Ebbene, proprio con riferimento all’ultimo degli obblighi indicati dalla norma (quello di coabitazione, appunto), va osservato come questo sia coperto da una vera e propria tutela giurisdizionale, con conseguente impossibilità per un coniuge di decidere di allontanare l’altro dalla casa di abitazione, in mancanza di un provvedimento del giudice che disponga in tal senso.
Se, infatti, nulla vieta al coniuge di abbandonare volontariamente la casa adibita a residenza famigliare, al contrario, l’imposizione dell’allontanamento, che non trovi giustificazione in un provvedimento dell'autorità giudiziaria, ha serie conseguenze tanto sul piano civilistico che su quello penalistico.
Quanto al primo profilo, il coniuge che si veda illegittimamente spossessato dell’immobile, potrà agire a tutela di tale possesso, attraverso l’azione denominata “reintegrazione del possesso”, disciplinata dall’art. 1168 del c.c. (nel termine, si badi, di un anno dall’avvenuta privazione), al fine di riottenere la disponibilità dell’immobile stesso.
Si osservi, peraltro, come il più recente orientamento giurisprudenziale tenda ad accordare tale tutela non solo alle coppie unite in matrimonio ma anche alle c.d. “coppie di fatto”, precisando come “la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; conseguentemente, l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall'unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio nei confronti dell'altro quand'anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull'immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi” (Cass. civ. sentenza 21 marzo 2013, n. 7214).
Infatti, prosegue la Corte, sostenere che il convivente sia paragonabile a un mero “ospite” o “tollerato”, si pone in contrasto rispetto “alla rilevanza giuridica e alla dignità stessa del rapporto di convivenza di fatto, la quale - con il reciproco rispettivo riconoscimento di diritti del partner, che si viene progressivamente consolidando nel tempo, e con la concretezza di una condotta spontaneamente attuata - da vita, anch'essa, ad un autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali”.
A riprova di ciò, osservano i Giudici come, pur in mancanza di una legge organica in materia di convivenza more uxorio, il legislatore non abbia mancato di disciplinare, sempre più strettamente, le conseguenze derivanti da tale tipologia di rapporto (si pensi, ad esempio, all’equiparazione dei figli nati fuori e in costanza di matrimonio, alla facoltà per il convivente di astenersi dal deporre, all’estensione al convivente degli ordini di protezione contro gli abusi familiari ecc…).
Ma "l'allontanamento forzoso" del coniuge, come detto sopra, non è privo di conseguenze nemmeno dal punto di vista penalistico, e infatti la Corte di Cassazione ha ravvisato in questa condotta gli estremi del reato di “violenza privata”, previsto e disciplinato dall’art. 610 del c.p., in base al quale “chiunque con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
In particolare, secondo la Corte, a nulla rileva il fatto che il coniuge allontanato si fosse momentaneamente trasferito presso i genitori e che, dunque, la casa fosse in uso esclusivo all’altro coniuge, in quanto il primo - dopo il volontario allontanamento - ha tutto il diritto di tornare nella casa coniugale quando vuole, senza possibilità per l’altro coniuge di opporsi o di escluderlo (Cass. civ., sentenza 15 ottobre 2012, n. 40383).