Va osservato che, attraverso questa pronuncia, la Corte d’Appello ha dimostrato di non essere d’accordo con l’orientamento giurisprudenziale espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, con una sentenza di pochi anni fa, avevano sostenuto esattamente il contrario.
In particolare, mentre secondo le Sezioni Unite la sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico (la c.d. Sacra Rota) può divenire efficace anche ai fini civilistici solo se la convivenza non si sia protratta per più di tre anni (Cassazione, sentenza n. 16379 del 2014), secondo il giudice d’appello, il recepimento della sentenza ecclesiastica nell’ordinamento italiano è possibile anche se la convivenza è durata oltre il suddetto termine e la richiesta sia stata avanzata da uno solo dei coniugi, con opposizione dell’altro.
Va precisato, infatti, che la sentenza pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico che dichiari la nullità del matrimonio celebrato con il rito religioso non è automaticamente efficace anche nell’ordinamento italiano, essendo necessaria un’apposita procedura, denominata di “delibazione”, dinanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente, attraverso la quale la sentenza ecclesiastica viene recepita nell’ordinamento italiano, diventando efficace anche per la legge civile.
Nell’ipotesi in cui la Corte giunga a ritenere di recepire, appunto, tale sentenza, il matrimonio verrà dichiarato nullo anche ai sensi della legge italiana, con effetto retroattivo e, dunque, senza possibilità per l’ex coniuge di avanzare nei confronti dell’altro, pretese di alcun tipo, nemmeno in relazione al mantenimento.
E’ proprio in relazione a quest’ultimo aspetto che la Corte di Cassazione aveva ritenuto di escludere la possibilità di recepire la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio dopo tre anni di convivenza: la motivazione di fondo, infatti, era quella di tutelare il coniuge economicamente più debole che, in base alla legge italiana, anche dopo l’eventuale cessazione degli effetti civili del matrimonio, è tutelato attraverso la possibilità di ottenere la corresponsione di un assegno di mantenimento, che sarebbe, come detto, escluso, in ipotesi di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale.
Secondo la Corte, infatti, la convivenza coniugale rappresenterebbe un valore costituzionalmente rilevante (oltre che essere tutelato anche dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea) e costituirebbe un elemento essenziale del c.d. “matrimonio rapporto”, fonte di una serie di diritti e doveri inderogabili.
Peraltro, osserva la Corte come sia stato lo stesso accordo del 1984, modificativo dei Patti Lateranensi, ad escludere la possibilità di delibare la sentenza definitiva ecclesiastica di nullità matrimoniale in presenza di una lunga convivenza, dal momento che tale decisione si porrebbe in contrasto con l’ordine pubblico italiano.
In ogni caso, peraltro, la Corte precisa come tale convivenza debba essere caratterizzata, oltre che dal requisito della stabilità, anche da quello della “riconoscibilità”, in quanto la stessa deve risultare da specifici comportamenti che siano visibili anche all’esterno, tali, pertanto, da poter essere dimostrati, eventualmente, anche in sede giurisdizionale.
Ebbene, la Corte d’Appello di Catania ha ritenuto di ribaltare tale orientamento giurisprudenziale, recependo una sentenza ecclesiastica di nullità di un matrimonio protrattosi per oltre tre anni.
Nel caso di specie, dunque, la Corte d’appello, visto il ricorso congiunto presentato dai coniugi volto ad ottenere la declaratoria di efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza ecclesiastica di nullità del loro matrimonio, nonché considerato il parere favorevole espresso dal Pubblico Ministero e la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge, ha dichiarato l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del Tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio contratto tra i coniugi stessi, nonostante il medesimo avesse avuto una durata superiore ai tre anni.