La
revoca è l'atto con cui la parte toglie il mandato al suo difensore, mentre la rinuncia è l'atto con cui il
difensore si dimette dalla difesa.
La norma in esame si limita a stabilire che entrambi gli atti sono possibili e quali sono gli effetti che ne discendono, non stabilendo per essi alcun requisito di
forma; da ciò se ne è dedotto che possono aver luogo anche per
facta concludentia (a tal fine, indubbiamente, non è sufficiente la sola assenza del difensore alle udienze, richiedendosi anche il ricorrere di altri fatti che, unitamente a detta assenza, inducano a ritenere cessato il rapporto tra parte e difensore).
Ciò posto, può osservarsi che questa norma detta una disciplina delle vicende della procura alle liti completamente diversa da quella prevista per la procura al compimento di atti di diritto sostanziale; infatti, mentre per quest’ultima è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli e chi li ha ricevuti, dismetterli, con efficacia immediata, al contrario né la revoca né la rinuncia della procura alle liti privano il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, finchè non siano accompagnati dalla sua sostituzione (è questo il c.d. principio della
perpetuatio).
La ratio di tale diversità di disciplina sta nel fatto che, con la procura alle liti, la parte non attribuisce al procuratore dei poteri da lei liberamente voluti, ma si limita soltanto a designare il procuratore cui attribuire lo
ius postulandi, il quale, a sua volta, consiste in un insieme di poteri già predeterminati dalla legge processuale.
Una eventuale
vacatio di
ius postulandi, infatti, potrebbe essere fonte di danni per la parte che ha conferito il patrocinio, ma anche per l’altra parte, la quale, per compiere i propri atti, deve poter contare su una sicura legittimazione a ricevere.
E’ stato a tale ultimo proposito precisato che, per l'attività di ricevimento degli atti, al difensore non sostituito spettano i diritti di procuratore in base alle tariffe vigenti al momento dei singoli atti, mentre gli onorari di avvocato, competono allo stesso secondo la tariffa in vigore al momento della rinuncia.
Corollario di tale principio della
perpetuatio sarebbe, secondo la Suprema Corte, che il difensore, presso il quale la parte aveva eletto
domicilio e a cui sia stata revocata la procura, conserva dei doveri di diligenza nei confronti della parte rappresentata, anche successivamente alla nomina del nuovo difensore, in particolare per quanto riguarda il dovere di dare comunicazione di eventuali
notificazioni che abbia ricevuto successivamente alla revoca.
Tale ultimo obbligo rientra infatti nel più generale dovere di diligenza professionale cui l'avvocato è tenuto nei confronti del cliente, anche in caso di rinuncia o revoca del mandato.
Non vi è dubbio, poi, che la revoca della procura o la rinuncia al mandato non incidano sull'attività processuale che sia stata già svolta.
La recente dottrina osserva che la rinuncia del difensore al mandato non integra un evento interruttivo del processo, ma può ben tradursi in un impedimento di fatto che causa alla parte la decadenza dai poteri processuali, se il difensore rinuncia al mandato in un modo tale da impedire alla parte di provvedere tempestivamente alla sua sostituzione.
È inoltre pacifico che la nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore, dovendosi invece presumere che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di
rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato ai sensi del secondo comma dell'
art. 1716 del c.c..
Poiché l'art. 85 esprime un principio processuale di carattere generale finalizzato ad evitare una
vacatio dello
jus postulandi e a garantire alle parti nel procedimento giurisdizionale il
diritto di difesa con soluzione di continuità, esso deve essere ritenuto applicabile anche nei giudizi dinanzi al giudice amministrativo, in cui si ha la facoltà di non avvalersi del patrocinio legale ex art. 6, 5° co., D.L. 15.11.1993, n. 453 (conv. in L. 14.1.1994, n. 19).
Occorre infine dire che il principio della
perpetuatio espresso da questa norma opera nelle sole ipotesi di revoca della procura e rinuncia al mandato, non in quelle di cancellazione dall'albo, anche se disposta su domanda dell'interessato.
In caso di cancellazione dall'albo, infatti, cessando lo
ius postulandi, diventa illegittima la prosecuzione dell'attività professionale.
Ne consegue che il procuratore cancellato dall'albo legittimamente rifiuta la notifica dell'
atto di impugnazione e il suo rifiuto non può dare luogo alla cosiddetta notificazione virtuale prevista dall'
art. 139 del c.p.c..
In caso di sostituzione del difensore deceduto, effettuata dalla parte con il primo atto utile, la rituale costituzione del nuovo difensore, avvenuta con apposita comparsa di costituzione e partecipazione all'udienza, impedisce l'
interruzione del processo anche in caso di successiva sua revoca, che resta inefficace fino alla nomina dell'ulteriore difensore.
Dottrina e giurisprudenza si sono chiesti se nelle ipotesi di revoca e rinuncia, malgrado il disposto dell’
art. 301 del c.p.c., la parte possa ottenere una
rimessione in termini qualora si traducano in un impedimento di fatto che causa alla parte la
decadenza da poteri processuali e avvengano in un modo tale da impedire alla stessa parte di provvedere tempestivamente alla sostituzione del difensore.
La giurisprudenza si è tradizionalmente dimostrata contraria a questa possibilità.
La dottrina si è, invece, sempre dimostrata favorevole alla concessione della rimessione in termini, nel caso in cui la rinuncia del difensore al mandato sia causa di una decadenza processuale di cui la parte non ha colpa, così come nel caso in cui la parte revochi il mandato al difensore, ma non possa poi nominare tempestivamente un nuovo difensore per l'intervento di un caso fortuito (in sintesi, secondo la dottrina, per ottenere la rimessione in termini, occorre che la parte dimostri che nel caso concreto non era inesigibile provvedere tempestivamente alla nomina di un nuovo difensore).
La disciplina dettata dall'art. 85 è, invece, inapplicabile con riferimento agli avvocati dipendenti di
enti pubblici, iscritti nell'albo speciale annesso all'albo professionale, ed abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera.
La cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere ed a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell'ente, comporta il totale venir meno dello
ius postulandi, a nulla rilevando l'eventuale formale permanenza dell'iscrizione nell'albo speciale ed il mantenimento della medesima casella di PEC; da ciò se ne deve far conseguire che la notifica della
sentenza diretta all'ente pubblico al precedente avvocato investito della causa in base al cessato rapporto di impiego deve ritenersi inesistente e come tale inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell'attività lavorativa dell'avvocato funzionario oltre il limite di durata del rapporto di lavoro subordinato.