Corte cost. n. 158/2018
È ordinata la restituzione degli atti al Consiglio di Stato perché riesamini, alla stregua dello ius superveniens, la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016, censurato - in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, par.1, della CEDU - perché interpreta il comma 3 dell'art. 13 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 nel senso che il divieto di reiterare più di una volta il vincolo espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui progettazione preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali, secondo la normativa vigente. La sopravvenuta Legge reg. Emilia-Romagna n. 18 del 2017, all'art. 7, comma 1, ha abrogato la norma censurata e, con l'art. 5, ha inoltre modificato il citato art. 13 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, inserendovi i commi 3-bis e 3-ter, introducendo una deroga alla regola generale del comma 3 avente un contenuto precettivo identico a quello che il legislatore regionale aveva voluto imporre in via di interpretazione. Tale deroga, ai sensi del successivo art. 6, è dichiarata immediatamente applicabile ai procedimenti espropriativi ancora non definiti alla data di entrata in vigore della medesima Legge regionale, ma tale previsione opera solo per l'avvenire, in ossequio al principio generale di cui all'art. 11 delle preleggi. Spetta pertanto al rimettente valutare se la fattispecie dedotta nel giudizio a quo continui a essere regolata dalla norma che, a suo avviso, gli prescrive di considerare legittima la reiterazione plurima del vincolo espropriativo decaduto. (Precedenti citati: ordinanze n. 266 del 2015, n. 253 del 2014, n. 316 del 2012, n. 268 del 2011, n. 12 del 2011 e n. 458 del 2006).
Cass. civ. n. 21183/2016
Nella valutazione della natura del terreno a fini espropriativi o risarcitori non è sufficiente fare riferimento alla destinazione originaria data dal fondo dal P.R.G. ma occorre tener presente la destinazione che quel terreno abbia assunto per effetto di una destinazione a P.E.E.P, che del P.R.G. costituisce variante con valenza programmatoria e conformativa, ed in base ad esso riconoscerne la natura edificatoria - sia pur nei limiti propri di tale destinazione - e valutarne le caratteristiche.
Corte cost. n. 244/2016
È dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, impugnato dalle Regioni Lombardia e Veneto - in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo e terzo comma, Cost. - in quanto riduce i termini residui dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, in corso al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge, relativi agli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale. La ridondanza della ipotizzata violazione del principio del legittimo affidamento dei destinatari dei provvedimenti sulla sfera delle competenze regionali non è adeguatamente argomentata dalla Regione Lombardia, mentre la doglianza della Regione Veneto, pur supportata da uno sforzo argomentativo maggiore, non vale tuttavia a dimostrare che la riduzione dei termini di espropriazione leda anche attribuzioni regionali. È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Regione Lombardia in riferimento all'art. 120 Cost.- dell'art. 35, comma 9, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, che disciplina l'applicazione del potere sostitutivo in caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 3, 5 e 8 (relativi all'adeguamento delle autorizzazioni integrate ambientali e ai procedimenti di espropriazione per pubblica utilità degli impianti di smaltimento e recupero energetico da rifiuti). Quanto alla contestata sussistenza dei requisiti costituzionalmente previsti per la sostituzione, la disposizione impugnata richiama l'art. 8 della legge n. 131 del 2003, il quale rinvia ai casi e alle finalità previsti dall'art. 120, secondo comma, Cost.; assegna, inoltre, all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere; prevede, infine, l'audizione dell'ente inadempiente da parte del Consiglio dei ministri, nonché la partecipazione del Presidente della Regione interessata alla riunione del Consiglio dei ministri che adotta i provvedimenti necessari. Quanto al mancato coinvolgimento regionale, la disposizione impugnata è espressione della competenza legislativa dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente", e spetta, dunque, al legislatore statale anche la disciplina di eventuali ipotesi di sostituzione di organi locali. L'art. 120, secondo comma, Cost. non preclude in via di principio la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel disciplinare, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, e dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost., l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali. (Precedente citato: sentenza n. 43 del 2004).
