Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale della medesima città, aveva confermato la dichiarazione di penale responsabilità di un imputato per il reato di cui all’art. 3 della legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 (“violazione degli obblighi di natura economica”, nell’ambito di un procedimento di separazione dei genitori e affidamento dei figli).
L’imputato, in particolare, era stato accusato di aver versato all’ex compagna la somma di Euro 150 mensili, a titolo di mantenimento del figlio minorenne, a fronte dell’obbligo di corrispondere il maggiore importo di Euro 350 mensili, stabilito dal Tribunale per i Minorenni.
L’imputato, inoltre, avrebbe omesso di versare la quota del 50% delle spese mediche e straordinarie, anch'essa stabilita dal giudice.
Ritenendo la sentenza ingiusta, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione.
Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe dichiarato la penale responsabilità dell’imputato “senza aver considerato l'intera evoluzione del rapporto dell'imputato con la convivente” ed escludendo “erroneamente la necessità del consenso preventivo del ricorrente all'effettuazione delle spese mediche e scolastiche, e ritenendo attendibili le dichiarazioni della persona offesa, in assenza di riscontri”.
Nello specifico, il ricorrente evidenziava che il Giudice di secondo grado non aveva tenuto conto “nè della necessità per il ricorrente di versare oltre 2.100 Euro mensili a titolo di rate per due mutui ipotecari, nè della circostanza che, con riferimento ad uno dei due rapporti debitori, pari a 1.500 Euro mensili, 750 Euro erano a carico della L., essendo la donna cointestataria del contratto (e dell'immobile per una modestissima quota)”.
La Corte di Cassazione riteneva di dover annullare la sentenza impugnata, in quanto “il fatto oggetto di contestazione e di condanna nei giudizi di merito non è previsto dalla legge come reato”.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, che all’imputato era stato contestato il reato di cui all’art. 3 della legge n. 56/2006, nonostante dagli atti di causa emergesse con chiarezza che l’imputato non era sposato con la denunciante, essendo il medesimo legato ad essa da un rapporto di convivenza.
Ebbene, secondo la Corte, doveva escludersi che la legge citata si riferisse “anche alla violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza”.
Infatti, secondo la Cassazione, “la disposizione in esame, in forza della quale ‘in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies’, deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, e, in particolare, dell'art. 4, comma 2, che recita: ‘Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonchè ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati’”.
Dunque, secondo la Corte, “mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla L. n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai "procedimenti relativi" agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l'ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla L. n. 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all'art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale”.
Secondo la Cassazione, peraltro, il fatto contestato all’imputato non poteva nemmeno essere ricondotto all’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), dal momento che nella sentenza impugnata erano stati evidenziati solo “ritardi parziali nell'adempimento, e, alla fine del periodo, un inadempimento complessivo pari a 200 Euro”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata “perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato”.