Cass. pen. n. 16356/2015
In materia di termini, la regola di cui all'art. 172, comma quinto, c.p.p. secondo la quale "quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere", implica che vanno esclusi dal computo il "dies a quo" ed il "dies ad quem". (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto tardivo il deposito di motivi nuovi presentati in cancelleria in data 5 marzo con riferimento ad udienza fissata per il 20 marzo, avendo riguardo al termine stabilito dall'art. 585, comma quarto, c.p.p. di "fino a quindici giorni prima dell'udienza").
Cass. pen. n. 5624/2015
Ai fini del computo dei termini durante il periodo di sospensione feriale il 'dies a quò va fissato nel 15 settembre (e 'non computatur'), con la conseguenza che il successivo giorno 16 va utilmente calcolato.(Fattispecie di impugnazione tardiva).
Cass. pen. n. 155/2012
In tema di computo dei termini processuali, la regola posta dall'art. 172, comma terzo, c.p.p., secondo cui il termine stabilito a giorni, che cade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, si applica anche agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce, pertanto, anche al termine per la redazione della sentenza.
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Nelle ipotesi in cui è previsto, come nell'art. 585, comma secondo, lett. c), c.p.p., che il termine assegnato per il compimento di un'attività processuale decorra dalla scadenza del termine assegnato per altra attività processuale, la proroga di diritto del giorno festivo - in cui il precedente termine venga a cadere - al primo giorno successivo non festivo, determina altresì lo spostamento della decorrenza del termine successivo con esso coincidente. Tale situazione, tuttavia, non si verifica ove ricorrano cause di sospensione quale quella prevista per il periodo feriale che, diversamente operando per i due termini, comportino una discontinuità in base al calendario comune tra il giorno in cui il primo termine scade e il giorno da cui deve invece calcolarsi l'inizio del secondo.
Cass. pen. n. 4903/2010
Il termine di dieci giorni per la decisione, a pena di inefficacia della misura coercitiva, sulla richiesta di riesame, decorre, nel caso in cui il "dies a quo" ricada in periodo di sospensione feriale, dal primo giorno utile successivo alla scadenza di tale periodo. (In motivazione la Corte ha precisato che la parte che intenda avvalersi della facoltà di rinunziarvi, deve dichiararlo espressamente).
Cass. pen. n. 133/2009
In materia di termini processuali stabiliti a giorni, la proroga prevista dall'art. 172, comma terzo, c.p.p. con riferimento ai giorni festivi riguarda esclusivamente la scadenza dei termini stessi, e non anche l'inizio della loro decorrenza, la quale dunque non è prorogata di diritto anche quando debba essere riferita, in concreto, ad un giorno festivo. *
Cass. pen. n. 6849/2004
È intempestivo, e perciò inammissibile, il gravame presentato oltre l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio giudiziario nel giorno di scadenza del termine per impugnare, a nulla rilevando la presenza, nell'ufficio medesimo, al momento della presentazione dell'atto, di personale in servizio. (Fattispecie relativa ad appello del P.M.)
Cass. pen. n. 38369/2003
La proroga di diritto del termine stabilito a giorni che scada in un giorno festivo, prevista al terzo comma dell'art. 172 c.p.p., non si applica ai termini dilatori. Di conseguenza, la prescrizione che nel procedimento di riesame gli avvisi siano comunicati e notificati almeno tre giorni prima della relativa udienza camerale (art. 309, ottavo comma, c.p.p.) può dirsi osservata anche quando sia festivo l'ultimo dei tre giorni liberi rimasti a disposizione delle parti.
Cass. pen. n. 42963/2001
È inammissibile per tardività l'atto di impugnazione la cui presentazione, dall'attestazione dell'ufficio di cancelleria, risulti effetuata nell'ultimo giorno utile in ora successiva, sia pure di poco (nella specie, venti minuti), all'orario di chiusura al pubblico del suddetto ufficio, non potendo in contrario rilevare la prospettazione di mere ipotesi o supposizioni circa la possibilità che il presentatore, dopo aver fatto ingresso nell'ufficio prima della scadenza dell'orario di apertura, abbia dovuto attendere che il pubblico ufficiale addetto provvedesse all'effettiva ricezione dell'atto in questione. (Fattispecie relativa ad impugnazione del pubblico ministero).
Cass. pen. n. 3966/2000
Poiché al giudice, in virtù del disposto del terzo comma dell'art. 544 c.p.p., è consentito indicare nel dispositivo un termine per il deposito della sentenza più lungo di quello ordinario, non eccedente il limite massimo ivi prescritto ma, all'interno di questo, discrezionalmente determinato, egli è libero anche di stabilirne le modalità di computo, fissando il momento finale ovvero indicandolo in giorni e stabilendone la decorrenza iniziale, sicché le regole generali dettate dall'art. 172 c.p.p. rimangono applicabili solo in assenza di una sua diversa volontà espressa. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la sentenza d'appello che aveva ritenuto tempestivamente depositata — e, di conseguenza, legittimamente omessi i relativi avvisi — la sentenza di primo grado, non calcolando però nel termine di quarantacinque giorni, indicato nel dispositivo, il giorno della pronuncia, il quale, viceversa, si sarebbe dovuto includere nel computo avendo il giudice testualmente specificato che il deposito era riservato «nel termine di giorni 45 da oggi».
