Sul punto, due erano le tesi vigenti sul campo giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento, in caso di occupazione sine titulo di un bene immobile, il risarcimento del danno era da commisurarsi al mero fatto dell’ occupazione: pertanto, al fine della quantificazione del risarcimento, era necessario prendere in considerazione il solo danno evento (da intendersi come evento lesivo dell’occupazione), e non le conseguenze da questo derivanti.
Suddetto filone dottrinario, pertanto, qualificava il danno da occupazione sine titulo di bene immobile come danno in re ipsa: derogando le ordinarie regole della responsabilità civile di stampo aquiliano (ex art. 2043 del c.c.), al fine di risarcire il danno in esame non era necessario allegare e provare le conseguenze pregiudizievoli (ossia, il danno conseguenza, derivante dalla causalità giuridica, che collega l’evento lesivo alle conseguenze dannose risarcibili), bensì poteva procedersi attraverso la semplice allegazione dell’evento lesivo, esso stesso considerato pregiudizievole per il danneggiato. La quantificazione dell’evento lesivo dell’occupazione senza titolo era, in via indiziaria, da farsi corrispondere al valore d’uso del bene immobile, da intendersi in via diretta (utilizzo personale che il proprietario poteva effettuare del bene immobile oggetto di occupazione), ovvero indiretta (cessione del godimento del bene, attraverso locazione, a terzi: il danno da occupazione, in via equitativa, corrisponde al valore locativo del bene immobile).
In altri termini, la soppressione delle mere facoltà di godimento e disponibilità del bene per effetto dell’occupazione abusiva, generava una praesumptio hominis
Secondo un secondo filone giurisprudenziale, invece, in caso di occupazione del bene immobile da parte del terzo, era necessario per il proprietario della res allegare e provare non solo il danno evento, bensì anche il danno conseguenza, nel pieno rispetto delle regole della responsabilità civile aquiliana. In altri termini, oltre all’allegazione del mero evento lesivo dell’occupazione da parte del terzo (danno evento, causalità materiale), il proprietario, al fine di ottenere il risarcimento del danno, doveva comunque allegare e provare le conseguenze pregiudizievoli subite (danno conseguenza, causalità giuridica): ciò poteva avvenire anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio.
Suddetto filone giurisprudenziale principiava da una critica all’orientamento favorevole alla risarcibilità del mero danno evento: ammettendo il risarcimento di quest’ultimo (da intendersi come danno in re ipsa), si rischiava di riconoscere, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, un danno punitivo al di fuori dei casi indicati dalla legge, ex art. 23 Costituzione (in contrasto con Cass. civ., Sezioni Unite, sentenza n. 16601 del 2017, circa il riconoscimento dei danni punitivi nel nostro ordinamento). Ed ancora, si osservava anche che la mera prova del danno evento dava al proprietario della res il solo titolo per agire attraverso l’azione di rivendicazione del bene (art. 948 del c.c.): diversamente, al fine di ottenere il risarcimento del danno, era comunque necessario provare le conseguenze pregiudizievoli subite, corrispondenti alle mancate occasioni di guadagno perse.
È possibile, inoltre, per la parte danneggiata provare il maggior danno, corrispondente alla possibilità di concessione del bene in locazione ad un valore più alto rispetto a quello di mercato; ovvero, alla vendita del bene immobile ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.