La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28797 del 30 novembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha riguardato un dipendente pubblico, il quale aveva agito in giudizio al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento che gli era stato intimato, con conseguente condanna dell’ente datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.
Nello specifico, al lavoratore in questione era stato contestato di avere, in costanza di rapporto di lavoro con l’ente pubblico, sottoscritto un altro contratto di lavoro, a chiamata, con una società privata.
La domanda del dipendente pubblico era stata rigettata sia in primo che in secondo grado con la conseguenza che il dipendente pubblico aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dalla Corte d’appello, rigettando il ricorso proposto dal lavoratore, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che il contratto collettivo di categoria imponeva al dipendente di “non attendere, durante l'orario di lavoro, a occupazioni estranee al servizio e rispettare i principi di incompatibilità previsti dalla legge e dai regolamenti e, nei periodi di assenza per malattia o infortunio, non attendere ad attività che possano ritardare il recupero psico fisico”.
Rilevava la Cassazione, inoltre, che il rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni “è caratterizzato dall'obbligo di esclusività”, in virtù di quanto previsto dall’art. 98 Cost., il quale stabilisce che i pubblici impiegati siano “al servizio esclusivo della Nazione’” e a tutela del principio di [def ref=imparzialit