Cass. pen. n. 27614/2007
L'abrogazione ad opera della legge n. 46 del 2006 dell'art. 577 c.p.p., che prevedeva l'appello, agli effetti penali, della persona offesa costituita parte civile nei procedimenti per i reati di ingiuria e diffamazione, non incide, in ragione dell'operatività del principio tempus regit actum, sull'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella. Per la corretta delimitazione dell'ambito operativo del principio intertemporale, occorre aver riguardo al tipo di atto processuale che viene in rilievo e, nella specie, il momento rilevante è quello della pronuncia della sentenza. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 40727/2006
La sopravvenuta abrogazione, ad opera dell'art. 9 L. n. 46 del 2006, dell'art. 577 c.p.p., relativo al potere della persona offesa costituita parte civile di impugnare, anche agli effetti penali, le sentenze per i reati di ingiuria e diffamazione, non determina l'inammissibilità' delle impugnazioni proposte prima dell'entrata in vigore della norma abrogatrice, in assenza di una disciplina transitoria che ne preveda la retroattività in deroga al generale principio « tempus regit actum» secondo cui il giudizio di validità degli atti deve riferirsi alla legge vigente al momento della loro emanazione e non a quello, successivo, di produzione degli effetti.
Cass. pen. n. 33093/2006
L'abrogazione dell'art. 577 c.p.p. disposta dall'art. 9 della L. n. 46 del 2006 non produce effetti sulla ammissibilità dell'appello avverso la sentenza relativa ai reati di ingiuria e diffamazione che, al momento della entrata in vigore della legge, sia stato già deciso, salva la ipotesi in cui la Cassazione pronunci, per vizi di legittimità, sentenza di annullamento di quella di secondo grado, con rinvio al giudice penale, nel qual caso l'appello della parte civile deve essere dichiarato inammissibile in base alla disciplina transitoria dell'art. 10 comma primo L. cit. che prevede la applicazione delle disposizioni in essa contenute ai procedimenti in corso, senza possibilità per la stessa parte civile, a differenza che per il P.M., di proporre ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 29935/2006
La norma dell'art. 9 L. n. 46 del 2006 che dispone l'abrogazione dell'art. 577 c.p.p. (potere di impugnazione della persona offesa, anche agli effetti penali, per i reati di ingiuria e diffamazione), è accompagnata dalla disciplina transitoria (art. 10 comma primo) che ne prevede l'applicabilità ai procedimenti in corso, con la conseguente sopravvenuta inammissibilità delle impugnazioni proposte prima dell'entrata in vigore della norma abrogatrice, in deroga al generale principio tempus regit actum.
Cass. pen. n. 24421/2006
L'abrogazione ad opera dell'art. 9 L. n. 46 del 2006 dell'art. 577 c.p.p., relativo al potere della persona offesa costituita parte civile di impugnare, anche agli effetti penali, le sentenze per i reati di ingiuria e diffamazione, non causa l'inammissibilità delle impugnazioni proposte prima dell'entrata in vigore della novella, in assenza di una disciplina transitoria che deroghi al generale principio per il quale il giudizio sulla validità dell'atto deve riferirsi alla legge vigente al momento della sua emissione.
Cass. pen. n. 11162/2006
La sopravvenuta abrogazione, ad opera dell'art. 9 L. n. 46 del 2006, dell'art. 577 c.p.p., relativo al potere della persona offesa costituita parte civile di impugnare, anche agli effetti penali, le sentenze per i reati di ingiuria e diffamazione, non determina l'inammissibilità delle impugnazioni proposte prima dell'entrata in vigore della norma abrogatrice, in assenza di una disciplina transitoria che ne preveda la retroattività in deroga al generale principio tempus regit actum, secondo cui il giudizio di validità degli atti deve riferirsi alla legge vigente al momento della loro emanazione e non a quello, successivo, di produzione degli effetti.
Cass. pen. n. 5697/2003
Non sussiste l'interesse della parte civile a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna che abbia escluso per l'imputato l'aggravante della premeditazione (art. 577 n. 3 c.p.) non influendo essa in alcun modo né sul danno patrimoniale né su quello morale, dal momento che non comporta un aggravamento della sofferenza conseguita al delitto, a differenza, ad esempio, di quanto potrebbe verificarsi in caso di omicidio commesso con crudeltà o sevizie.
Cass. pen. n. 4462/2002
La disposizione dell'art. 577 c.p.p. - che attribuisce alla persona offesa costituita parte civile il potere di impugnazione, anche agli effetti penali, delle sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e di diffamazione - ha portata generale con la conseguenza che il gravame è proponibile non solo contro il giornalista ma anche contro il direttore responsabile del giornale che sia stato chiamato a rispondere del delitto di diffamazione a mezzo stampa.
Cass. pen. n. 1188/2002
In tema di diffamazione a mezzo stampa, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un'associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale, conseguentemente, anche compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l'onore. Ne consegue che, quando l'offesa assume carattere diffusivo (nel senso che essa viene ad incidere sulla considerazione di cui l'ente gode nella collettività), detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile e ad esso compete eventualmente la facoltà di proporre impugnazione nelle ipotesi particolari previste dall'art. 577 c.p.p. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la qualità di persona offesa - con possibilità di costituirsi parte civile e di proporre la impugnazione sopra specificata - ad un Consiglio dell'ordine degli avvocati, avendo il giornalista formulato giudizi negativi e denigratori nei confronti di «migliaia di avvocati», appartenenti al predetto ente, ed avendone indicati alcuni come «manutengoli della camorra»).
Cass. pen. n. 9685/1997
In materia di diffamazione a mezzo stampa, la parte offesa, costituitasi parte civile, è legittimata a proporre impugnazione, anche agli effetti penali, soltanto nei confronti dell'autore della diffamazione e non anche nei confronti del direttore responsabile quanto questi sia imputato non a titolo di concorso, ma ai sensi dell'art. 57 c.p., che configura una autonoma ipotesi di reato colposo, strutturato in forma omissiva, nel quale l'evento è rappresentato dalla commissione di un qualsiasi reato.
Cass. pen. n. 111/1996
L'art. 577 c.p.p. legittima la persona offesa costituita parte civile a proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione. Tale norma non è suscettibile di interpretazione estensiva o analogica, sicché non è ammissibile, sulla sua scorta, l'impugnazione delle sentenze aventi ad oggetto il reato di cui agli artt. 57 e 595 c.p., che integra una fattispecie autonoma rispetto alla semplice diffamazione. (Fattispecie nella quale il ricorso della parte civile nei confronti del direttore responsabile del quotidiano ov'era stato pubblicato lo scritto offensivo è stato ritenuto ammissibile, siccome proposto ai soli fini della responsabilità civile).
Cass. pen. n. 7942/1993
L'art. 577 c.p.p., il quale consente alla persona offesa costituitasi parte civile di proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di inguria e diffamazione, manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3, 77 e 112 della Costituzione, trattandosi di norma che deriva da una non irragionevole scelta operata dal legislatore nell'ottica del processo accusatorio ed a maggior tutela del bene protetto, caratterizzato da una profonda connotazione personale; scelta già espressa nella direttiva n. 85 della legge delega 16 ottobre 1987, n. 81 (di cui l'art. 577 c.p.p. costituisce fedele attuazione), e non incidente in alcun modo sulla persistenza dell'obbligo di esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero.