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Locazione di immobili urbani ad uso non abitativo e Covid-19: è possibile il recesso per causa di forza maggiore?

Locazione di immobili urbani ad uso non abitativo e Covid-19: è possibile il recesso per causa di forza maggiore?
La pandemia da Covid-19 rientra tra i "gravi motivi" che possono giustificare il recesso dal contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo?
Tra i vari quesiti generati dalla pandemia da Covid-19, nonché dalla conseguente chiusura forzata di innumerevoli attività economiche, figura senza dubbio anche quello relativo alla possibilità, per il locatore di un immobile urbano adibito ad un uso diverso da quello abitativo, di recedere dal relativo contratto, ritenendo che l’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese possa integrare una causa di forza maggiore.

L’art. 27 della l. n. 392/1978, cosiddetta "Legge equo canone", recante la disciplina delle locazioni di immobili urbani prevede, infatti, a favore del conduttore, due diverse ipotesi di recesso, nell’ambito della locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo: il recesso convenzionale e il recesso legale o titolato.

Quanto, innanzitutto, al recesso convenzionale, esso è previsto dal comma 7 della citata norma, il quale dispone che “è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione”.
In base a tale norma, dunque, le parti hanno la facoltà di attribuire contrattualmente al conduttore, il diritto di recedere dalla locazione in qualsiasi momento, dando, però, al locatore, un preavviso scritto di almeno sei mesi. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, peraltro, le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, sono comunque libere di fissare un termine di preavviso inferiore a quello prescritto ex lege, facendo, però, sorgere, in capo al conduttore, l’obbligo di corrispondere i canoni dovuti fino al compimento del periodo di preavviso convenzionalmente stabilito (Cass. Civ., n. 23424/2019).

In relazione a tale ipotesi di recesso, la giurisprudenza di merito ha, tuttavia, precisato che le parti, nel prevedere un termine di preavviso inferiore a quello legale, devono necessariamente indicare il momento da cui il recesso acquista efficacia, considerato che è proprio questo elemento a determinare fino a quando il conduttore dovrà pagare i canoni dovuti alla controparte.

Qualora, però, mancasse una pattuizione di questo tipo, in virtù dell'art. 1372 del c.c., il conduttore sarebbe tenuto a rispettare il contratto fino alla sua scadenza, dovendo, dunque, provvedere, fino ad allora, alla corresponsione del canone concordato, anche nel caso in cui fosse venuto meno il suo interesse nei confronti dell'immobile locato.
Questa evenienza è, tuttavia, in parte scongiurata dalla previsione contenuta al comma 8 dell’art. 27 della l. equo canone, il quale disciplina, invece, il recesso legale, anche detto recesso titolato, prevedendo che indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Tale previsione normativa consente, quindi, al conduttore, indipendentemente da quanto pattuito con la controparte, di recedere dal contratto di locazione in qualunque momento, limitatamente, però, alle ipotesi in cui sussistano dei gravi motivi, i quali sono costituiti, di fatto, da quelle situazioni sopravvenute, imprevedibili ed inevitabili, che sono, di norma, ritenute idonee ad escludere la responsabilità contrattuale in capo alla parte inadempiente.
Il conduttore che intenda invocare questa tipologia di recesso, nel comunicarlo per iscritto al locatore dovrà, quindi, indicare in modo specifico i gravi motivi che lo hanno indotto a recedere dal contratto, non essendo possibile indicarli in un momento successivo, né potendo addurre, come giustificazione del recesso, il fatto di trovarsi semplicemente in un periodo di crisi economica.

Fondamentale è, innanzitutto, l'osservanza del preavviso semestrale imposto ex lege, in quanto l'interruzione unilaterale del rapporto ad opera del conduttore che, seppur in presenza di gravi motivi, non abbia rispettato tale onere, comporta l'obbligo di risarcire i danni patiti dal locatore, qualora non si dimostri che quest'ultimo non sarebbe, comunque, riuscito ad utilizzare l'immobile, né direttamente né indirettamente (cfr. Cass. Civ., n. 5827/1993).

