La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla pronuncia con cui la Corte d’Appello, adita nell’ambito di un procedimento di separazione coniugale, aveva rigettato la domanda di addebito della stessa, presentata da un uomo nei confronti dell’ormai ex moglie, la quale si era allontanata dalla casa familiare.
Rimasto soccombente, l’ex marito ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, essenzialmente, la violazione dell’art. 132 del c.p.c. A suo avviso, infatti, la Corte territoriale aveva errato, innanzitutto, nel ravvisare, nella sua condotta, una sostanziale acquiescenza all’allontanamento della moglie dalla casa familiare, da cui si era desunto che l’affectio coniugalis fosse venuta meno già nel corso della convivenza, mentre, in realtà, l’allontanamento era avvenuto in epoca precedente ai fatti che, poi, avevano posto definitivamente fine al rapporto tra i coniugi.
Secondo il ricorrente, poi, i giudici di merito avevano errato anche nell’aver ritenuto giustificato l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale, posto che, prima della proposizione della domanda di separazione, era trascorso un lungo lasso di tempo.
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile.
Gli Ermellini hanno evidenziato come, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, i giudici di merito abbiano correttamente applicato il principio di diritto affermato, in materia, dalla costante giurisprudenza di legittimità, in base al quale “il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto” (Cass. Civ., n. 25966/2016; Cass. Civ., n. 19328/2015; Cass. Civ., n. 10719/2013).
Proprio in ossequio a tale principio, la Corte d’Appello, pur dando atto dell’abbandono della casa familiare da parte della donna, ha correttamente posto in risalto una serie di circostanze rimaste incontestate, soltanto in parte posteriori alla predetta condotta, da essa ritenute idonee a dimostrare che l'interruzione della convivenza avesse, in realtà, rappresentato l'esito di una crisi familiare già in atto da tempo, in quanto attestanti l'intervenuto deterioramento dei rapporti tra i coniugi già in epoca anteriore al predetto allontanamento.
La sentenza impugnata ha, difatti, evidenziato puntualmente sia come l’allontanamento della donna dal tetto coniugale fosse stato giustificato da varie circostanze, quali gli accesi contrasti con la famiglia d’origine e la sua esclusione dalla gestione delle entrate familiari, nonché la prolungata assenza di rapporti intimi tra i coniugi, sia come lo stesso ricorrente avesse dimostrato uno scarso interesse per l’allontanamento della moglie, essendo andato alla sua ricerca soltanto dopo un certo lasso di tempo e avendo chiesto sue notizie ai parenti soltanto saltuariamente.