Accessione fra cose mobili
Questo articolo disciplina il secondo gruppo di accessioni, cioè quelle che avvengono fra cose mobili appartenenti a diversi proprietari, che erano regolate nel vecchio codice dagli artt. 463 a 467 per quanto riguardava l’unione, e dagli artt. 471 e 475 per la commistione, rimanendo intramezzati a quegli gli artt. 468 e 469 che regolavano la specificazione.
Bisogna, però, avvertire subito, che, per quanto non manchino di applicazione, le disposizioni concernenti l'unione e la commistione non hanno più l’ antica importanza che il diritto romano attribuiva alla accessione di cosa mobile a cosa mobile, perché oggi il principio di diritto
Tedesco riprodotto nell'art. 707 del codice del 1865 e nell'art.
1140 del nuovo codice per cui il possesso vale titolo per i possessori di buona fede — è applicabile anche nei casi di unione e di commistione.
Soppressione dell'art. 463 del codice del 1865
Nell'articolo in esame non si fa più menzione del contenuto dell'art. 463 del vecchio codice, il quale affermava che l'accessione di mobili a mobili era regolata dai principii dell'equità naturale e che le disposizioni dettate negli articoli seguenti avrebbero dovuto servire di norma al giudice per decidere nei casi non preveduti secondo le particolari circostanze.
La soppressione dell'art. 463 è stata da qualcuno criticata forse perché è stata intesa nel senso che il giudice, in materia di accessione, non possa mai ispirarsi all'equità, cioè a odierni criteri economico-sociali, che debbono funzionare nell'apprezzamento delle particolari circostanze dei vari casi.
È bene chiarire che questa non può essere stata l'intenzione del legislatore fascista nel sopprimere l'articolo. Non si è voluto impedire al giudice di ispirarsi all'equità nell’ applicazione della legge, bensì impedirgli di non applicare questa quando possa avere l'impressione che il precetto della legge non sia conforme all'equità.
Il giudice non deve fare il legislatore, ma deve applicare scrupolosamente la legge, e se questa è chiara nel suo testo letterale o nel suo spirito che egli deve trarre seguendo il procedimento che gli è segnato dalle disposizioni preliminari al codice civile il giudice, anche se pensi che la legge non e equa, deve ugualmente applicarla. Può fare ricorso alla sola equità per trovare il principio di diritto da applicare quando ritiene che il caso in esame non soltanto non rientri nel campo di alcuna delle norme del diritto positivo neppure usando l'interpretazione estensiva, ma che non lo possa neppure ricondurre in una di tali norme mediante l'analogia, quando, si intende, la legge consente che a questa si possa ricorrere.
Diversa cosa è l'affermare che tali principii di ermeneutica giuridica non impongono al giudice di fare un'applicazione meccanica della legge, le cui norme devono essere adeguate agli svariatissimi casi della vita. Ed e in questo adeguamento che deve funzionare non soltanto l'intelligenza del giudice nella ricerca degli elementi che servono al giudizio, ma anche la sua equa e onesta coscienza nel fame la valutazione per giungere alla giusta decisione.
Il diritto romano stesso, per il quale notevole era, come si è accennato, l' importanza di questa categoria di accessione, non parla affatto di particolare applicazione dell'equità in materia. La disposizione venne dal codice Napoleone e fu criticata concordemente dai commentatori e, sebbene l'art. 463 del codice del 1865 ne avesse modificato opportunamente la forma, fu anch'esso vivamente criticato come ambiguo e interpretato nel senso che non consentisse la sostituzione dell'equità alle norme di diritto positivo per i casi in queste previsti.
L'articolo, pertanto, se non dannoso era certamente superfluo e la sua soppressione è stata opportuna.
Varie ipotesi di unione e commistione
L'articolo in esame comprende, come abbiamo detto, le varie ipotesi di unione o congiunzione, di fusione e di commistione, di cui la prima rappresenta una vera figura di accessione di una cosa mobile ad un'altra, mentre le altre due, incluse ormai per tradizione legislativa sotto la rubrica dell'accessione, non ne presentano le caratteristiche se non nel caso in cui possa essere riconosciuta la prevalenza di una cosa, da considerarsi principale sull'altra da considerarsi accessoria.
Occorre, perciò, ricordare, anche per la migliore comprensione dell'articolo, la differenza che passa fra le varie figure su accennate.
Loro contenuto
Si ha «
unione o congiunzione » quando più cose appartenenti a diversi proprietari sono state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, con separabilità oppur no delle cose congiunte. Si ha «
confusione » quando la mescolanza avviene fra materie liquide, «
commistione » quando avviene tra materie solide.
Il primo comma dell'articolo prevede le due ipotesi di unione che, per i solidi, i Romani indicavano con i nomi di
ferruminatio e di
plumbatura (o
adplumbatio). La vera accessione avveniva nei casi di
ferruminatio perché le due cose unite perdevano la loro esistenza separata e quella accessoria accedeva alla principale dalla quale normalmente non poteva essere separata senza detrimento dell'altra o dell'insieme.
Nel caso della
adplumbatio essendovi la possibilità di separazione senza detrimento della cosa principale, il proprietario della cosa accessoria poteva agire
ad exhibendum e ottenuta la separazione, rivendicare la cosa sua.
