La
Corte di Cassazione, con
sentenza n. 29079 del 3 luglio 2019, si è occupata del delicato tema della possibilità di sequestrare le somme presenti in un conto corrente cointestato del quale l’indagato rappresenti uno dei due titolari.
In particolare, nel caso di specie, il padre dell’indagato proponeva appello contro la misura cautelare con la quale era stato disposto il
sequestro preventivo delle
somme presenti sul
conto corrente cointestato con il figlio indagato per i reati di cui agli articoli
2 e
8 del D. lgs 74/2000.
I giudici della Cassazione, a tal proposito, hanno affermato come la misura cautelare di natura penale “prevale sulle regole di ordine civilistico."
In altre parole gli ermellini, ricordando un consolidato orientamento di legittimità secondo cui le somme di denaro depositate su
conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, hanno affermato come tale sequestro si estenda ai beni “
comunque nella disponibilità dell’indagato”.
Le regole operanti in forza della normativa civilistica, in particolare con riferimento al rapporto solidarietà tra creditori e debitori (
art. 1289 del c.c.) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (
art. 1834 del c.c.),
non rilevano e anzi soccombono al cospetto dell’esigenza di
ordine pubblico rappresentata dalla misura cautelare del sequestro.
La Cassazione, per giustificare la sua conclusione, afferma come “in considerazione della facoltà per il cointestatario di disporre dell'intero saldo attivo esistente sul conto corrente comune, fatti salvi i suoi rapporti con l'altro contitolare, la giurisprudenza di questa Corte ha, da tempo, affermato che può essere disposto il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter cod. pen., dell'intera somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, senza che assumano rilievo le presunzioni o i vincoli posti dal codice civile”.
Resta salva, in ogni caso, la possibilità di procedere, in un secondo momento, ad un accertamento effettivo dei beni che risultino di esclusiva
proprietà di terzi estranei al reato.
La
ratio di tale decisione è sostenuta anche dal fatto che, come si legge nella
motivazione della sentenza, la
protrazione del fatto criminoso e l’
aggravamento delle sue conseguenze possono effettivamente essere agevolati non solo dalla
piena utilizzabilità del denaro da parte dell’indagato, ma anche dalla
libera disponibilità delle somme presenti nel conto corrente anche, eventualmente, ad opera di un terzo di buona fede.