Corte cost. n. 100/2016
Sono manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97 e 117, primo comma, Cost., dell'art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che consente all'amministrazione di acquisire al proprio patrimonio indisponibile, non retroattivamente e verso corresponsione di un indennizzo al proprietario, il bene immobile utilizzato senza titolo per scopi di interesse pubblico. Dalla stessa descrizione della fattispecie concreta esposta dal rimettente risulta che nel giudizio a quo non è stato adottato alcun provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni. Pertanto, la relativa emanazione costituisce circostanza solo eventuale, non realizzatasi al momento dell'emissione dell'atto di promovimento. Ciò esclude la necessità di fare applicazione, nel caso in esame, della norma sospettata di incostituzionalità. Sull'inammissibilità dell'intervento nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale di soggetti che non hanno la qualità di parte nel processo a quo, né risultano titolari di un interesse qualificato, v. le citate sentenze nn. 2/2016, 236/2015, 221/2015, 210/2015 e 71/2015. In relazione all'impugnato art. 42-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, v. la citata sentenza n. 71/2015 in cui identiche questioni sono state rigettate o dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.
Corte cost. n. 67/2016
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, commi primo e secondo, Cost. - dell'art. 17, comma 1, lett. b), del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164), il quale, introducendo l'art. 3-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che lo strumento urbanistico locale individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione, fa salva, nelle more dell'attuazione del piano, la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario. La norma, dettando una prescrizione unitaria ed evidentemente "di principio", consente alle amministrazioni comunali di favorire, quale alternativa, anche economicamente preferibile rispetto all'espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull'area interessata e senza aumento della superficie coperta. Il meccanismo é riconducibile al sistema della "perequazione urbanistica", inteso a combinare, in contesti procedimentali di "urbanistica contrattata", il mancato onere per l'amministrazione comunale, connesso allo svolgersi di procedure ablatorie, con la corrispondente incentivazione al recupero, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente: il tutto in linea con l'esplicito intento legislativo di promuovere la ripresa del settore edilizio senza aumentare, e anzi riducendo, il consumo di suolo. Tale quadro di riferimento è legato alla competenza dello Stato a determinare principi fondamentali di settore, perfettamente rispondenti all'esigenza di salvaguardare le attribuzioni legislative concorrenti delle Regioni e quelle amministrative degli enti territoriali minori, restando inalterata l'attribuzione ai Comuni del compito di pianificazione urbanistica e di individuazione in concreto delle aree interessate da interventi di risanamento, con l'adozione degli appositi strumenti di concertazione perequativa e di assenso alla realizzazione delle opere. La disposizione, in cui si inserisce la contestata previsione, si propone complessivamente di evitare, da un lato, che, relativamente alle attività di risanamento urbanistico su tutto il territorio della Repubblica, possano determinarsi disparità di disciplina tali da vanificare gli scopi perseguiti dallo Stato nell'interesse dell'intera comunità nazionale e, dall'altro, che l'eventuale inerzia delle amministrazioni locali, relativamente all'attuazione di interventi di conservazione del patrimonio edilizio esistente, impedisca agli stessi proprietari degli immobili di esercitare scelte o facoltà inerenti al proprio diritto dominicale. Infine, l'asserito carattere autoapplicativo ed autosufficiente della disposizione impugnata non implica affatto che essa abbia natura "di dettaglio": infatti, la circostanza che, pur nel sistema della legislazione concorrente, una disciplina statale "di principio" non abbisogni, per divenire efficace, di specifiche disposizioni attuative, non può essere considerata come automaticamente produttiva dell'effetto di "espropriare" i legislatori regionali del loro autonomo potere di conformare la regolazione statale alle proprie specifiche esigenze.