Per quanto concerne, poi, la specifica indicazione dei gravi motivi che abbiano indotto il conduttore a recedere dal contratto di locazione, essa è richiesta dalla legge proprio in forza dell’unilateralità di tale atto, la quale impone la necessità di tutelare anche il locatore, che avrà, quindi, da un lato, l’onere di verificare la sussistenza di ragioni idonee a giustificare il recesso, e, dall’altro, il diritto di contestarle, se inesistenti.

Ovviamente, però, non tutte le motivazioni sono idonee a giustificare lo scioglimento del contratto di locazione. La giurisprudenza di legittimità si è, infatti, dimostrata unanime nel ritenere che i gravi motivi, idonei a giustificare un recesso ex art. 27, comma 8, l. n. 392/1978, debbano consistere in fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, ma tali da rendere oltremodo gravosa la sua prosecuzione(cfr. ex multis Cass. Civ., n. 23639/2019; Cass. Civ., n. 12291/2014; Cass. Civ., n. 9443/2010).

Al fine di precisare quali circostanze possano, però, concretamente essere considerate “oltremodo gravose”, sono intervenute diverse pronunce giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità. La Corte di Cassazione, in particolare, ha più volte precisato che una tale evenienza non si possa risolvere “nell'unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo, e dev'essere, non solo tale da eccedere l'ambito della normale alea contrattuale, ma anche consistere in un sopravvenuto squilibrio tra le prestazioni originarie, tale da incidere significativamente sull'andamento dell'azienda globalmente considerata e, quindi, se di rilievo nazionale o multinazionale, anche nel complesso delle sue varie articolazioni territoriali”(cfr. ex multis Cass. Civ., n. 23639/2019; Cass. Civ., n. 26711/2011).

Proprio in ossequio a tale precisazione, i Giudici di merito hanno, ad esempio, escluso che i gravi motivi, richiesti dal comma 8 dell’art. 27 della l. equo canone, possano essere costituiti dalle variazioni di clientela che non dipendano da cause oggettive ed esterne all’azienda, rappresentando, esse, delle evenienze normali e prevedibili per qualsiasi attività d’impresa. Parimenti, la Cassazione ha escluso che i gravi motivi possano consistere nella soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore circa l’opportunità o meno di continuare la locazione (Cass. Civ., n. 15215/2005).

Al contrario, secondo il costante parere della Suprema Corte, “può integrare grave motivo, che legittima il recesso del conduttore, un andamento della congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all'attività di impresa), sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (quando fu stipulato il contratto), che lo obblighi ad ampliare o ridurre la struttura aziendale in misura tale, da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (tenendo conto, quanto al requisito della imprevedibilità della congiuntura economica, che esso va valutato in concreto e in relazione ai fattori che ne hanno determinato l'andamento)” (Cass. Civ., n. 9443/2010; Cass. Civ., n. 10980/1996).

Come precisato dalla Cassazione, l’idoneità di una motivazione a giustificare un recesso anticipato deve, altresì, essere accertata in relazione all’attività concretamente svolta dal conduttore nell’immobile locato, non consentendo, peraltro, a quest’ultimo, di non attribuire rilievo alle difficoltà riscontrate da una certa attività rispetto ai risultati positivi registrati, ad esempio, da un altro ramo della medesima azienda (Cass. Civ., n. 5803/2019).

Alla luce di tali precisazioni, il conduttore di un immobile urbano ad uso non abitativo, il quale intenda recedere dal relativo contratto a causa delle conseguenze generate della pandemia di Covid-19 sulla sua attività, dovrà valutare attentamente se esse possano essere considerate dei gravi motivi idonei a giustificare un recesso ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 27 della l. n. 392/1978, tenendo presente, peraltro, che in caso di contestazione, la relativa valutazione non potrà essere rimessa al prudente apprezzamento del giudice.


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