Nel caso esaminato dalla Cassazione, un lavoratore aveva impugnato dinanzi la Corte d’Appello la sentenza con cui il Tribunale aveva rigettato la sua impugnazione del licenziamento che gli era stato intimato per giustificato motivo oggettivo.
Secondo l’appellante, infatti, “l’attività di logistica e programmazione, della quale era responsabile, non era stata soppressa, ma erano stati assunti poco dopo, con contratto a tempo indeterminato, 11 lavoratori, a seguito della conversione dei loro contratti a tempo determinato”.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e ordinava la immediata reintegra del lavoratore nel proprio posto di lavoro, condannando, altresì, la società datrice di lavoro al pagamento di una indennità, a titolo risarcitorio, pari alle mensilità di retribuzione maturate dalla data del primo licenziamento alla effettiva reintegrazione.
La società decideva, dunque, di proporre ricorso per Cassazione, affermando che il giudice di secondo grado, aveva ritenuto il licenziamento illegittimo, “esclusivamente sulla base della circostanza che l’azienda aveva provveduto, dopo circa due mesi dal recesso, a convertire in rapporti di lavoro a tempo indeterminato 11 contratti a termine già in essere (e secondo la ricorrente invalidi), assegnando a due di tali lavoratori parte dei compiti precedentemente svolti” dal lavoratore in questione.
In proposito, la società osservava che si trattava di lavoratori che erano già occupati prima del licenziamento del lavoratore e, oltretutto, la Corte d’Appello non aveva spiegato perché le conversioni dei contratti a termine dovevano ritenersi nuove assunzioni, “tanto più che è ben consentito all’impresa che intenda ridurre i costi del lavoro, sopprimere una posizione lavorativa, distribuendo le relative mansioni tra il personale occupato”.
Secondo la società, inoltre, il giudice di secondo grado non avrebbe “adeguatamente valutato la crisi produttiva dell’azienda, escludendola nonostante la prova per testi, ed i bilanci 2007-2010 prodotti, da cui risultava una riduzione della produzione di oltre il 30%”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla società ricorrente.
Osserva la Corte, infatti, come il ricorso, innanzitutto, non rispettava quanto stabilito dall’art. 360 codice di procedura civile, “limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, già ampiamente valutate dalla corte di merito”.
Per quanto riguardava, poi, la “redistribuzione delle mansioni”, la Corte ribadisce che “tale operazione può rientrare nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, purché riconducibile ad un effettivo riassetto organizzativo, stabile e non meramente contingente”.
Infatti, “ai fini della configurabilità della soppressione del posto di lavoro integrante giustificato motivo oggettivo di licenziamento non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo (e dovendo) le stesse essere (almeno) quelle prevalentemente esercitate in precedenza dal lavoratore”.
Nel caso di specie, tuttavia, la società ricorrente aveva provveduto a licenziare il lavoratore “senza provare l’effettivo venir meno delle mansioni da esso svolte, provvedendo anzi ad affidare parte delle stesse a lavoratori assunti dopo qualche mese (ancorché già occupati con contratti a termine), per un verso così confermando la necessità di mantenere la posizione lavorativa svolta”.
In tal modo, la società aveva in qualche modo ammesso che non si era trattato di una “effettiva riorganizzazione aziendale, bensì della volontà dell’azienda di assumere con contratti a tempo indeterminato lavoratori già occupati con contratti a termine”.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione riteneva infondati tali motivi di ricorso, confermando la sentenza resa dalla Corte d’Appello.