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Lavoratore, rischi il licenziamento se hai una relazione con una collega: ecco tutti i casi e come difenderti

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Lavoratore, rischi il licenziamento se hai una relazione con una collega: ecco tutti i casi e come difenderti
Ti sei innamorato di un collega e ora hai paura che l'azienda possa metterti i bastoni tra le ruote? Scopri dove finisce il tuo diritto alla privacy e dove inizia il legittimo interesse del datore di lavoro nelle relazioni sentimentali sul posto di lavoro
Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo sul posto di lavoro, condividendo progetti, sfide e successi con i nostri colleghi. Non sorprende che in questo ambiente possano nascere non solo amicizie, ma anche relazioni sentimentali. Quando scocca la scintilla tra colleghi, però, molti si chiedono con ansia se il datore di lavoro possa intromettersi nella loro vita privata, magari vietando la relazione o imponendo regole stringenti. La risposta è chiara: la tua vita personale e sentimentale è protetta da uno scudo normativo che non si abbassa quando entri in ufficio.
Il punto di partenza è la nostra Costituzione, che - agli articoli 2 e 29 - tutela i diritti inviolabili della persona e la libertà di formare una famiglia. Questo confine non può essere oltrepassato dal datore di lavoro, che deve rispettare la sfera privata dei suoi dipendenti. A rafforzare questa protezione interviene lo Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), che vieta espressamente all'azienda di condurre indagini sulle opinioni politiche, religiose o su aspetti della vita personale che non abbiano rilevanza per valutare l'idoneità professionale del lavoratore. Il ragionamento è semplice: se è illegittimo chiedere per chi voti o quale sia la tua fede religiosa, a maggior ragione lo è pretendere informazioni sulla tua vita affettiva, che non ha alcun legame con la qualità delle tue prestazioni lavorative.
A queste tutele nazionali si aggiungono quelle europee, come la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e normative specifiche sulla privacy come il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE 2016/679). Quest'ultimo considera le informazioni relative alle relazioni personali come dati particolarmente sensibili, che meritano una protezione rafforzata. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che qualsiasi interferenza ingiustificata del datore di lavoro nella vita personale del dipendente costituisce una violazione della privacy (Cass. sent. n. 6598/2019), e ha definito i dati sulla vita sessuale come "supersensibili", degni della massima tutela (Cass. sent. n. 14393/2005). Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza Barbulescu contro Romania del 2017, ha confermato che ogni controllo da parte del datore di lavoro deve rispettare il principio di proporzionalità. In sintesi, un divieto assoluto di avere relazioni sentimentali in ufficio o un obbligo generalizzato di comunicarle sarebbe del tutto illegittimo.
Quando l'azienda può davvero preoccuparsi delle tue relazioni
Se da un lato la privacy del lavoratore è sacrosanta, dall'altro il datore di lavoro ha il diritto e il dovere di proteggere l'azienda e garantire un ambiente di lavoro equo e trasparente per tutti i dipendenti. L'interesse dell'azienda non nasce dalla curiosità o dal desiderio di controllare la vita privata, ma dalla necessità concreta di prevenire situazioni che potrebbero danneggiare l'organizzazione. La questione centrale è il conflitto di interessi, che si verifica quando un legame personale rischia di influenzare decisioni professionali, minando l'imparzialità e la correttezza dei processi aziendali.
Facciamo un esempio pratico per capire meglio. Immagina un manager che deve valutare la performance del proprio partner, decidere una sua promozione o assegnargli un bonus. Anche se la decisione fosse oggettivamente corretta, è inevitabile che venga percepita come parziale dagli altri colleghi, creando tensioni e demotivazione nel team. Lo stesso problema si presenta quando un responsabile delle selezioni deve esaminare il curriculum di una persona con cui ha una relazione sentimentale, oppure quando chi gestisce gare d'appalto si trova a trattare con un'azienda legata a un suo affetto personale. In questi casi, il rischio non è solo teorico: si tratta di situazioni che possono compromettere la trasparenza, la fiducia tra colleghi e la reputazione dell'azienda stessa.
