L’art. 52 D. Lgs. 196/2003, poi, prevede che l'interessato possa chiedere per motivi legittimi che sull’originale della sentenza o del provvedimento sia apposta un'annotazione volta a precludere l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o in rete.
Ma queste norme possono costituire in qualche modo una base giuridica tale da far ritenere ammissibile un ricorso presentato in forma anonima oppure sono irrilevanti, riguardando esclusivamente la garanzia del diritto alla riservatezza della parte nei confronti di soggetti terzi?
Il TAR Lazio, Sez. I, con sentenza n. 1808 del 15 febbraio 2022, ha affrontato proprio questo tema, ritenendo che il ricorso depositato in via telematica in assenza degli elementi identificativi della parte ricorrente debba essere dichiarato inammissibile.
In particolare, il Giudice Amministrativo ha ritenuto
- che i dati normativi citati in premessa sono inconferenti, non afferendo al tema della indicazione dei dati identificativi delle parti nel ricorso ma riguardando solo la garanzia del diritto alla riservatezza della parte nei confronti di soggetti estranei al giudizio;
- che consentire l’anonimato del ricorso contrasterebbe con l’art. 40 comma 1, lett. a), c.p.a., secondo cui il ricorso deve contenere distintamente, a pena di nullità, “gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto”;
- che consentire l’anonimato del ricorso contrasterebbe altresì con il diritto di difesa ex art. 24 Cost. e con le garanzie del giusto processo di cui agli artt. 111 Cost., e 117 Cost. in relazione all’articolo 6 CEDU.
Il Giudice Amministrativo, in particolare, ha evidenziato che il principio della parità delle armi, che è un corollario della nozione stessa di processo equo ed è inteso ad assicurare l'equilibrio tra le parti, implica che tutte le parti debbano avere una ragionevole possibilità di presentare la propria causa, e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari e che “non consentire alla controinteressata di conoscere l’identità della parte ricorrente la priva senz’altro di esercitare le sue prerogative nel presente giudizio, impedendole, tra l’altro, di spiegare attività difensiva avuto riguardo alla legittimazione e all’interesse all’azione dell’odierna esponente”.
Per tale ragione, il TAR Lazio ha concluso che la “spendita del nome” del ricorrente nel processo amministrativo nei confronti di tutte le parti del giudizio è un elemento necessario e imprescindibile per la corretta proposizione dell’azione e che in sua assenza il presente ricorso va dichiarato inammissibile.