Oggetto del risarcimento, perciò, è la lesione del diritto all’autodeterminazione.
La citata pronuncia è intervenuta all’esito di una triste vicenda, relativa al decesso di una signora affetta da una leucemia linfatica cronica non diagnosticata.
L’iter giudiziario era iniziato infatti con l’azione di risarcimento avanzata dal marito e dal figlio della donna avverso i medici che l’avevano visitata, in solido con le varie strutture sanitarie. Segnatamente, gli attori avevano dedotto che la donna era stata ricoverata per ben tre volte in Italia con vistosi sintomi ma che la stessa era sempre stata dimessa dopo pochi giorni con una diagnosi scorretta relativa a lievi patologie, sicchè, persistendo la sintomatologia, aveva deciso di farsi visitare e curare presso una struttura estera, ove le veniva riscontrata la predetta patologia, ormai ad uno stadio talmente grave che ne aveva causato il decesso.
Il Tribunale aveva tuttavia rigettato la domanda, non riscontrando alcuna negligenza nella condotta dei convenuti.
La Corte d’appello, poi, aveva confermato la sentenza, ritenendo insussistente il nesso di causalità tra la condotta omissiva dei sanitari (pur censurabile sotto vari profili) e l’evoluzione della malattia.
Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso in Cassazione ed è proprio nel parziale accoglimento dell'impugnazione che la Suprema Corte ha ribadito l’importante orientamento circa la risarcibilità del danno da lesione al diritto di autodeterminarsi.
Il Supremo Collegio ha infatti affermato che in tema di danno alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona, in quanto essa nega al paziente di essere messo nelle condizioni di:
a) scegliere cosa fare, nell’ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto;
b) programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato, l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell’esito.
Tanto precisato, la Corte si sofferma sulla differenza di tale lesione rispetto al danno da perdita di chances: la violazione del diritto di autodeterminarsi nella scelta delle opzioni terapeutiche ed esistenziali cagionata dall’omessa diagnosi della patologia mortale non coincide – si legge nella motivazione della recente sentenza – con la perdita della chance di guarigione, poiché ad essere leso è un bene autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale. Tale bene, in particolare, si sostanzia nel disporre di un “ventaglio di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita”, sia dal punto di vista terapeutico sia da quello della preparazione psicologica alla morte più o meno imminente.
Per tale ragione, peraltro, la condanna al risarcimento del danno da omessa diagnosi non presuppone l’assolvimento di rigidi oneri probatori ma può avvenire sulla base di una liquidazione equitativa.