Ma tale indennità è dovuta sempre e comunque? Oppure l’obbligo di versarla viene meno qualora si rinunci al periodo di preavviso che sarebbe previsto a proprio vantaggio?
A tale quesito ha recentemente fornito risposta la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 27934 del 13 ottobre 2021.
La vicenda, nello specifico, sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, traeva origine dalle dimissioni presentate da un dipendente alla società per cui lavorava, la quale aveva accettato l’interruzione immediata del rapporto e aveva esonerato il dipendente dall’obbligo di preavviso.
Il lavoratore dimissionario, non essendogli stata versata l’indennità sostitutiva, aveva dunque notificato un decreto ingiuntivo alla società, la quale si era dunque opposta.
Il Tribunale, tuttavia, aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo e tale sentenza veniva poi confermata dalla Corte d’appello.
Avverso la sentenza di secondo grado, quindi, la società aveva presentato ricorso e la Cassazione ha ritenuto siffatta impugnazione meritevole di accoglimento.
La Suprema Corte, al fine decidere sul ricorso, ha dovuto preliminarmente prendere posizione sul dibattuto tema della natura del termine di preavviso. Su tale questione, infatti, si contrappongono da lungo tempo due diversi orientamenti:
- per la tesi prevalente, il periodo di preavviso ha, come si evince dalla lettera della norma, efficacia obbligatoria: il soggetto che recede, quindi, può sostanzialmente scegliere (secondo lo schema dell’obbligazione alternativa) se proseguire il rapporto di lavoro fino alla scadenza del termine di preavviso oppure recedere immediatamente e pagare l’indennità sostitutiva;
- per una tesi minoritaria, ancorchè molto diffusa, il periodo di preavviso ha efficacia reale e costitutiva, nel senso che la decorrenza del termine costituisce la condizione di efficacia del recesso dal contratto di lavoro. Secondo tale tesi, quindi, il soggetto che recede non può scegliere di interrompere immediatamente il rapporto lavorativo pagando l’indennità, ma ciò è possibile solo e soltanto dietro accordo, anche tacito, delle parti.
Da ciò la Suprema Corte consequenzialmente ricava che il diritto al preavviso è liberamente rinunciabile anche da parte del soggetto non recedente, il quale può dunque optare per la cessazione immediata del rapporto di lavoro. Da tale scelta, tuttavia, non deriva l’obbligo di corrispondere l’indennità di mancato preavviso alla luce di una duplice considerazione:
- quella per cui in capo alla controparte, che ha esercitato il diritto di recesso dal contratto di lavoro, non sussiste l’interesse alla prosecuzione del rapporto;
- quella per cui “la libera rinunciabilità del preavviso esclude che ad essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti delle obbligazioni indicate nell’art.1173 c.c.”.