Corte cost. n. 90/2016
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 (come sostituito dall'art. 38, comma 7, della legge provinciale n. 4 del 2008), sollevata in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost. La norma determina l'indennità di espropriazione per le aree non edificabili in base ai valori minimi e massimi stabiliti dalla commissione provinciale estimatrice, nonché in base alla coltura in atto al momento dell'emanazione del decreto che determina l'importo indennitario, costituente il giusto prezzo da attribuire all'espropriato. Esso, così determinato, è privo di quel carattere astratto e automatico riscontrato dalla giurisprudenza costituzionale in riferimento ad altre fattispecie, aventi ad oggetto il valore agricolo medio. Nel caso in esame, al contrario, il giusto prezzo dell'indennizzo evoca l'idea di un corrispettivo commisurato al valore effettivo del bene espropriato, e dunque conferisce all'organo competente alla determinazione dell'indennità un margine di apprezzamento che va esercitato avendo come riferimento le caratteristiche effettive del bene espropriando. L'analisi sistematica della legge impugnata, infatti, evidenzia che la citata commissione deve prendere in considerazione le caratteristiche effettive dello specifico terreno da espropriare, nonché le altre possibili sue caratteristiche, per cui oltre al tipo di coltura si deve considerare, ad esempio, anche la posizione del terreno o la sua esposizione. In tal modo risulta rispettato il principio costituzionale e convenzionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che, esclusa la necessaria coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa, prescrive che il ristoro economico debba avere un ragionevole legame con il valore di mercato (o venale) del bene ablato. Infine, nell'ipotesi in cui le tabelle recanti i valori minimi e massimi predisposte dalla commissione non garantiscano ugualmente un serio ristoro all'espropriato, resta ferma la sindacabilità delle stesse nel giudizio di opposizione alla stima, ai fini di un'eventuale disapplicazione dell'atto amministrativo che le ha approvate. Sul significato intrinseco di giusto prezzo, e sulla necessità che esso vada interpretato in modo conforme ai principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale, v. le citate sentt., nn. 181/2011 e 335/1985. Sulla necessità che l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita, non sia però fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma rappresenti un serio ristoro, v, ex multis, le citate sentì, nn. 181/2011 e 187/2014. Sulla necessità che il valore dell'indennizzo espropriativo tenga conto del valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge, v. la citata sent. n. 5/1980. Sulla necessità che, esclusa la coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa, il punto di riferimento per determinare l'indennità di espropriazione sia il valore di mercato (o venale) del bene ablato, v, le citate sent., nn. 338/2011, 348/2007, 216/1990 e 231/1984.
Corte cost. n. 88/2016
Sono manifestamente inammissibili - per carente descrizione delle fattispecie concrete, difetto di motivazione sulla rilevanza e omessa individuazione delle disposizioni sottoposte a scrutinio - le questioni di legittimità costituzionale degli artt. da 124 a 137 del d.l. 19 agosto 1917, n. 1399 (Approvazione del Testo Unico delle disposizioni di legge emanate in conseguenza del terremoto del 28 dicembre 1908), censurati per violazione degli artt. 3 Cost. e 14, primo comma, lett. f) ed s), dello statuto siciliano, e 1, comma 2, del D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), denunciato in riferimento all'art. 76 Cost. Le ordinanze di rimessione elencano una serie di provvedimenti amministrativi impugnati, senza illustrarne lo specifico contenuto e senza indicare il titolo di legittimazione che fonda l'interesse dei privati ad impugnarli. I censurati articoli da 124 a 137 recano norme speciali per i comparti del piano regolatore di Messina e delineano una complessa procedura volta a facilitare la ricostruzione delle aree distrutte dal terremoto del 1908. Tale procedura è scandita in fasi e ricomprende specifiche disposizioni dedicate all'espropriazione e alla riassegnazione dei beni compresi nel comparto, ma nessuna delle ordinanze di rimessione chiarisce in quale fase ha origine il rispettivo contenzioso. Le evidenziate lacune rendono perciò impossibile verificare se le contestate disposizioni debbano essere effettivamente applicate per definire i giudizi principali e se le ragioni esposte a sostegno del dubbio di costituzionalità abbiano attinenza con l'oggetto di ciascuno dei medesimi giudizi. In secondo luogo, tutti gli atti di promovimento censurano in blocco un consistente gruppo di disposizioni senza una distinta disamina dei loro rispettivi contenuti: in tal modo, i rimettenti utilizzano i giudizi a quibus come mere occasioni per contestare la legittimità costituzionale di un intero settore della normativa recata dal menzionato d.l. , ma, così facendo, omettono del tutto di individuare le singole disposizioni, o parti di esse, la cui presenza nell'ordinamento determinerebbe la lamentata violazione degli evocati parametri. Sull'inammissibilità, specialmente manifesta, di questioni per carente descrizione delle fattispecie concrete e/o per difetto di motivazione sulla rilevanza, v., ex plurimis, le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 241/2015, 185/2015 e 98/2014; ordinanze nn. 25/2016, 270/2015, 209/2015, 207/2015, 162/2015, 161/2015, 147/2015, 104/2015, 90/2015 e 36/2015. Sull'onere per il rimettente di individuare le singole disposizioni, o parti di esse, la cui presenza nell'ordinamento determinerebbe la lamentata violazione degli evocati parametri, v., ex plurimis, le seguenti citate decisioni: sentenza n. 218/2014; ordinanze nn. 101/2015, 21/2003, 337/2002 e 97/2000.