Cass. pen. n. 511/2000
Il termine di “almeno tre giorni prima” di cui all'art. 309, comma ottavo, c.p.p. — nel quale deve essere notificato all'imputato e al suo difensore l'avviso della data fissata per l'udienza del procedimento di riesame — si deve intendere di “tre giorni liberi e interi” e comprende anche il “dies ad quem”, trattandosi di un termine dilatorio che segue la regola generale dettata dal quinto comma dell'art. 172 c.p.p. Il mancato rispetto del termine così computato comporta la nullità dell'ordinanza impugnata, dalla quale, però, non discende la perdita di efficacia della misura cautelare.
Cass. pen. n. 158/1999
Il compimento dei 18 anni di età, ai fini del raggiungimento della piena imputabilità penale, va fissato secondo le regole stabilite dall'art. 14, comma secondo, c.p. e dall'art. 172, comma quarto, c.p.p. e, quindi, trattandosi di termine da computarsi ad anni, allo scadere delle ore 24 del giorno del diciottesimo compleanno del soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che fosse da considerare ancora minorenne un soggetto che aveva commesso un reato intorno alle ore 23,40 del giorno del suo diciottesimo compleanno).
Cass. pen. n. 1712/1998
In tema di rispetto del termine per la presentazione della richiesta di convalida dell'arresto, poiché tale formalità non rientra in alcuno degli adempimenti previsti dall'art. 172, comma sesto, c.p.p., caratterizzati dal comune presupposto di una necessaria specifica contestuale attività positiva da parte del personale dell'ufficio ricevente, e tenuto conto della commisurazione in ore del termine per la presentazione della richiesta previsto dall'art. 390, comma primo, c.p.p., deve escludersi la tardività di una richiesta di convalida pervenuta oltre il termine di chiusura dell'ufficio ma entro il termine di legge di quarantotto ore dall'arresto.
Cass. pen. n. 7112/1998
Ai sensi dell'art. 172, comma sesto, c.p.p., deve distinguersi tra l'orario di servizio, che riguarda il personale degli uffici giudiziari, la cui durata è regolata contrattualmente e che non ha rilevanza esterna, dall'orario in cui l'ufficio è aperto al pubblico per «fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti», che è stabilito dai relativi regolamenti e dalla cui inosservanza possono derivare effetti pregiudizievoli per gli interessati. Il termine «pubblico» sta ad indicare, nell'accezione di cui alla citata norma, tutte le persone estranee all'ufficio giudiziario nel quale l'atto deve essere compiuto, ed in particolare le parti che sono le dirette interessate al compimento delle attività suindicate; e non vi è dubbio che tra le parti debba essere annoverato anche il P.M.: il vigente codice di rito ha introdotto, infatti, una netta distinzione di ruoli tra giudice e pubblico ministero, equiparando quest'ultimo alle parti in genere, cosicché il detto organo deve considerarsi estraneo all'ufficio ai fini del compimento delle predette attività e, quindi, assoggettato ai limiti di accesso previsti dalla disposizione di legge sopra indicata. Ne consegue che, ove la dichiarazione di trasmissione degli atti al tribunale del riesame venga fatta dal P.M. dopo la chiusura al pubblico dell'ufficio di cancelleria, gli effetti di tale dichiarazione decorrono dal giorno successivo, a nulla rilevando la presenza del personale in ufficio al momento della dichiarazione stessa.
Cass. pen. n. 3712/1996
Posto che, secondo l'art. 27 c.p.p., la misura coercitiva disposta dal giudice dichiaratosi incompetente cessa di aver effetto se, «entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione degli atti», il giudice competente non provvede a riemettere la misura, ne consegue che la decorrenza del termine in questione non può che avere inizio dal momento in cui detta ordinanza ed i relativi atti pervengono alla cognizione del giudice competente ed egli è posto concretamente in grado di esercitare il suo compito. Una conferma di tale interpretazione si rinviene peraltro nella normativa in materia di risoluzione di conflitti di competenza (art. 32 c.p.p.), laddove viene disposto che il termine di venti giorni - di cui all'art. 27 c.p.p. - decorre dalla comunicazione dell'estratto della sentenza risolutiva del conflitto ai giudici interessati. Ed anche in linea generale deve affermarsi che, comunque, il computo di un termine perentorio - qual è quello ex art. 27 c.p.p. - non si sottrae alla disciplina dell'art. 172 c.p.p. ed al principio secondo il quale l'inizio della decorrenza coincide con la possibilità giuridica di esercitare concretamente il diritto.
Cass. pen. n. 3559/1996
In materia di termini, la regola di cui all'art. 172, comma 5, c.p.p., secondo la quale, «quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere», implica soltanto che vanno esclusi dal computo il dies a quo e il dies ad quem, non operando, invece, detta esclusione, con riguardo agli eventuali giorni festivi intermedi, giacché l'esistenza di una festività rileva soltanto nella diversa ipotesi di cui al comma 3 del citato art. 172, in base al quale il termine che scade in giorno festivo è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo.
