Secondo tale assunto, dunque, tale comportamento non costituisce di per sé motivo di addebito, essendo invece necessario verificare se esso sia l’effetto dell’intollerabilità del rapporto oppure la causa.
Se applicassimo tali principi, il giudice sarebbe chiamato, caso per caso, ad effettuare una propria valutazione, lasciando un ampio margine di discrezionalità in ordine all’eventuale “scriminante” per il coniuge allontanatosi.
La questione va pertanto esaminata sotto il profilo dell’ampiezza delle scriminanti in presenza delle quali, un comportamento di per sé illegittimo e motivo di addebito della separazione, viene invece considerato legittimo.
Ciò premesso, parlando di scriminanti, è doveroso il riferimento ad un principio generale affermato dalla normativa e ribadito più volte dalla giurisprudenza, ovvero quello secondo cui l’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, e cioè senza il consenso dell’altro coniuge, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione poiché porta all’impossibilità della coabitazione, quale obbligo e presupposto stesso di un rapporto matrimoniale.
Si è sostenuto in giurisprudenza che "se la rottura del rapporto coniugale è precedente all’allontanamento dall’abitazione, della quale pertanto non poteva essere stato causa, l’addebitabilità della separazione al coniuge che si allontani deve essere esclusa senza necessità di verificare ulteriormente se il comportamento dell’altro coniuge costituisca violazione dei suoi doveri coniugali".
Si tratta quindi di valutare con il massimo rigore possibile le situazioni in presenza delle quali l’allontanamento unilateralmente determinato dall’abitazione coniugale possa ritenersi giustificato.
In particolare, incomberà sul coniuge che si è allontanato l’onere della prova circa l’esistenza di quel giustificato motivo che, rendendo oggettivamente intollerabile il protrarsi della convivenza, ha legittimato il comportamento.
La Cassazione Civile, con sentenza numero 2059 del 14.02.2012, ha inoltre stabilito che "l'abbandono del tetto coniugale prima della domanda di separazione e senza una valida ragione fa scattare automaticamente l'addebito. A maggior ragione se il coniuge che ha reciso la coabitazione lo ha fatto per intraprendere una convivenza more uxorio. Infatti, il coniuge, il quale provi che l'altro ha volontariamente e definitivamente abbandonato la residenza familiare senza aver proposto domanda di separazione personale, non deve ulteriormente provare l'incidenza causale di quel comportamento illecito sulla crisi del matrimonio, implicando esso la cessazione della convivenza e degli obblighi ad essa connaturati, e gravando sull'altra parte l'onere di offrire la prova contraria, che quel comportamento fosse giustificato dalla preesistenza di una situazione d'intollerabilità della coabitazione, nonostante l'assenza della giusta causa prevista dall'art. 146 del c.c.".
Ovviamente, in presenza di accordo tra le parti o nel caso in cui la parte o le parti abbiano proceduto al deposito di un ricorso per separazione, l’allontanamento dalla casa coniugale non rappresenta motivo di addebito della separazione.
In problema si pone pertanto solo con riferimento alla valutazione del comportamento del coniuge che si allontana adducendo l’esistenza di situazioni talmente gravi da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza e non, quindi, una generica ed immotivata “intollerabilità”.