Cons. Stato n. 2481/2017
La delibera n. 585/2012 dell'AEEGSI con cui l'Autorità ha definito i criteri per le tariffe del sistema idrico integrato-SII, con particolare riguardo alla componente tariffaria relativa agli oneri finanziari del gestore del SII, prevista a copertura del costo di capitale proprio investito, non viola il principio di integrale copertura dei costi (c.d. full cost recovery) e non reintroduce il criterio "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito", di cui all'art. 154, c. 1, D.Lgs. n. 152 del 2006, abrogato dal referendum del 12 e 13 giugno 2011. In particolare, la sentenza resa sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio richiesta dal Consiglio di Stato ha affermato che "Se, poi, si considera che l'approccio prudenziale adottato dall'AEEGSI nel definire i singoli parametri del MTT, in particolare il diverso calcolo degli oneri fiscali nel settore idrico (rispetto a quello elettrico o del gas), tiene conto delle specificità tecniche e normative che caratterizzano il SII - nel senso che, attraverso il computo separato degli oneri finanziari e degli oneri fiscali e il correlativo orientamento di ogni singola componente al criterio della sola copertura del costo efficiente, si elimina tendenzialmente ogni elemento di garanzia del rendimento e si perviene al risultato della stretta copertura dei costi di capitale investito e della minimizzazione degli oneri per l'utenza -, la metodologia tariffaria adottata dall'AEEGSI nella delibera n. 585/2012 appare in linea con il dettato referendario e con il principio del c.d. full cost recovery (compreso il costo del capitale, equity e debt), di per sé pienamente compatibile con l'esito del referundum, con conseguente infondatezza delle censure al riguardo mosse dal CODACONS con il primo motivo di primo grado e dalle altre due associazioni di tutela dei consumatori con i primi tre motivi di primo grado, correttamente disattese dal T.a.r. (seppure sulla base di un percorso motivazionale parzialmente diverso da quello qui sviluppato sulla base delle risultanze dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio)".
Cass. civ. n. 4222/2017
Non è esigibile il pagamento del canone - o dell'addizionale o dei relativi accessori - di una concessione di derivazione di acque pubbliche in caso di mancata effettiva fruizione di questa da parte del concessionario dovuta ad impossibilità di funzionamento dell'impianto ascrivibile ad eventi non imputabili al medesimo concessionario (ivi compreso l'impedimento alla derivazione conseguente alla condotta ostativa od ostruzionistica di altra pubblica amministrazione), neppure in caso di clausola del disciplinare di concessione od altra negoziale che ne preveda il pagamento anche nell'ipotesi in cui il concessionario non possa fare uso della concessione per causa a sé non imputabile, quella risultando invalida per non meritevolezza dell'interesse perseguito - ai sensi dell'art. 1322 cpv. cod. civ. derivante dal contrasto con i principi generali dell'ordinamento di cui all'art. 41 Cost. e di economicità vigenti in tema di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.
Corte cost. n. 255/2016
È dichiarato estinto - per sopravvenuta rinuncia al ricorso, accettata in udienza, dalla Regione costituita in giudizio - il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 7, 3, comma 9, 4, comma 2, 5, commi 2 e 5, lett. a) e d), e 10, comma 1, della legge della Regione Lazio 4 aprile 2014, n. 5, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. e), l) ed s), Cost., in relazione agli artt. 147, comma 2, 150, commi 1 e 2, e 154, comma 4), del D.Lgs. n. 152 del 2006; all'art. 12 del D.Lgs. n. 79 del 1999; all'art. 1 della legge n. 481 del 1995; all'art. 10, comma 14, del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011; all'art. 3-bis, comma 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; nonché all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.C.M. 20 luglio 2012. La rinuncia al ricorso in via principale (in specie, motivata da satisfattiva modificazione delle norme impugnate, medio tempore inattuate), qualora accettata dalla controparte costituita, comporta l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Cass. civ. n. 21690/2016
Le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, anche se promosse successivamente al 3 dicembre 2005, data di entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3-bis, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 1, comma 1, che ha modificato l'art. 2, comma 2 secondo periodo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, avendo la Corte costituzionale, con sentenza n. 39 del 2010, dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta disposizione, nella parte in cui attribuiva tali controversie alla giurisdizione del giudice tributario, sia in relazione alla disciplina del canone prevista dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994, sia riguardo all'analoga disciplina dettata dagli artt. 154 e 155 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), per le controversie relative alla debenza del canone a partire dal 29 aprile 2006.