Cass. civ. n. 18236/2015
In caso d'irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio, il soggetto delegato al compimento dell'opera pubblica risponde - unitamente alla R.A. committente e delegante - del danno da occupazione appropriativa, nel caso in cui la delega fosse estesa al compimento delle procedure amministrative preordinate all'esproprio, poiché l'onere di promuovere e sollecitare la tempestiva emissione del decreto di esproprio da parte del titolare del potere espropriativo rientra tra i compiti del delegato.
Cons. Stato n. 3303/2008
Argomentando dagli artt. 1, comma 1, e 3, comma 1 lett. c), del D.P.R. n. 327 del 2001, si deduce agevolmente come il provvedimento ablatorio e, dunque, anche il provvedimento di acquisizione sanante di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, può indirizzare l'effetto acquisitivo a favore del patrimonio di un soggetto diverso dall'autorità emanante, ivi compreso un soggetto privato.
Cons. Stato n. 795/2008
Le norme dettate dal R.D. n. 1473 del 1938 in tema di espropriazione c.d. alberghiera sono state abrogate dal sopravenuto T.U. sugli espropri, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, limitatamente agli aspetti procedimentali e non anche a quelli sostanziali, risultando confermata dagli art. 1, 6, 10 e 16 del suddetto testo unico la possibilità che l'istanza di espropriazione sia presentata anche in favore di privati per l'attivazione o la valorizzazione di un’attività imprenditoriale.
Cons. Stato n. 4847/2003
Le infrastrutture di telecomunicazione e quelle ad esse accessorie, sono opere private di pubblica utilità e ciò implica: a) la possibilità di utilizzare lo strumento espropriativo, che riguarda sia le opere pubbliche che quelle private di pubblica utilità (come ora confermato dall'art. 1, co.1, D.Lgs. 2001, n. 327, Testo Unico delle espropriazioni immobiliari); b) la sottoposizione dell'espropriazione finalizzata a opere private di pubblica utilità a regole parzialmente difformi rispetto a quelle dettate per le opere pubbliche in quanto l'indennità va commisurata al valore venale (come ora confermato dall'art. 36 T.U. espropriazioni) ed è inapplicabile l'art. 1, I. n. 1/1978, che riguarda solo le opere pubbliche, o quelle di pubblica utilità che fruiscono di finanziamento pubblico.
Corte cost. n. 126/1988
Il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento cagionata da espropriazione per p.u. di immobile adibito ad attività commerciale o artigiana non determina una decurtazione della indennità spettante al proprietario e può essere soddisfatto se e nella misura in cui il valore dell'avviamento può essere calcolato come posta aggiuntiva dell'indennità di espropriazione.
Cons. Stato n. 37/1985
Nel sistema normativo dell'espropriazione per p.u., tutte le disposizioni derogatorie alle leggi più generali vanno interpretate in senso restrittivo, sia perché sono leggi dichiaratamente eccezionali, sia perché tale eccezionalità consiste normalmente in semplificazioni procedurali che si risolvono in significative limitazioni delle garanzie spettanti ai privati colpiti dall'espropriazione.
Cons. Stato n. 21/1983
Le norme sull'espropriazione, quando fanno riferimento, nel disciplinare il procedimento, al diritto del proprietario, intendono soltanto indicare la posizione giuridica soggettiva che, nell'ordinamento, implica il più ampio potere di godimento del bene; peraltro, non è in alcun modo escluso dalla legge che il provvedimento ablatorio possa colpire, sia congiuntamente alla proprietà, sia in modo autonomo, altri diritti di godimento del bene, ed è certo che, quanto conduttore sia l'unico soggetto interessato, debba riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica del procedimento.
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E legittimo il provvedimento ablatorio (e "a fortiori" quello di occupazione d'urgenza) che abbia ad oggetto, sia congiuntamente alla proprietà sia in modo autonomo, altri diritti personali di godimento di beni immobili; pertanto, qualora il conduttore di un rapporto di locazione sia l'unico soggetto interessato, è da riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica delle norme sul procedimento di espropriazione.