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Contratto preliminare: se non viene incassata la caparra, si è tenuti alla stipula del definitivo?

Contratto preliminare: se non viene incassata la caparra, si è tenuti alla stipula del definitivo?
Il comportamento del promittente venditore che ometta d’incassare l’assegno per la caparra è contrario al dovere di correttezza e non lo legittima a risolvere il preliminare.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10366 del 31 marzo 2022, ha affrontato il tema del rapporto esistente tra la pattuizione di una caparra in una compravendita immobiliare e il contratto preliminare, chiarendo che il promittente venditore è tenuto alla stipula del definitivo anche nel caso in cui non abbia incassato la caparra.

Il caso concreto giunto al vaglio della Suprema Corte, in particolare, riguardava alcuni soggetti che avevano stipulato un contratto preliminare per la compravendita di una palazzina. Secondo gli accordi, al momento della stipula doveva essere immediatamente corrisposta una somma a titolo di caparra confirmatoria, mentre il pagamento della somma residua doveva avvenire al momento della stipula del definitivo. La promittente venditrice, tuttavia, avendo ricevuto a titolo di caparra un assegno privo di data, si era rifiutata di stipulare il contratto definitivo. I promissari acquirenti, pertanto, avevano agito giudizialmente ai sensi dell’art. 2932 c.c., chiedendo di trasferire in loro favore l’immobile promesso in vendita.
Il Tribunale aveva dunque accolto la domanda attorea e aveva così trasferito l’immobile ai promissari acquirenti, subordinando il trasferimento alla condizione sospensiva del pagamento della quota residua del prezzo.
La promittente venditrice aveva allora proposto prima appello e poi ricorso in Cassazione, dolendosi – per quanto qui di rilievo – della violazione degli artt. 1385 e 1351 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’inadempimento del contratto preliminare fosse imputabile esclusivamente alla promittente venditrice senza considerare che in realtà, a fronte della mera dazione di un assegno incompleto e non incassato, erano stati i promissari acquirenti a non adempiere all’obbligo di versare la somma dovuta quale caparra confirmatoria.
Ritenendo tali censure infondate, la Suprema Corte ha dunque operato alcune importanti precisazioni sul tema.

Ebbene, gli Ermellini hanno affermato espressamente che deve escludersi che, a fronte della mancata riscossione della caparra confirmatoria, il promittente venditore possa legittimamente rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo.
Nella motivazione della sentenza in commento, infatti, I Giudici di legittimità hanno
  • ricordato che la caparra confirmatoria è un contratto che si perfeziona con la consegna di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili, consegna che di regola è riferita dall’art. 1385 c.c. al momento della conclusione del contratto;
  • evidenziato altresì – in conformità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cass. n. 4661/2018) - che tuttavia le parti nell’ambito della loro autonomia contrattuale possono differirne la dazione, in tutto o in parte, ad un momento successivo, purchè anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite;
  • che la caparra confirmatoria ben può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l’effetto proprio di essa nel momento della riscossione della somma recata dall’assegno, essendo però onere del prenditore, dopo averne accettato la consegna, di porlo all’incasso.
Per tali ragioni, la Corte conclude che il comportamento del prenditore che ometta d’incassare l’assegno è contrario al dovere di correttezza e “non lo legittima, pertanto, in ragione del mancato incasso della somma pattuita quale caparra confirmatoria, a recedere dal contratto principale (in mancanza, appunto, del necessario inadempimento imputabile della parte che ha dato la caparra: art. 1385 co. 2 c.c).”.


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