Nel caso in questione, il Tribunale di Larino aveva emesso un decreto ingiuntivo (art. 633 e seguenti codice procedura civile), con il quale era stato ingiunto ad una condomina di pagare una determinata somma in favore del titolare di un’impresa edile, asseritamente dovuta “per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di parti comuni del condominio (…) nel quale è sito l’appartamento di proprietà della debitrice ingiunta”.
La debitrice proponeva opposizione al suddetto decreto ingiuntivo, “deducendo l’infondatezza del credito, in quanto essa non aveva mai conferito alcun incarico alla ditta, a lei sconosciuta, e che i lavori de quo, la maggior parte dei quali non previsti nel deliberato del 28.8.1999, da lei pure sottoscritto, dovevano ritenersi, in particolare, richiesti ed eseguiti in favore degli altri comunisti”.
In sostanza, la donna affermava di non conoscere nemmeno la ditta che le aveva ingiunto il pagamento e che i lavori in contestazione riguardavano gli altri condomini e non la donna stessa.
Il Tribunale riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla opponente.
In particolare, secondo il Tribunale, il contratto di appalto (art. 1655 codice civile), posto alla base dell’ingiunzione di pagamento, doveva ritenersi radicalmente nullo (art. 1421 codice civile), dal momento che le opere eseguite dall’impresa erano “prive di specifiche autorizzazioni edilizie, nonché dei nulla osta previsti dalla legge, nonché dall’apposito regolamento comunale per gli interventi da eseguirsi sugli immobili” come quello in questione (che era di particolare interesse storico, culturale ed ambientale).
Di conseguenza, il Tribunale riteneva che “le opere appaltate non erano state autorizzate e che, pertanto, sono da considerarsi abusive”.
Ebbene, accertata la natura abusiva delle opere appaltate, il Tribunale concludeva affermando la nullità del contratto di appalto, ai sensi degli artt. 1346 e 1421 codice civile, “per violazione delle norme imperative in materia urbanistica e di tutela dei beni di interesse storico-culturale”, che subordinano l’esecuzione dell’opera al rilascio di apposite e specifiche autorizzazioni.
Pertanto, secondo il Tribunale, sulla base di tale contratto nullo, l’appaltatore non poteva pretendere il pagamento del corrispettivo, “non potendo l’accordo negoziale intercorso tra le parti, sanare la violazione di norme di legge ovvero “superare” i divieti da questa imposti”.
In proposito, il Tribunale precisava che a nulla rileva “l’ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, che non può ritenersi scusabile per la grave colpa del contraente, il quale, con l’ordinaria diligenza, ben avrebbe potuto avere conoscenza della reale situazione, incombendo anche sul costruttore, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 47/1985, l’obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni”.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale accoglieva l’opposizione proposta e revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando l’impresa edile al pagamento delle spese processuali.