la fase sommaria è soltanto un antecedente necessario di quella a cognizione piena, introdotta con l'opposizione a decreto ingiuntivo, e che pertanto, stante l'unicità del processo, l'onere delle spese è regolato secondo i principi comuni, in base all'esito finale del giudizio di opposizione e alla complessiva valutazione dello svolgimento di esso (Cass. 14.10.63 n. 2736; Cass. 27.6.64 n. 1711; Cass. 24.4.69 n. 1338; Cass. 2.12.72 n. 3488), ed è dunque esclusa la possibilità di un'autonoma pronuncia sulla legittimità dell'ingiunzione di pagamento agli effetti dell'incidenza delle spese della sola fase monitoria (Cass. 3.5.67 n. 849, 28.9.94 n. 7892)".

Quindi, è la sentenza che conclude il giudizio di opposizione (nel nostro caso, la sentenza di appello) a dover statuire sulle spese della fase monitoria, potendole anche ridefinire o compensare.

Con ciò è smentito quanto affermato nel quesito, laddove si dice "l’espressione 'In parziale riforma dell’impugnata sentenza' adoperata nel dispositivo d’appello [...] non equivale a dire che il D.I. prosegue nel grado di appello", poiché l'orientamento giurisprudenziale assolutamente maggioritario considera un unico processo quello avviato con il decreto ingiuntivo e proseguito in sede di ordinaria cognizione.

Nel caso di specie, il giudice dell'opposizione, in grado di appello, ha disposto solo in relazione alle spese del giudizio ordinario, liquidando il primo e il secondo grado: ha, invece, omesso di decidere sul punto delle spese legale alla richiesta ed emanazione del decreto ingiuntivo. Si tratta di un evento "patologico" del processo (chiamiamolo impropriamente, un "errore"), poiché il giudice sarebbe tenuto a decidere sulle spese di entrambe le fasi, quella senza contraddittorio e quella con il contraddittorio, in tutti i suoi gradi (v. ex multis Cass. civ., sez. I, 1.2.2007, n. 2217: "il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l'arco del procedimento e tenendo il considerazione l'esito finale della lite").

Poiché l'omessa liquidazione delle spese processuali (nel nostro caso, di parte di esse, quelle relative alla fase monitoria) non integra una omissione emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, "perché la sentenza non è affetta da mera mancanza di documentazione della volontà del giudice, comunque implicitamente desumibile, ma è affetta dalla mancanza di un giudizio sull'attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa, con la conseguenza che la relativa omissione, può essere emendata soltanto a seguito di gravame" (Cass. civ., sez. I, 10.7.1999, n. 7274), per poter ottenere una pronuncia sulle spese della fase monitoria si dovrà impugnare la sentenza d'appello per quanto riguarda il capo relativo alla condanna alle spese.

In caso l'impugnazione non fosse più ammissibile, sarà lasciato all'accordo delle parti valutare se le spese relative al decreto ingiuntivo - già riscosse dal creditore - debbano o meno essere restituite all'ingiunto.