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Articolo 26 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 26 Costituzione

L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali [10; 13 c.p.; 697 ss. c.p.p.] (1).

Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.

Note

(1) Trattasi del principio di reciprocità, idoneo a garantire che le richieste di estradizione che intercorrono tra due paesi siano trattate allo stesso modo. Si consideri che l'art. 13 comma 3 c.p. ammette l'estradizione anche per reati non previsti appositamente dalle convenzioni ma per i quali non sia nemmeno espressamente esclusa.

Ratio Legis

La disciplina dell'estradizione, in particolare il secondo comma della disposizione, è posta a tutela del singolo e delle sue libertà (art. 13 ss. Cost.).

Spiegazione dell'art. 26 Costituzione

L'estradizione è la consegna di un cittadino, presunto responsabile di un delitto, ad uno Stato straniero, perché venga ivi giudicato.

Presupposto imprescindibile è la doppia incriminazione del fatto, ovvero la necessità che la condotta sia prevista come reato in entrambi gli Stati interessati.

Al fine di evitare che la norma si presti ad usi distorti, è necessario che la cittadinanza sussista al momento in cui deve avvenire la consegna del soggetto. Si consideri, inoltre, che l'estradizione può essere attiva o passiva, a seconda che sia il nostro paese a richiedere ad altro la consegna di un soggetto qui giudicato e condannato ovvero che gli sia richiesto di consegnare un soggetto.

Come delitto politico (che impedisce l'estradizione), va inteso quello che viene punito in base a discriminatorie finalità di persecuzione politica. Tuttavia, fra i delitti politici non rientrano quelli manifestamente contrastanti con i principi fondamentali della Costituzione, perchè da considerarsi lesivi dei diritti e delle libertà da essa tutelati.

Lo scopo della norma è quello di evitare che un soggetto che si sia opposto ad un ordinamento non democratico per riaffermare diritti di libertà possa essere per questo estradato e punito in questo paese. Pertanto, deve ritenersi che il concetto di reato politico vada ricompreso entro questo perimetro, e non entro quello, più ampio, di cui all'art. 8 c.p.. Infatti tale norma, emanata in epoca fascista, punisce ogni delitto contro un interesse politico dello stato e del singolo, con la conseguenza che sarebbe vietata l'estradizione anche per coloro che attentino ad un ordinamento democratico al fine di sovvertirlo.

In base al combinato disposto della norma in esame e dell'art. 27 Cost. è esclusa, comunque, la possibilità di estradare un soggetto verso un paese che applichi la pena di morte quando la stessa richiesta dipenda da un reato per il quale viene in rilievo questa sanzione. A livello comunitario questa tutela, ribadita dall'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, è estesa anche alla "tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti". Il carattere assoluto del divieto è stato ribadito dalla Corte Costituzionale. A fronte degli accordi che l'Italia aveva stipulato con gli Stati Uniti, che applicano la pena di morte, di concedere l'estradizione a condizione che questi fornissero sufficienti garanzie che la pena stessa non sarebbe stata applicata, la Corte ha ribadito come queste garanzie non siano sufficienti quando viene in rilievo il valore preminente della vita dell'individuo (Corte Cost., 25-27 giugno 1996, n. 223).

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