Non diversamente dispone l'attuale articolo: se le cose unite o mescolate sono separabili senza notevole deterioramento, ciascun proprietario, conservando il proprio diritto, può ottenere la separazione e, di conseguenza, rivendicare la cosa propria. Se, per contro, non vi è possibilità di separazione, e nessuna può
per praevalentiam essere considerata principale rispetto all'altra, i proprietari delle cose unite divengono condomi dell'unica cosa risultante dall'unione o dalla mescolanza in proporzione del valore, calcolato al tempo della unione, delle cose spettanti a ciascuno.
Se e quando sussista la separabilità e quando la separazione possa oppure no recare notevole deterioramento, sono circostanze, che devono essere decise caso per caso dopo accertamento tecnico, qualora occorra, e apprezzamento affidato al libero e prudente criterio del giudice.
Unione con possibilità di qualificare una delle due cose come principale
Il secondo comma dell'articolo disciplina i casi di unione previsti dagli art. 464 e 465 del codice del 1865, quando sia possibile qualificare una delle cose unite come principale rispetto all'altra, oppure quando, a prescindere da questa qualità, una delle cose sia di molto superiore per valore all'altra.
Il nuovo codice opportunamente non dà definizioni della cosa principale, che il vecchio codice definiva, nell'art. 465, quella a cui l'altra non fu unita che per uso, ornamento o compimento
2 e che, invece, secondo il diritto giustinianeo era quella che poteva stare da sola mentre era accessoria la cosa che non poteva stare senza l'altra.
Queste definizioni, infatti, e le altre, sulle quali si è discusso dal diritto romano classico fino ad oggi, fissano tutte qualcuno degli elementi per riconoscere la maggiore importanza o la
vis attractiva o l'autonomia di una cosa in confronto dell'altra, ma non possono evitare che da qualsiasi fra le definizioni medesime resti fuori un grande numero di casi nella infinita di quelli che possono presentarsi nella pratica. E meglio, quindi, rimettersi alla prudente valutazione del giudice, il quale potrà, a seconda dei casi, tenere conto dell'uno o dell'altro principio, purché dimostri di essere stato guidato nella decisione da un criterio di logica e di aderenza alla realtà.
Perché, poi, non sorgano equivoci di fronte alla nuova formula dell'articolo, che, a dire la verità, non potevano sorgere su questo punto nè per il codice del 1865 nè per il progetto della Commissione Reale, è bene chiarire che se, nel ripetuto secondo comma, si pone prima l'alternativa tra cosa considerata come principale e cosa di molto maggiore valore e poi si dice che il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto, deve ritenersi che, ai fini dell'accessione, la cosa di maggior pregio è considerata come principale.
Per impedire l'arricchimento è sancito l'obbligo del proprietario della cosa principale o notevolmente più preziosa di pagare all'altro il valore della cosa di cui egli ha acquistato la proprietà per effetto dell'unione o della mescolanza. Trattasi evidentemente del valore venale della cosa, perchè subito dopo è previsto il caso in cui l'unione, confusione o commistione sia stata compiuta dal proprietario della cosa accessoria senza il consenso del proprietario della cosa principale ed è disposto che quest'ultimo, non essendo responsabile del fatto, paghi soltanto la somma minore tra l’aumento del valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria.
Codici stranieri
Se si da una scorsa ai codici stranieri, si vede che il
codice tedesco ha disposizioni simili a quelle del codice fascista. È infatti ammessa la comproprietà quando non possa determinarsi quale sia la principale fra le cose unite o mescolate in modo da diventare parti costitutive essenziali di una cosa sola, cioè non più separabili senza disintegrarla. Si dà, invece, l’esclusiva proprietà del tutto al proprietario della cosa principale quando tale determinazione è possibile.
Del pari è sancito il pagamento del valore della cosa accessoria secondo le norme dell'arricchimento e il risarcimento del danno quando vi sia stato l'illecito.
Altrettanto è disposto dal
codice svizzero che, al pari del nostro, riunisce le disposizioni in un solo articolo.
Il
codice brasiliano ha anch'esso, disposizioni analoghe, ma è interessante rilevare che, nel caso di mala fede in colui che ha operato la confusione, l'aggiunzione o la mescolanza, l'altra parte ha la scelta di conservare il tutto pagando la cosa che non gli apparteneva, o rinunciare alla cosa propria mediante indennità integrale. Quando, poi, dalla mescolanza si viene a formate una cosa cli nuova specie, si applicano le norme della specificazione.
Il
codice spagnolo regola la materia dell'accessione in una serie di articoli, i quali nella maggior parte riproducono, più analiticamente e con qualche utile emendamento, le disposizioni di cui al codice del 1865. Ma anche il codice spagnolo ha qualche norma che merita di essere particolarmente rilevata, come quella dell’art.380, per il quale la parte che ha diritto all’indennità, può esigere che questa consista nella consegna di una cosa uguale nella specie e valore, e in tutti i suoi requisiti, a quella impiegata oppure nel prezzo della cosa medesima fissato in base a perizia. Circa la pittura, la scultura, gli scritti, stampe, incisioni e le litografie, sono considerati rispettivamente la tavola, la tela, il metallo, la pietra, la carta e la pergamena (art. 377).
Anche il
codice messicano riproduce tali disposizioni, fissando il criterio del valore per stabilire quale delle due cose è principale rispetto all’altra.
Il
codice cinese, infine, ha due sintetiche norme con le quali si afferma la comproprietà della cosa, risultante dall'unione o dalla mescolanza, fra i proprietari delle cose prima separate, a meno che una di queste non sia principale, attribuendosi in tal caso allora il tutto al proprietario di questa. Nulla dice il codice cinese circa i risarcimenti, come in altri casi secondo il sistema usato nel codice, si fa riferimento ai principi generali.