La norma in esame venisse intesa da parte della dottrina come disciplinante fattispecie di pericolo concreto, opinione basata in gran parte sulla portata semantica del termine “avvelenamento” Inoltre, sempre secondo la medesima dottrina, il pericolo e concreto ed effettivo, in quanto è indispensabile l'avvelenamento di sostanze destinate all'alimentazione, e proprio tale destinazione caratterizza la concretezza del pericolo.
La formulazione stessa della norma, tuttavia, quando impone che l'accertamento del pericolo avvenga “prima” che le sostanze siano attinte o distribuite per il consumo, fa propendere per un inquadramento della norma nel novero dei
reati di pericolo astratto.
Se dunque la
ratio della norma risiede nel colpire la diffusività del pericolo nei confronti di un numero indeterminato di persone di cui la condotta vietata è portatrice, ne deriva che ricade nella fattispecie l'avvelenamento compiuto in qualsiasi fase anteriore alla destinazione della
merce ad uno specifico
acquirente, poiché e in quel momento, e più precisamente solo in quel momento, che il pericolo collettivo si puntualizza in un pericolo individuale, sanzionato da altre disposizioni. E d'altronde è lo stesso tenore letterale della norma che depone in tal senso, in quanto la ”distribuzione per il consumo” fornisce l'idea di qualsiasi atto di cessione a terzi, successivo alla mera “detenzione per la vendita”.
In seguito si è comunque affermato in giurisprudenza che, nonostante la ormai appurata natura di reato di pericolo astratto, “è tuttavia necessario che un avvelenamento, di per se produttivo di pericolo per la
salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità e in quantità tali da determinare il pericolo,
scientificamente accertato, di effetti tossiconocivi per la salute”.
Tale accertamento del livello di pericolo, come già precedentemente sottolineato, va messo in atto alla stregua del parametro della
normale pericolosità, vale a dire che è sufficiente che venga superata, anche di poco, la soglia del cinquanta per cento di possibilità che la sostanza sia pericolosa per i consumatori.
La condotta delittuosa consiste nell'
avvelenare acque o sostanze destinate all'alimentazione, ossia nel modificarle in modo da renderle in grado di causare effetti letali per l'organismo, o di compromettere in forma grave ed irreversibile la funzionalità dei singoli organi o dell'intero organismo umani e si realizza tramite l'immissione di elementi tossici nelle sostanze in questione.
Tra gli elementi che possono portare all'avvelenamento vi sono da annoverare sia quegli che, se immessi nei vari tipi di sostanze organiche o inorganiche destinate in qualche maniera ad essere ingerite, possono comportare un'alterazione della composizione chimico-fisica della sostanza in oggetto, sia quelle
sostanze velenose classicamente descritte e presenti nella Farmacopea Ufficiale. Ai veleni di cui sopra vanno equiparate le
sostanze tossiche di vario tipo, atte, secondo il criterio di potenziale efficacia nociva nei confronti della salute, a recare danno alla
salute o addirittura a portare alla morte il soggetto.
Per completezza espositiva e bene precisare che si tratta di
reato causalmente orientato, in quanto è del tutto indifferente il modo in cui la condotta pericolosa viene posta in essere dal soggetto agente; da ciò deriva inoltre la configurabilità di esso anche se l'avvelenamento avviene per via mediata, ossia tramite le alterate qualità chimiche del contenitore o del recipiente in cui la sostanza si trova.
Tornando ora all'elemento che permette di classificare l'art. 439 come reato di pericolo astratto, vale a dire il
fattore cronologico (“prima che siano attinte o distribuite per il consumo”), in dottrina si è sostenuto che tale momento segnala il termine finale dello stato di pericolo per la salute pubblica derivante dall'avvelenamento, il quale, in seguito alla distribuzione, si tramuterà da fattispecie di pericolo comune a fattispecie di pericolo individuale. Inoltre esso, il
comune pericolo, si esaurisce nel momento in cui diviene determinabile il soggetto avente la
disponibilità della sostanza. L'attingimento o la distribuzione si realizzano pertanto solo ed esclusivamente quando determinano la disponibilità individuale della sostanza avvelenata.
Per quanto riguarda invece l'elemento soggettivo, la fattispecie viene integrata dalla presenza del
dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di avvelenare acque o sostanze unita alla consapevolezza in merito alla potenzialità tossica del mezzo usato e della destinazione alimentare della cosa avvelenata.
Il punto fondamentale e rappresentato dal fatto che non e richiesta la rappresentazione in capo all'agente del pericolo per la pubblica incolumità, in quanto esso e implicito nel fatto di avvelenare sostanze destinate all'uso alimentare. Tale elemento fomenta ancora di più la classificazione di tale norma come reato di pericolo astratto, in quanto non solo viene punito l'avvelenamento della sostanza prima che sia distribuita per il consumo, ma oltretutto punisce la mera volontà di avvelenare una sostanza alimentare, senza che cioè il momento volitivo coincida con la messa in atto di un pericolo diretto per i consumatori.
Il
tentativo e astrattamente configurabile e si realizza qualora siano compiuti atti diretti e idonei inequivocabilmente a cagionare l'avvelenamento della sostanza e questo non si e verificato, anche se, come si può facilmente intuire, appare di difficile accadimento; per contro, il delitto si consuma con l'effettivo avvelenamento delle acque o delle sostanze destinate all'alimentazione, e la dottrina tradizionalmente qualifica la fattispecie come reato istantaneo ad effetti permanenti.