La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla notificazione, effettuata dall’Agenzia delle Entrate, di un avviso di liquidazione d’imposta in relazione ad una dichiarazione di successione. La pretesa dell’Ente di riscossione si fondava sul fatto che, ai fini del calcolo della franchigia da applicare all’asse ereditario, si era tenuto conto di una precedente donazione, disposta, in vita, dal de cuius, in favore della contribuente, avendo, così, ridotto una parte della base imponibile non tassabile.
La contribuente impugnava il suddetto avviso, eccependo il fatto che, all’epoca in cui era avvenuta la donazione, essa risultava esente da tassazione, per cui non poteva essere conteggiata ai fini della determinazione dell’imposta.
Di fronte al rigetto del ricorso, da parte della Commissione Tributaria Regionale, la donna ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 346/1990, in relazione agli articoli 12 e 15 delle disp. prel. c.c. Secondo la ricorrente, infatti, i Giudici di merito avevano errato nel aver ritenuto rilevante, ai fini della determinazione della franchigia, volta a determinare l’imposta su una dichiarazione di successione avvenuta in data 10/02/2007, una precedente donazione disposta dal de cuius a suo favore, nonostante questa avesse avuto luogo in un periodo in cui risultava essere esente da tassazione, ai sensi dell’art. 14, comma 1, l. n. 383/2001.
Con un secondo motivo di ricorso si eccepiva, poi, la violazione dell’art. 2, commi 47, 52 e 53 del D.L. n. 262/2006, convertito con modifiche dalla l. n. 286/2006, nonché dell’art. 3 l. n. 212/2000 e degli articoli 10 e 11 delle disp. prel. c.c. Secondo la ricorrente l’art. 2 del D.L. n. 262/2006 non aveva dato nuova efficacia alla pregressa imposta di successione, ma ne aveva, invece, introdotta una nuova, con la conseguenza che la sua applicazione era possibile soltanto con riferimento alle donazioni poste in essere successivamente alla sua entrata in vigore, restandone, così, esclusa, quella fatta oggetto della controversia.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, dato atto del fatto che l’imposta sulle successioni sia stata oggetto di varie modifiche nel corso degli anni, soprattutto con riguardo alle aliquote e alle franchigie.
L’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 346/1990, in particolare, prevede che “il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari”.
L’art. 7 ivi richiamato prevedeva, infatti, delle aliquote progressive d’imposta sulla base degli importi e dei gradi di parentela, ma esso è stato abrogato dall’art. 69 della l. n. 342/2000, il quale ha previsto che “i commi 1 e 2 dell’articolo 7 sono sostituiti dai seguenti: “1. L’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore della quota di eredità o del legato: a) quattro per cento, nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta; b) sei per cento, nei confronti degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado; c) otto per cento, nei confronti degli altri soggetti. 2. L’imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera i 350 milioni di lire. 2-bis. Quando il beneficiario è un discendente in linea retta minore di età, anche chiamato per rappresentazione, o una persona con handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificata dalla legge 21 maggio 1998, n. 162, l’imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l’ammontare di un miliardo di lire”.
La Cassazione ha, peraltro, già avuto modo di pronunciarsi in materia, stabilendo che “in tema di imposta di successione, intervenuta la soppressione del sistema dell’aliquota progressiva in forza dell’art. 69 della l. n. 342 del 2000, deve ritenersi implicitamente abrogato l’art. 8, comma 4, del d. lgs. n. 346 del 1990, che prevedeva il cumulo del “donatum” con il “relictum” al solo fine di determinare l’aliquota progressiva da applicare, attesa la sua incompatibilità con il regime impositivo caratterizzato dall’aliquota fissa sul valore non dell’asse, ma della quota di eredità o del legato” (Cass. Civ., n. 24940/2016).
Gli stessi Giudici di legittimità hanno, altresì, precisato che “l’art. 8, comma 4, cit. - laddove prescrive il coacervo (o cumulo) del donatum con il relictum - non era finalizzato a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (oggetto di autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire una forma di “riunione fittizia” nella massa ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell’aliquota da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti” (Cass. Civ., n. 29739/2008; Cass. Civ., n. 5972/2007).
Il sistema della riunione fittizia, previsto ex lege, svolgeva, dunque, una funzione meramente antielusiva, volta ad evitare che l’asse ereditario venisse sottratto all’imposizione progressiva attraverso la realizzazione, in vita, di donazioni.
Fermo restando il fatto che detta riunione non produceva alcuna efficacia impositiva sul donatum, essendo volta soltanto a determinare l’aliquota progressiva, gli Ermellini hanno ritenuto logico e coerente il fatto che, eliminata quest’ultima tipologia di imposta, in favore di un sistema ad aliquota fissa, calcolata non sul valore dell’asse globale, ma della singola quota di eredità o del legato, non sia più possibile dar luogo al cumulo operato, nel caso di specie, dall’Agenzia delle Entrate.