L'obiettivo delle policy aziendali, quindi, non è ficcanasare nella vita privata dei dipendenti, ma assicurare che le decisioni siano sempre basate sul merito e sulla professionalità. Le regole devono concentrarsi sulle situazioni concrete in cui una relazione può avere un impatto negativo sul funzionamento dell'azienda, senza mai trasformarsi in un'indagine generalizzata sulla vita sentimentale dei lavoratori. È fondamentale che il datore di lavoro valuti il rischio in base al contesto e ai ruoli coinvolti: una relazione tra due colleghi di pari livello che lavorano in reparti diversi ha un potenziale di rischio molto basso o nullo, mentre le cose cambiano radicalmente quando il legame coinvolge un superiore e un suo subordinato. In quest'ultimo caso, il conflitto di interessi è quasi inevitabile, perché la relazione può influenzare - o dare l'impressione di influenzare - decisioni fondamentali come la gestione delle performance, l'assegnazione di compiti, le promozioni o gli aumenti di stipendio.
Cosa può e cosa non può chiedere l'azienda
Le policy aziendali che regolamentano le relazioni sentimentali devono essere scritte con estrema attenzione, seguendo sempre il principio di proporzionalità. È legittimo che un'azienda chieda ai propri dipendenti di segnalare un potenziale conflitto di interessi, ma questa richiesta non può mai trasformarsi in un'indagine invasiva sulla vita privata. L'obbligo di comunicazione deve riguardare esclusivamente l'impatto che la relazione potrebbe avere sulla funzione lavorativa, non i dettagli intimi del rapporto. In pratica, non devi compilare un modulo per dichiarare che ti sei fidanzato, ma potresti dover segnalare che la persona con cui hai una relazione sta per essere assunta nel tuo stesso team, dove tu avresti il compito di valutarla o di prendere decisioni che la riguardano.
Sarebbe, invece, del tutto illegittimo che l'azienda pretenda di conoscere dettagli sulla natura della relazione, sulla sua durata o su altri aspetti personali, perché queste informazioni sono protette come dati particolarmente sensibili dall'art. 9 GDPR. Il Garante della Privacy è stato molto chiaro su questo punto: in un provvedimento del 24 aprile 2024, ha sanzionato un'azienda che aveva avviato un procedimento disciplinare basandosi su informazioni relative alla vita sessuale di un dipendente, stabilendo che questi dati non possono essere utilizzati contro un lavoratore, nemmeno se reperiti da fonti pubbliche. Le linee guida del Garante (docweb n. 1364939) ribadiscono che la raccolta di informazioni sulla sfera affettiva è vietata e che i dati che rivelano l'orientamento sessuale o la vita intima rientrano nelle categorie particolari di dati tutelate dall'articolo 9 del GDPR. La legge stabilisce che il datore di lavoro non può trattare questi dati, neppure se il dipendente desse il suo consenso.
Anche la giurisprudenza si muove con cautela su questo terreno, cercando sempre di trovare un equilibrio tra i diritti del lavoratore e le esigenze dell'azienda. Una recente decisione del Tribunale di Roma (sentenza del 14 marzo 2023) ha considerato legittimo il licenziamento di un dipendente, ma è importante capire il motivo: il licenziamento non è stato causato dalla relazione in sé, ma dal fatto che l'uomo non l'aveva comunicata violando un preciso codice etico aziendale che richiedeva di segnalare i potenziali conflitti, e aveva inoltre fatto pressione sulla collega per nascondere la gravidanza. Questo ci insegna un principio fondamentale: una relazione può avere conseguenze disciplinari solo se esiste una policy chiara e se si crea un conflitto di interessi concreto e dimostrabile.
