Nel caso esaminato dalla Cassazione, il coniuge aveva agito in giudizio al fine di far dichiarare efficace in Italia la sentenza ecclesiastica che stabiliva la nullità del matrimonio, celebrato con il rito religioso, per “esclusione dell'indissolubilità del matrimonio” da parte del coniuge stesso.
La moglie si era costituita in giudizio, opponendosi a tale richiesta, in considerazione dell’insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 8 comma 2 della legge n. 121/1985 e dall' art. 64 legge n. 218/1995 e per violazione dell'art. 123 del c.c. e l'art. 29 Cost. e sostenendo che la convivenza fra i coniugi si fosse “protratta per tutta la durata decennale del matrimonio, allietato dalla nascita di una figlia nel 2005”.
La Corte d’appello accoglieva la domanda del ricorrente, in quanto risultava assodato che la moglie fosse a conoscenza “della riserva mentale rispetto al matrimonio che aveva caratterizzato l'atteggiamento e le dichiarazioni del C. sin dall'epoca in cui i futuri coniugi erano fidanzati”.
Nel caso in esame, infatti, secondo la Corte, la donna, pur a conoscenza delle riserve mentali del futuro marito, “aveva accettato il rischio di sposarlo, avendo fiducia che con il matrimonio si sarebbero annullate le tensioni derivanti dal differente atteggiamento dei nubendi”.
Ritenendo la sentenza ingiusta, la moglie proponeva ricorso per Cassazione, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 16379 del 17 luglio 2014), in base alla quale “la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'ordine canonico nonostante la sussistenza della convivenza coniugale”.
Secondo la ricorrente, inoltre, l'istruttoria espletata nel giudizio canonico aveva evidenziato “l'esistenza di una riserva mentale del C. non conosciuta dalla odierna ricorrente. Circostanze queste ostative alla delibazione della sentenza ecclesiastica per contrasto all'ordine pubblico e al principio della tutela della buona fede e dell'incolpevole affidamento del soggetto rimasto estraneo alle riserve mentali del proprio coniuge”.
Inoltre, si sottolineava come i coniugi avessero “fortemente voluto e volontariamente concepito una figlia nata il 5 agosto 2001, fatto questo non considerato dalla Corte di appello che ne avrebbe dovuto dedurre la piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale, tale da implicare la sopravvenuta irrilevanza giuridica dei vizi genetici eventualmente inficianti l'atto di matrimonio”.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente.
Secondo la Cassazione, “la convivenza ‘come coniugi’, quale elemento essenziale del ‘matrimonio-rapporto’, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ‘ordine pubblico italiano’, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, già affermata dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, e ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico”.
Poiché, dunque, nel caso di specie, il matrimonio si era protratto per oltre tre anni, la Cassazione riteneva che non potesse essere dichiarata efficace nel nostro ordinamento la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.