Nel caso in esame dalla Corte, il Tribunale aveva condannato, in primo grado, un soggetto che aveva tenuto tale condotta, nonostante lo stesso si fosse difeso affermando che egli si sarebbe reso disponibile a spostare la vettura stessa, che restava nella sua disponibilità.
Inoltre, secondo l’appellante non sussisterebbe, nel caso di specie, l’elemento della “violenza”.
Condannato in primo grado, l’imputato riteneva opportuno impugnare la sentenza emessa dal Tribunale, proponendo appello.
La Corte d’Appello, tuttavia, non riteneva convincenti le argomentazioni svolte dal condannato e rigettava, confermando la sentenza di condanna emanata dal Tribunale.
In particolare, secondo la Corte d’Appello, doveva ritenersi pienamente attendibile quanto sostenuto dalla persona offesa, dal momento che la stessa non appariva mossa da “motivi di astio, di rancore o di risentimento personale nei confronti dell’imputato (…), in modo tale da evidenziare il perseguimento del proprio tornaconto ad ogni costo, non evidenziando, così, alcun intento calunniatorio”.
Osserva la Corte come, dalle risultanze processuali, fosse emerso che da ben sette anni, il soggetto in questione bloccava il passaggio parcheggiando la propria autovettura, tanto che “quattro anni prima, la persona offesa aveva dovuto trasferirsi altrove, presso la casa di una figlia”.
Tuttavia, “il trasferimento aveva comportato che, di tanto in tanto, le sue due figlie erano, necessariamente, state costrette a ritornare presso la loro abitazione, al fine di prelevare indumenti e quanto occorreva” e “anche in tali occasioni, avevano trovato una macchina, dello zio o dei cugini, che ostruiva la stradina o che era posteggiata davanti al cancello dell’abitazione della loro madre”.
Non solo: di fronte alla richiesta di togliere la macchina, era risultato che il soggetto in questione rispondesse di non volerla togliere “perché lui è all’altezza di non togliere la macchina”.
Peraltro, tale ricostruzione dei fatti, aveva trovato conferma anche nella dichiarazione resa da un maresciallo, il quale era, appunto, intervenuto, in un’occasione, in quanto la persona offesa “non aveva avuto possibilità di accesso all’abitazione di pertinenza e, in effetti, vi erano tre autovetture, che erano di ostacolo alla manovra richiesta dalla persona offesa”.
Di conseguenza, secondo il giudice d’appello, risultava integrato, nel caso di specie, il reato di “violenza privata”, in quanto “non è richiesto, per la sua configurabilità, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo (“... in tema di violenza privata ex art. 610 cod. pen. il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l’offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo" Cass. 3403 del 2003)”.
Quindi, anche parcheggiare e ostruire il passaggio può integrare il reato di “violenza privata”, in quanto tale comportamento ha comunque l’effetto di privare un soggetto della sua libertà di determinazione e di azione, costringendolo a fare o non fare qualcosa, contro la propria volontà.