Nel caso esaminato dalla Cassazione, i due imputati sottoposti a processo erano stati accusati del reato di “lesioni colpose” (art. 590 del c.p.) a danno di un lavoratore che era caduto da una scala metallica non conforme ai requisiti di sicurezza previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63.
In particolare, si evidenziava come gli imputati non avessero “valutato i rischi da scivolamento e caduta dei lavoratori che utilizzavano la scala fissa a gradini che immette nella sala di mungitura”, non avessero “fornito al dipendente S.F. i necessari dispositivi di protezione individuale, quali le scarpe antinfortunistiche” e non avessero “formato il lavoratore circa i rischi derivanti dalle mansioni svolte”.
Giunti al terzo grado di giudizio, gli imputati osservavano come “le valutazioni espresse dei giudici di merito, in riferimento alla mancata consegna delle scarpe antinfortunistiche al dipendente S.” risultassero “manifestamente illogiche”.
Dagli atti di causa emergeva, infatti, che fossero stati consegnati al dipendente degli “appositi stivali, successivamente danneggiatisi”.
La stessa persona offesa, peraltro, aveva riferito che “a seguito della rottura degli stivali consegnati dalla ditta, ne aveva acquistati di nuovi”.
Inoltre, secondo gli imputati, il datore di lavoro non poteva ritenersi tenuto “ad essere informato sullo stato dei dispositivi di protezione individuale di ogni dipendente”.
Quanto, invece, “alla mancanza di formazione erogata ai dipendenti”, gli imputati sostenevano come la Corte d’appello non avesse tenuto in considerazione che un teste aveva riferito che “un primo corso di formazione era stato effettuato nel (…)”.
Infine, gli imputati rilevavano che “il datore di lavoro è esonerato da responsabilità, laddove il comportamento del dipendente presenti i caratteri della eccezionalità, rispetto al procedimento lavorativo, tali da costituire fattore eccezionale idoneo ad interrompere il nesso causale”.
La Corte di Cassazione, nel decidere sulla questione, evidenziava come dagli atti di causa non risultasse “la consegna di scarpe antinfortunistiche, ma, genericamente, di stivali; e che, solo successivamente al sinistro, la ditta Ara mise a disposizione dei dipendenti tutta la dotazione antinfortunistica completa”.
La Corte d’appello, dunque, del tutto correttamente - dopo aver osservato che la parte offesa aveva riferito di aver rotto gli stivali e di aver provveduto all’acquisto di altre scarpe – ha osservato “che il datore di lavoro è tenuto a sostituire i presidi di protezione individuale, soggetti ad usura”.
In proposito, infatti, “il D.Lgs. n. 81 del 2008,art. 18, comma 1, lett. d), prevede espressamente che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale; e la nozione di idoneità, ora richiamata, implica, in osservanza di un elementare canone di effettività dell'azione precauzionale, l'esercizio di una costante e doverosa verifica, da parte del datore, in collaborazione con il lavoratore, relativa allo stato di usura e di effettivo impiego degli stessi presidi antinfortunistici, di cui i dipendenti siano stati dotati”.
La stessa Corte di Cassazione, inoltre, ha chiarito che “il controllo che il datore di lavoro deve esercitare sull'operato dei dipendenti, perchè non si verifichino infortuni sul lavoro, non può risolversi nella messa a disposizione dei presidi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene; e che l'imprenditore è gravato dell'obbligo di verificare il rispetto effettivo delle norme antinfortunistiche, ricorrendo, se del caso, anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguino, in concreto, alle disposizioni prevenzionali” (Sez. 4, Sentenza n. 12297 del 6 ottobre 1995).
Quanto alla questione relativa alla formazione, la Cassazione evidenziava come il giudice di secondo grado avesse adeguatamente motivato la propria decisione, che non poteva, pertanto, essere censurata.
In particolare, la Corte, dopo aver attentamente valutato le dichiarazioni testimoniali rese, aveva considerato “che l'inadeguatezza della attività formativa, rispetto alle mansioni dei controllori zootecnici, emergeva pure dalla documentazione acquisita, comprendente generici opuscoli informativi, consegnati ai dipendenti”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto, confermando integralmente la sentenza di secondo grado.