La vicenda ha preso avvio dalla pronuncia, da parte del
tribunale di Sassari, della
separazione con addebito nei confronti di una moglie, per essersi questa
allontanata improvvisamente dalla casa familiare. Nonostante la donna avesse tentato di far rientro nel
domicilio della
famiglia dopo due giorni, non ci era riuscita, dal momento che il marito aveva nel frattempo provveduto a far cambiare la serratura della porta di casa.
L’addebito veniva però pronunciato ugualmente nei confronti della donna, in quanto quest’ultima
non aveva dimostrato l’esistenza di precedenti condizioni (come pressioni, violenze o minacce del marito)
idonee ad indurla a lasciare l’abitazione.
Pertanto, il
giudice assegnava la casa familiare al marito e la moglie si vedeva costretta ad andare a vivere a casa della madre, assieme anche ad uno dei due
figli. Successivamente anche l’altro figlio, divenuto maggiorenne, decideva di trasferirsi dalla nonna, insieme alla madre.
Anche in
appello veniva confermata la
decisione di
primo grado, avendo i giudici rilevato che dall'istruttoria non fosse emerso alcun comportamento del marito che potesse confermare la tesi della pregressa crisi coniugale in atto, tale da giustificare l’allontanamento.
La Corte d’appello aveva infatti considerato la decisione della donna di abbandonare la
residenza familiare come
unilaterale e non temporanea, ed avente lo scopo di porre fine alla relazione coniugale.
In mancanza di giustificati motivi, l’allontanamento unilaterale di un coniuge dalla residenza familiare costituisce
violazione del dovere di coabitazione e determina l’
addebito della separazione.
La donna ricorreva pertanto in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero omesso di prendere in considerazione sia il suo tentativo di rientro nell’abitazione familiare dopo due giorni - reso peraltro impossibile dal cambio della serratura repentinamente effettuato del marito -, sia il fatto che già da tempo fosse in atto una crisi coniugale tra i due.
Oltretutto, secondo la
ricorrente, il coniuge aveva richiesto l’addebito nei suoi confronti sulla base di un’asserita infedeltà coniugale, la quale, però, all’esito dell’assunzione delle prove testimoniali, non era stata dimostrata. Quest’ultima
condotta sarebbe stata semmai rilevante ai fini dell’addebito e non, invece, il temporaneo abbandono della casa familiare.
La
Corte di Cassazione, tuttavia, con l’
ordinanza n. 509/2020, ha
dichiarato inammissibile il ricorso, valutando come corretta la valutazione operata dalla Corte d’appello, non avendo quest’ultima omesso l’esame di alcun fatto decisivo per il
giudizio, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Suprema Corte ha così confermato la decisione dei giudici di
merito di addebitare la separazione alla moglie, ribadendo l’orientamento giurisprudenziale dominante, per cui l'allontanamento dalla casa coniugale effettuato dal coniuge senza il consenso dell'altro costituisce una violazione di un obbligo derivante dal
matrimonio ed è perciò causa di
addebito della separazione.
Ciò è vero, a meno che non si dimostri che tale scelta era giustificata da una preesistente condizione di intollerabilità della convivenza, e tale onere probatorio ricade esclusivamente sul coniuge che si è allontanato.