Le misure che l'azienda può adottare, quando esiste un reale conflitto, non devono mai essere punitive nei confronti della coppia, ma devono agire sull'organizzazione del lavoro. Ad esempio, l'azienda può modificare l'organigramma in modo che il subordinato risponda a un altro manager, oppure può prevedere che le valutazioni di quel dipendente siano supervisionate da una terza persona imparziale. L'importante è che l'intervento sia proporzionato e miri a eliminare il conflitto, non a punire chi vive una relazione sentimentale.
Come difendersi da policy aziendali illegittime
Se la tua azienda dovesse adottare una policy che consideri eccessiva o lesiva della tua privacy, la legge ti offre strumenti di tutela molto forti. La normativa sul whistleblowing (d.lgs. 24/2023) è uno strumento potente a disposizione dei lavoratori per segnalare illeciti o irregolarità all'interno dell'azienda. Questa tutela non copre solo reati gravi come la corruzione o le frodi, ma si estende a qualsiasi violazione delle regole, incluse quelle che ledono la privacy dei dipendenti.
In pratica, se la tua azienda dovesse adottare una policy che ti obbliga a comunicare le tue relazioni sentimentali in modo generalizzato, violando le norme sulla privacy, e tu decidessi di segnalare questa irregolarità attraverso i canali previsti, saresti pienamente tutelato. Godresti del diritto alla riservatezza sulla tua identità e, soprattutto, del divieto di ritorsioni: l'azienda non potrebbe licenziarti, demansionarti o penalizzarti in alcun modo per la tua segnalazione. Anzi, sarebbe l'azienda stessa a rischiare sanzioni pesanti, sia per aver adottato una policy illegittima, sia per aver violato le norme a protezione di chi segnala.
Il tema è strettamente collegato anche ai Modelli di Organizzazione e Gestione, meglio noti come Modello 231 (d.lgs. 231/2001, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche). Si tratta di un insieme di regole che le aziende adottano per prevenire la commissione di reati e che spesso contengono un codice etico per regolare il comportamento dei dipendenti, inclusa la gestione dei conflitti di interesse. Se è giusto e legittimo che un codice etico imponga di dichiarare legami economici o professionali che potrebbero minare l'imparzialità di un lavoratore, la situazione cambia quando si entra nella sfera sentimentale. Estendere l'obbligo di comunicazione alla vita privata rischia di essere una misura sproporzionata e di violare le norme sulla privacy previste dal GDPR. Un Modello 231 scritto male, che impone obblighi eccessivi sulla vita personale, diventa un'arma a doppio taglio per l'azienda: non solo potrebbe non essere sufficiente a proteggerla in caso di reati, ma potrebbe addirittura creare nuove fonti di rischio, esponendola a sanzioni per violazione della privacy e a cause legali da parte dei dipendenti.
La vera chiave per gestire le relazioni in ufficio è l'equilibrio. Il datore di lavoro ha tutto il diritto di proteggere l'azienda, ma questo non può mai diventare una scusa per controllare la vita privata dei dipendenti. Una policy aziendale efficace deve essere chiara, proporzionata e rispettosa della dignità delle persone. Deve spiegare in modo semplice quali sono le situazioni a rischio, così che un dipendente possa capire facilmente e in buona fede se la sua relazione crea un potenziale conflitto. Il contesto lavorativo è tutto: una relazione tra due operai che svolgono le stesse mansioni di decine di altri colleghi difficilmente creerà un conflitto di interessi, mentre un legame tra il direttore commerciale e il responsabile delle risorse umane potrebbe crearlo, perché chi lavora in HR gestisce i meccanismi di bonus e premi per l'area commerciale. L'obbligo di segnalare scatta solo quando la relazione può avere un impatto negativo concreto sull'azienda, e anche in quel caso la comunicazione deve riguardare il potenziale conflitto, non i dettagli intimi. In tutte le altre situazioni, la privacy del lavoratore è un diritto intoccabile e qualsiasi indagine è vietata.


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