Prima di analizzare la norma in esame, occorre chiarire il concetto di accessorietà e di domanda accessoria.
Secondo la tesi che si ritiene preferibile, la relazione di
accessorietà va considerata come una autonoma relazione di carattere sostanziale, ricorrente allorché la pretesa che forma oggetto della
domanda accessoria, pur essendo autonoma, trova il suo titolo e la sua ragione giustificatrice nella pretesa che forma oggetto della
domanda principale (così Satta, Montesano, Mandrioli e la giurisprudenza).
L'accessorietà si distingue dalla più generale figura della
pregiudizialità per il fatto di riguardare domande giudiziali proposte nei confronti del medesimo
convenuto; inoltre, trattandosi di una relazione di
connessione tra cause pendenti, non può riguardare domande non ancora proposte.
Molti sono gli esempi di accessorietà che possono trarsi dalla prassi giurisprudenziale, e tra questi i più ricorrenti sono il nesso intercorrente tra la domanda principale di determinazione del
canone di locazione e la domanda di restituzione delle somme pagate in eccedenza dal
conduttore, oppure il nesso intercorrente tra la causa relativa al negozio fideiussorio e quella riguardante il rapporto principale.
Scopo della norma in esame è quello di rendere possibile la trattazione contestuale della domanda principale e della domanda accessoria, risultando ciò utile per ragioni di coordinamento e di economia processuale.
Viene qui fatto un riferimento espresso alla sola competenza per valore, avendo il D.Lgs. 19.2.1998, n. 51 soppresso il 2° comma dell'articolo in esame, il quale consentiva la proposizione della domanda accessoria dinanzi al giudice competente per materia in ordine alla domanda principale, anche se la prima eccedeva la competenza per valore del giudice adito.
Secondo la tesi prevalente, quella prevista dall'art. 31 c.p.c. non è una vera e propria ipotesi di deroga alla competenza fissata per la causa accessoria, secondo il consueto schema delle disposizioni contenute nella Sezione IV del Titolo I, bensì un criterio originario di determinazione complessiva del valore di entrambe le cause, attraverso il rinvio all'
art. 10 del c.p.c..
In ogni caso, quello che ne consegue è l’attribuzione della competenza al giudice di grado superiore, allorché la somma del valore della causa principale e della causa accessoria superi il limite massimo della competenza del giudice della causa principale.
Il cumulo processuale delle cause non è consentito allorché la domanda accessoria spetti, in via originaria, alla competenza per materia o funzionale di un giudice diverso rispetto a quello competente per la domanda principale.
Si è fatto osservare che i principi dettati con questa disposizione hanno, in realtà, una portata residuale, in quanto, attualmente, le modifiche alla competenza c.d. verticale per ragioni di connessione trovano diretta disciplina nei commi 6 e 7 dell'
art. 40 del c.p.c., introdotti dall'art. 19, L. 21.11.1991, n. 374 ed in seguito modificati dall'art. 55, D.Lgs. 19.2.1998, n. 51 (c.d. riforma del giudice unico).
Ciò che rimane a tutti gli effetti in vigore della norma in commento è la direzione della
vis actractiva esercitata dal nesso di accessorietà, che, secondo la lettura tradizionale che ne viene fatta, è unilaterale ad una soltanto delle cause connesse, ossia alla causa c.d. principale o pregiudiziale.
Il nuovo art. 40 c.p.c, 6° e 7° co., dettando una regola unitaria per tutte le forme di connessione presupposte dagli artt. 31 c.p.c.,
art. 32 del c.p.c..,
art. 34 del c.p.c.,
art. 35 del c.p.c.,
art. 36 del c.p.c., presuppone, al contrario, una forza di attrazione reciproca di entrambe le cause connesse, fondata sulla regola della prevalenza della competenza del Tribunale, nei rapporti con l'ufficio del Giudice di Pace, a prescindere dal fatto che il Tribunale sia originariamente competente per la domanda principale o per la domanda accessoria.
Deve comunque escludersi la possibilità di una deroga ai criteri di competenza territoriale non derogabile previsti per la domanda accessoria, quali, a titolo meramente esemplificativo, quella del foro fallimentare e quella per le cause previdenziali di cui all'
art. 444 del c.p.c..
Si afferma che non è neppure ammissibile la derogabilità del foro convenzionale esclusivo, ovvero che la norma in commento possa essere applicata allorché il giudice della causa principale venga determinato convenzionalmente per effetto di una clausola negoziale; in tal senso si argomenta dalla considerazione, fatta propria dalla giurisprudenza, secondo cui la disposizione in esame ha carattere eccezionale e, in quanto tale, non è suscettibile di interpretazione estensiva.