Cass. pen. n. 30/1995
La disposizione di cui all'art. 172, comma 6, c.p.p., secondo cui il termine per il deposito di atti in un ufficio giudiziario «si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico», non opera con riguardo al deposito dei provvedimenti del giudice. (Fattispecie relativa a deposito dell'ordinanza del tribunale del riesame effettuato nell'ultimo giorno utile, dopo la scadenza dell'orario di apertura al pubblico della cancelleria).
Cass. pen. n. 831/1995
La proroga di diritto del termine, stabilito a giorni, che scada in giorno festivo, prevista dall'art. 172, comma 3, c.p.p., non si applica ai termini dilatori computabili a giorni liberi come, quello di cui all'art. 309, comma 8, stesso codice stabilito per la notifica dell'avviso della data dell'udienza fissata per il riesame.
Cass. pen. n. 4591/1994
Il deposito della richiesta di proroga delle indagini da parte del P.M. nella cancelleria del Gip effettuato oltre l'orario di ufficio, ma comunque prima della scadenza del termine, non costituisce ragione di nullità, per il principio di tassatività di cui all'art. 177 c.p.p. ed attenendo il termine di cui all'art. 172, comma 6, c.p.p. esclusivamente all'istituto processuale della decadenza.
Cass. pen. n. 3523/1994
Il termine di venti giorni che l'art. 27 c.p.p. stabilisce con carattere di perentorietà a pena di inefficacia della misura coercitiva adottata da giudice dichiaratosi incompetente, non si sottrae, nonostante detto suo carattere, alla regola generale stabilita dall'art. 172 stesso codice, né, in difetto di contraria statuizione, influenza il metodo di calcolo del decorrere del termine previsto da detta norma. Difatti, il termine in questione non è di quelli automaticamente incidenti sullo status libertatis, dato che, nell'ipotesi in cui sia sorto conflitto sulla competenza, il termine medesimo decorre, ai sensi dell'art. 32 c.p.p., dalla comunicazione dell'estratto della sentenza ai giudici in conflitto. (In motivazione la Suprema Corte ha chiarito che, argomentando per analogia, se ne deve inferire che, qualora il conflitto non sorga, i venti giorni devono trovare il loro dies a quo nel momento di conoscenza del provvedimento emesso dal giudice dichiaratosi incompetente nel giorno di arrivo degli atti nella cancelleria del giudice ritenuto competente).
Cass. pen. n. 1217/1993
Il dettato dell'art. 172, sesto comma, c.p.p., secondo cui «il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti e compiere altri atti in un ufficio giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico», va interpretato nel senso che la scadenza del predetto termine si verifica in coincidenza con l'orario di chiusura stabilito nei regolamenti, non già nel momento di chiusura effettiva dell'ufficio di cancelleria o segreteria. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito abbia fatto richiamo all'art. 162 della L. 23 ottobre 1960, n. 1196, che legittima i provvedimenti dei singoli capi di ufficio, escludendo l'applicabilità dell'art. 15 del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, che demanda alla negoziazione decentrata tra pubblica amministrazione e organizzazioni sindacali del personale la programmazione dell'orario di servizio e l'articolazione dell'orario di lavoro, poiché la suddetta negoziazione intervenuta nel distretto interessato non contiene alcuna clausola circa l'apertura al pubblico degli uffici).
Cass. pen. n. 524/1993
Il termine per il deposito della sentenza dibattimentale è comprensivo anche del giorno iniziale. La decorrenza cioè non è diversa - malgrado la dizione lievemente differente dell'art. 544 c.p.p. - dalla regola generale fissata dall'art. 172 c.p.p.
Cass. pen. n. 301/1993
Nel procedimento di riesame delle misure cautelari, con l'espressione «almeno tre giorni prima», di cui all'art. 309, comma ottavo, c.p.p., non può intendersi che i giorni che compongono il termine devono essere interi e liberi. Trattandosi di un termine stabilito a giorni in un procedimento caratterizzato da particolare celerità e dall'iniziativa della parte, rispetto alla quale la fissazione di una breve scadenza dell'udienza camerale non costituisce una sorpresa che la trovi impreparata, per esso non può trovare applicazione il principio generale sancito dall'art. 172, comma quarto, c.p.p., secondo cui nel termine non si computa il giorno di decorrenza e si computa l'ultimo giorno.
Cass. pen. n. 4047/1992
In materia di riesame di misure cautelari, la violazione della disposizione di cui all'art. 309, comma ottavo, c.p.p., per mancato rispetto del termine dilatorio di tre giorni liberi e interi (art. 172, comma quinto, c.p.p.) previsto per l'indagato, integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, disciplinata dagli artt. 178-180 c.p.p.
Cass. pen. n. 1116/1992
In tema di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, il termine di tre giorni fissato dall'art. 309, ottavo comma, c.p.p., al pari di quello stabilito dall'art. 127 e dalle altre disposizioni che stabiliscono il termine finale, deve essere inteso come riferibile ad unità temporali «intere e libere», secondo quanto stabilito dall'art. 172, quinto comma, stesso codice.