Cass. civ. n. 474/2015
Per effetto dell'emanazione dei D.Lgs. n. 152/2006 (Codice dell'ambiente) - e segnatamente dell'art. 154 che "al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale" riserva allo Stato di fissare, per il tramite di decreti ministeriali, "i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza dell'acqua pubblica" - non è venuto meno il potere di normazione secondaria degli enti locali in relazione alla determinazione dei canoni di acque destinate al Sistema idrico integrato. Difatti, l'uniformità della tutela, che è lo scopo della normazione secondaria, non implica pedissequa identità di criteri e canoni su tutto il territorio nazionale, ma parità di trattamento coeteris paribus in relazione alla disponibilità e all'uso concreto di tali risorsa nei singoli ambiti territoriali. In tema di canoni di concessione di derivazione delle acque destinate al servizio idrico integrato, l'omogeneità di disciplina sul territorio nazionale prevista dall'art. 154, comma 3, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 implica che la normativa secondaria di attuazione ha lo scopo di perseguire un'uniformità di tutela, intesa non già come pedissequa identità di criteri e canoni su tutto il territorio nazionale, ma come parità di trattamento "coeteris paribus" in relazione alla disponibilità e all'uso delle risorse idriche nei singoli ambiti territoriali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, reputando legittimi e conformi alla vigente normativa nazionale e regionale i criteri di determinazione della parte variabile della tariffa adottati dalla delibera del Consiglio provinciale di Pisa del 15 dicembre 2011, n. 99). (Rigetta, Trib. Sup. Acque, 4 giugno 2013).
Cass. civ. n. 24312/2014
La tariffa del servizio idrico integrato non ha, in tutte le sue componenti, natura di tributo ma costituisce corrispettivo di una prestazione contrattuale, sicché il gestore, che richieda il pagamento della quota della tariffa relativa al contributo di "denitrificazione" delle acque, è tenuto a provare di avere assicurato il servizio, la cui mancata erogazione esclude l'obbligo del contribuente di pagare il corrispettivo. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Lombardia 10 febbraio 2011).
Cass. civ. n. 14902/2010
Le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, anche se promosse successivamente al 3 dicembre 2005, data di entrata in vigore dell'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, che ha modificato l'art. 2, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, avendo la Corte costituzionale, con sentenza n. 39 del 2010, dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta disposizione, nella parte in cui attribuiva tali controversie alla giurisdizione del giudice tributario, sia in relazione alla disciplina del canone prevista dagli artt. 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, sia riguardo all'analoga disciplina dettata dagli artt. 154 e 155 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 per le controversie relative alla debenza del canone a partire dal 29 aprile 2006.
Corte cost. n. 142/2010
Gli artt. 5 e 8 della legge reg. n. 1 del 2009, modificando gli artt. 48 e 51 della legge reg. n. 26 del 2003, prevedono che la tariffa del servizio idrico integrato sia determinata sulla base delle prescrizioni dell'amministrazione regionale, mentre i commi 2 e 4 dell'art. 154 del D.Lgs. n. 152 del 2006 attribuiscono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa in questione e all'Autorità d'ambito la determinazione della tariffa di base. Ne consegue l'illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate.
Corte cost. n. 39/2010
La tariffa del servizio idrico integrato, costituita anche dalla quota per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, si configura, in tutte le sue componenti, come "corrispettivo"di una prestazione commerciale complessa, il quale trova fonte nel contratto di utenza. Da ciò discende l'esclusione della natura tributaria del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue. Di conseguenza, l'art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria la cognizione di controversie relative a prestazioni patrimoniali di natura non tributaria e, pertanto, si risolve nella istituzione di un giudice speciale vietata dal secondo comma dell'art. 102 Cost.
Corte cost. n. 29/2010
Dall'interpretazione letterale e sistematica degli artt. 154, 155 e 161 del D.Lgs. n. 152 del 2006 si desume che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell'ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato. L'uniforme metodologia tariffaria, adottata con l'interposta legislazione statale, e la sua applicazione da parte delle Autorità d'ambito è finalizzata, dunque, a preservare il bene giuridico "ambiente" dai rischi derivanti da una tutela non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato. Tali finalità non potrebbero essere realizzate se dovessero trovare applicazione normative regionali con le quali sia prevista la determinazione di oneri tariffari ulteriori o diversi.
Corte cost. n. 1/2010
Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di acque minerali e termali, dipende dalla distinzione tra uso delle acque minerali e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117, c. 2, lett. s), Cost. L'art. 97 del D.Lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che le concessioni di acque minerali e termali, e cioè i provvedimenti amministrativi che riguardano la loro utilizzazione, devono osservare i limiti di tutela ambientale posti dal Piano di tutela delle acque, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico, secondo quanto dispone il c. 3 dell'art. 144 del D.Lgs. n. 152 del 2006, e sia assicurato l'equilibrio del bilancio idrico, come prevedono l'art. 145 ed il c. 6 dell'art. 96 del medesimo D.Lvo. Si tratta di un evidente concorso di competenze sullo stesso bene (le acque minerali e termali), competenze che riguardano, per quanto attiene alle Regioni, l'utilizzazione del bene e, per quanto attiene allo Stato, la tutela o conservazione del bene stesso.
Corte cost. n. 307/2009
Le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico normative sia per l'evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato. In materia la disciplina statale di settore è recata dal D.Lgs. n. 152 del 2006. Quest'ultimo non prevede né espressamente né implicitamente la possibilità di separazione della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico; mentre in varie disposizioni del decreto sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità, nel senso che le due gestioni potranno essere affidate a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte. Di conseguenza, è costituzionalmente illegittimo l'art. 49, comma 1, della legge regionale Lombardia n. 26 del 2003, che in contrasto con la disciplina statale, consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della rete e l'erogazione del servizio idrico integrato.
C. giust. UE n. 196/2009
Gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE non ostano all'affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l'esecuzione preventiva di determinati lavori a una società a capitale misto, pubblico e privato, costituita specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell'offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato per le concessioni.
Corte cost. n. 246/2009
La disciplina della tariffa del servizio idrico integrato contenuta nell'art. 154 del D.Lgs. n. 152 del 2006 è ascrivibile in prevalenza, alla tutela dell'ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
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Gli artt. da 144 a 146 del D.Lgs. n. 152/2006 rispettano comunque il riparto delle competenze stabilito da quest'ultima, perché, nel fissare «criteri per la gestione del servizio idrico integrato» (art. 88, comma 1, lettera h, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112), sono riconducibili a materie di competenza legislativa esclusiva statale. Infatti: a) l'art. 144, comma 1, nel prevedere che «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato», disciplina il regime proprietario delle acque, che è sicuramente riconducibile alla materia dell'ordinamento civile, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; b) i successivi commi dell'art. 144 attengono a materie riconducibili all'ordinamento civile e alla tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), perché disciplinano i criteri dell'uso delle acque, in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l'altro, «la vivibilità dell'ambiente»; c) l'art. 145 è anch'esso riconducibile alla materia della tutela dell'ambiente, perché disciplina l'equilibrio del bilancio idrico, richiamando, al comma 1, i criteri e gli obiettivi di tutela di cui al precedente art. 144 e prevedendo, al comma 3, per i «bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti», la necessità di garantire «la vita negli alvei sottesi» e di «non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati»; d) l'art. 146 disciplina specificamente una materia senza dubbio riconducibile alla tutela dell'ambiente, quale il risparmio della risorsa idrica.
Corte cost. n. 233/2009
L'art. 75, comma 5 del D.Lgs. n. 152/2006 prevede che le Regioni debbano porre in essere azioni dirette all'acquisizione di informazioni finalizzate al controllo e monitoraggio sullo stato di qualità delle acque ed alla trasmissione al Dipartimento tutela acque interne e marine dell'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) dei dati conoscitivi relativi all'attuazione dello stesso decreto legislativo, nonché di quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo modalità da indicare con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri competenti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni. Tali obblighi vanno inquadrati, quanto al primo, nell'ambito della normativa in tema di informazione ambientale, che grava sulla pubblica amministrazione, ed è disciplinato dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale; il secondo rimette le informazioni sullo stato di attuazione della Parte III del Codice dell'ambiente al coordinamento esercitato dallo Stato, non in quanto titolare della potestà legislativa esclusiva in materia ambientale, bensì nell'ambito della tutela del diritto di accesso del pubblico ai documenti amministrativi, riguardo ai quali lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni, ma la cui attuazione compete a tutti gli organi di amministrazione.
Cons. Stato n. 4263/2008
Un provvedimento amministrativo - nella specie, il provvedimento di affidamento della gestione del servizio idrico integrato - il cui contenuto sia in contrasto con norme o principi comunitari, non può essere disapplicato dall'amministrazione, sic et simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui la stessa amministrazione dispone. L'esercizio di tali poteri, peraltro, deve ritenersi soggetto, anche in questi casi, ai principi che sono a fondamento della legittimità dei relativi provvedimenti, rappresentati dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell'atto, se si tratta di situazioni consolidate o di atti che abbiano determinato un legittimo affidamento in coloro che ne sono interessati, e dalla osservanza delle garanzie che l'ordinamento appresta per i soggetti incisi dall'atto di autotutela, prima fra tutte quella di consentire ai soggetti interessati di partecipare al relativo procedimento.