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Disdetta locazione nei primi quattro anni: limiti

Disdetta locazione nei primi quattro anni: limiti
Rilascio dell’immobile locato per destinarlo ad abitazione principale del figlio: non deve trattarsi di una bugia.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28469 del 19 dicembre 2013, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di locazioni.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il proprietario di un immobile ad uso abitativo aveva agito in giudizio nei confronti del conduttore del medesimo, al fine di ottenerne il rilascio, dovendolo destinare ad abitazione del figlio.

Il Pretore, all’epoca, accoglieva la domanda del proprietario ma, dopo alcuni anni, il conduttore, agiva in giudizio dinanzi al Tribunale, avendo constatato che l’unità immobiliare in questione non era, in realtà, stata destinata ad abitazione del figlio del proprietario.

Il conduttore condannato al rilascio, dunque, chiedeva e otteneva dal giudice il risarcimento del danno subito, con sentenza che veniva confermata dalla Corte d’appello.

La Corte d’appello, in particolare, motivava la propria decisione in base alla considerazione secondo cui le prove raccolte nel corso del giudizio dimostravano che, al momento della proposizione del ricorso, il figlio del proprietario-locatore “non abitava ancora nell’immobile, il che si poteva desumere dal certificato anagrafico, dalla intestazione delle utenze e dalla mancanza di ogni prova contraria”.

Il proprietario dell’immobile, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, rilevando come l’immobile stesso non fosse idoneo “nell’immediato, all’uso di abitazione, essendo necessari importanti lavori di ristrutturazione”.

Secondo il ricorrente, inoltre, l’intero edificio era soggetto “al vincolo di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sicchè nessuna modificazione poteva avere luogo senza l’autorizzazione della competente Autorità”.

Di conseguenza, precisava il ricorrente, non sarebbe stato invocabile “l’art. 31 della legge n. 392 del 1978, perché entro il termine di sei mesi fissato da detta norma era stato presentato il relativo progetto alla Sovrintendenza dei beni ambientali della Regione; e, una volta terminati i lavori, l’appartamento è stato immediatamente occupato dal figlio”.

Pertanto, secondo il proprietario, la Corte d’appello avrebbe errato nell’applicare la suddetta norma, dal momento che egli aveva “rispettato il dettato legislativo, avendo richiesto nel termine di sei mesi il rilascio delle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione dell’immobile”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva il ricorso fondato.

In proposito, la Cassazione osservava come, nel caso di specie, il proprietario avesse ottenuto la restituzione dell’immobile in base al disposto di cui all’art. 29, lettera a) della legge n. 392 del 1978, “siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non in previsione dell’ipotesi di ristrutturazione di cui alla lettera d) del medesimo art. 29”.

Precisava la Corte, inoltre, che le sanzioni previste dall’art. 31 sopra citato, non erano connesse “ad un criterio di responsabilità oggettiva (…), bensì sulla base di una presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria”.

Tali sanzioni, chiarisce la Cassazione, “configurano una forma di responsabilità per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 codice civile”.

Pertanto, “esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso”.

Nel caso di specie, tuttavia, non aveva adeguatamente provato la sussistenza di tali circostanze, limitandosi ad affermare che le sanzioni di cui all’art. 31 non troverebbero applicazione in quanto il medesimo ha proceduto a richiedere, entro sei mesi, “le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere l’immobile adatto alle esigenze abitative del figlio”.

Tale argomentazione, tuttavia, appariva smentita dal fatto che la Corte d’appello aveva accertato che “al momento della proposizione del ricorso, il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile (…) ed ha giustamente ritenuto del tutto irrilevante la circostanza (…) per cui i lavori di restauro dell’immobile si erano protratti fino a due o tre anni prima”.

Infatti, poiché il ricorso era stato proposto oltre sei anni dopo il rilascio, il locatore non aveva dimostrato “di aver rispettato il termine semestrale di cui all’art. 31 della legge n. 392 del 1978”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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