Cons. Stato n. 3985/2015
Il principio per cui il giudice ricusato non può partecipare alla decisione sulla sua ricusazione deve trovare applicazione tutte le volte che la questione abbia un nucleo minimo di consistenza personale, né può valorizzarsi, per giungere a conclusioni contrarie, il tenore letterale dell'art. 18 D.Lgs. n. 104/2010 (CPA), nella parte in cui, persino in ipotesi di istanze manifestamente inammissibili o infondate sembrerebbe imporre un'autonoma decisione da parte di un giudice diverso (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, n. 1884/2013).
Cass. civ. n. 27847/2013
In ipotesi di ricusazione del giudice amministrativo, l'applicazione dell'art. 18, comma 4, del codice del processo amministrativo - che consente che il collegio investito della controversia possa disporre la prosecuzione del giudizio se ad un sommario esame ritenga l'istanza inammissibile o manifestamente infondata - appartiene alle regole del processo amministrativo, sicché sono configurabili solo eventuali "errores in procedendo" che non ridondano in possibili vizi di giurisdizione censurabili con ricorso per cassazione ex art. 362, primo comma, cod. proc. civ., salvo che non risulti la mancata (o meramente apparente o abnorme) applicazione di tali regole processuali, che, invece, integra un vizio deducibile sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti esterni della giurisdizione stessa, (nella specie, il giudizio amministrativo, avente ad oggetto la legittimità della procedura concorsuale di nomina a consigliere di stato, era stato definito con sentenza nonostante la ricusazione di tutti i componenti del collegio perché consiglieri di stato al pari dei controinteressati e, dunque, per asserito difetto di terzietà; la s.c., nel rigettare il ricorso, ha affermato il principio su esteso) (Rigetta, Cons. St. Roma, 2/4/2012).
Cons. Stato n. 6186/2012
Nel giudizio amministrativo l'applicazione dell'art. 18 CPA (d.lgs. n. 104/2010) - ed in particolare l'obbligo, ivi previsto, di sostituzione dei magistrati ricusati e l'adozione, da parte del nuovo collegio, di una decisione specifica sull'istanza di ricusazione - è riservata alle sole ipotesi di ricusazione enucleate dall'art. 51 c.p.c., e non a quelle che, in ragione del loro oggetto, totalmente estraneo all'elenco dell'art. 51, né in alcun modo partecipe della natura delle cause ivi prese in considerazione, costituiscono un anomalo utilizzo dell'istituto processuale, foriero di inutile dispendio di energie processuali o addirittura di effetti paralizzanti per l'attività decisoria dell'organo giurisdizionale (Conferma della sentenza del T.a.r. Sardegna - Cagliari, sez. I, n. 1850/2005).
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L'art. 51 c.p.c. circoscrive i casi di astensione (speculari a quelli di ricusazione) agli interessi personali, familiari o professionali che minano la terzietà del giudice, in un logica di fondo di natura deduttiva, che ricava dalla preesistenza dell'interesse il pericolo di una decisione ingiusta. La preesistenza dell'interesse del giudice ed il suo coinvolgimento personale che giustifica il principio, recepito dall'art. 18 CPA (d.lgs. n. 104/2010), per il quale il giudice ricusato non può decidere della propria ricusazione (Conferma della sentenza del T.a.r. Sardegna - Cagliari, sez. I, n. 1850/2005).
Cons. Stato n. 5377/2012
Nel giudizio amministrativo, l'art. 18 CPA (d.lgs. n. 104/2010) prevede, in ordine alla decisione dell'istanza di ricusazione, tra l'altro che: a) "il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l'istanza inammissibile o manifestamente infondata" (comma 4); b) che "in ogni caso la decisione definitiva sull'istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito" (comma 5) (Conferma della sentenza del T.a.r. Sardegna - Cagliari, n. 1493/2001).
Cons. Stato n. 3406/2011
Considerato che dalle norme riportate si evince che, nella prima ipotesi (cioè quando ravvisi l'inammissibilità o la manifesta infondatezza dell'istanza), il Collegio può decidere, anche in composizione comprendente il o i magistrati ricusati, dovendosi porre il problema del rinvio ad altra udienza ("previa sostituzione del magistrato ricusato"), sia quando non si rinvengano ragioni fondanti la declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza dell'istanza (e quindi la stessa deve essere compiutamente esaminata), sia quando il Collegio ha delibato l'inammissibilità o la manifesta infondatezza dell'istanza, come si evince dal comma 8, secondo periodo, in base al quale "l'accoglimento dell'istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato", norma che sarebbe priva di senso ove non si prevedesse una decisione successiva, ai sensi del comma 5, alla immediata delibazione di cui al comma 4.