Con l’istituto della rimessione in termini si intende evitare che le preclusioni possano ingiustamente danneggiare la parte che vi sia incolpevolmente incorsa, con conseguente violazione del diritto al
contraddittorio per la parte che, senza colpa, sia incorsa in una decadenza per inosservanza di un
termine perentorio o per mancato esercizio di un potere entro una fase processuale.
Proprio nell’ottica di garantire il rispetto del principio del contraddittorio, la rimessione in termini avrà effetto sia nei confronti della parte che espressamente l'ha richiesta, sia nei confronti della controparte.
La concessione del beneficio della rimessione in termini è connesso a due diverse eventualità, ossia:
-
la mancata conoscenza del processo conseguente alla nullità della citazione e della sua notificazione;
-
nell'ipotesi di intempestiva costituzione in giudizio per causa non imputabile alla parte contumace.
Nell’ipotesi sub a) si parla di
contumacia irregolarmente dichiarata, mentre nell’ipotesi sub b) di
contumacia involontaria.
In caso di “
contumacia irregolarmente dichiarata”, la chiara lettera della norma induce a ritenere che la rimessione in termini sia possibile laddove sussista un comprovato
nesso di causalità tra la nullità invocata e la mancata conoscenza del processo (non rientrano, pertanto, in tale previsione, tutti quei vizi della citazione o della sua notificazione, che pur determinando la nullità dell'atto cui afferiscono, non impediscono al convenuto di essere reso edotto circa la pendenza del processo contro di lui promosso).
Con riferimento alle
nullità relative alla notificazione, si ritiene che si debba distinguere tra vizi espressamente previsti dall'
art. 160 del c.p.c. ( per i quali dalla semplice dimostrazione della loro esistenza ne conseguirà quella della mancata conoscenza del processo), ed altri vizi, non espressamente previsti dallo stesso art. 160 c.p.c., per i quali il
convenuto, nel formulare l'eccezione, non potrà prescindere dal fornire spiegazione del motivo per cui tali vizi gli abbiano impedito di avere conoscenza del processo.
Il principio secondo cui per beneficiare della rimessione in termini è necessario dimostrare che la eccepita nullità sia stata idonea a determinare l'impedimento all'esercizio del potere, trova il suo fondamento nella regola che il terzo comma dell’
art. 156 del c.p.c. detta in materia di nullità degli atti processuali, secondo cui la nullità non può mai essere pronunciata se l'atto ha comunque raggiunto lo scopo cui è preordinato.
Il richiamo alla nullità della notificazione come condizione per proporre l'istanza di rimessione in termini, implicitamente esclude la compatibilità della rimessione stessa con l'ipotesi della inesistenza della notificazione, che così come rende impossibile per il giudice disporre la rinnovazione ai sensi dell'
art. 291 del c.p.c., altrettanto non consente al convenuto di chiedere la rimessione in termini in un processo che, essendo stato instaurato con un atto inidoneo sotto ogni profilo giuridico, è da considerarsi affetto da nullità insanabile
In relazione alla
nullità dell’atto di citazione, l'indagine deve avere ad oggetto l'individuazione dei vizi di tale atto che possano concretamente avere impedito al convenuto di avere conoscenza del processo.
Così se il vizio è relativo alla c.d.
edictio actionis, ed è tale da impedire al convenuto di avere conoscenza del processo, l'art. 294 non è applicabile; pertanto, se il convenuto si costituisce in una fase avanzata del giudizio, il giudice deve necessariamente rimetterlo in termini, previa integrazione della domanda (senza alcuna spiegazione sul se, in conseguenza della nullità, egli abbia avuto o meno conoscenza del processo).
Stesso discorso vale per i vizi attinenti alla
vocatio in ius: si ritiene, anche in questo caso, che non possa trovare applicazione l'art. 294 nell'ipotesi in cui, ai sensi del secondo comma dell'art. 164, il giudice nella prima udienza di comparizione, dopo aver rilevato la nullità dell'atto di citazione, abbia ordinato la rinnovazione dell'atto introduttivo (rinnovazione che prescinde dalla valutazione della attitudine del vizio ad impedire la conoscenza del processo al convenuto).
La seconda parte del primo comma prende in esame il caso della
rimessione in termini per fatto impeditivo non imputabile al contumace.
In tale ipotesi l'onere probatorio che grava sul contumace costituitosi tardivamente ha ad oggetto la dimostrazione della non imputabilità del fatto che ha determinato l'ignoranza del processo.
Per quanto concerne il significato da attribuire all'espressione
causa non imputabile, la dottrina prevalente ritiene che, unitamente alle nozioni di
caso fortuito e di
forza maggiore, essa debba essere ricondotta nell'ambito di quegli eventi considerati idonei a rompere il nesso eziologico tra un determinato comportamento ed un certo effetto, in modo tale che l'evento non possa essere attribuito alla responsabilità dell'autore del comportamento.
Tuttavia, occorre rilevare che non è mancato chi si è espresso favorevolmente alla concessione del beneficio della rimessione in termini nelle ipotesi di negligenza o impedimento dell'
ufficiale giudiziario, così come di tutte le altre persone che non siano rappresentanti della parte (come il giudice e suoi ausiliari, ausiliari del difensore, dipendenti del servizio postale).
Il secondo e terzo comma disciplinano il procedimento di rimessione, il quale costituisce uno dei procedimenti interni al processo, che trova il proprio fondamento in esso ed attraverso cui si tende a mantenere il rispetto del contraddittorio.
Il contumace che intende ottenere il beneficio della rimessione in termini deve proporre una specifica richiesta in tal senso nella comparsa con la quale si costituisce in giudizio, nel verbale dell'udienza in cui compare ovvero in una apposita istanza depositata in udienza o nella
cancelleria del giudice.
Per quanto concerne la forma dell’istanza, sebbene la forma del
ricorso sembrerebbe essere la più logica, in assenza di una disposizione legislativa in tal senso non può escludersi che le parti, in applicazione dell'
art. 121 del c.p.c., possano proporre l'atto nella forma più idonea al raggiungimento del suo scopo.
La necessità del rispetto del principio del contraddittorio comporta che, nell'ipotesi di istanza di rimessione depositata fuori udienza, il giudice debba emettere i provvedimenti previsti dalla norma in esame nella prima udienza utile successiva al deposito dell'istanza, e ciò al fine di consentire alla controparte di venirne a conoscenza e poter eventualmente replicare all'istanza stessa.
Circa il termine preclusivo per la proposizione dell'istanza, non essendo previsto alcun termine perentorio e stante la tassatività dei termini perentori di cui all'
art. 152 del c.p.c., non può incorrere in nessuna decadenza il contumace che, costituitosi tardivamente, non chieda la rimessione in termini contestualmente alla costituzione.
L'unico limite preclusivo potrebbe ricavarsi dall’
art. 293 del c.p.c., norma che vieta al contumace la costituzione in un momento successivo a quello in cui la causa è rimessa al collegio per la decisione.
Il secondo comma prevede il c.d. giudizio di verosimiglianza, disponendo che il giudice istruttore provvede sulla istanza di rimessione in termini, ammettendo quando occorre la prova dell'impedimento, previa valutazione della verosimiglianza dei fatti allegati alla base della stessa.
L’inciso qui utilizzato “
quando occorre” deve essere interpretato nel senso che la prova dell'impedimento sarà necessaria solo quando essa non emerga in maniera sufficiente dalle altre risultanze di causa.
Il provvedimento che pronuncia sull'istanza di rimessione deve avere la forma dell’ordinanza che, come tale, può essere revocata e modificata dal
giudice istruttore ex
art. 177 del c.p.c. comma 2.
L'ultimo comma di questa norma deve intendersi implicitamente abrogato dalla riforma del 1990.