La presente disposizione non costituisce una vera e propria novità, in quanto il legislatore non ha fatto altro che riprodurre l’ormai abrogato art 312 c.p.c., il quale attribuiva il medesimo potere istruttorio ufficioso al pretore e al giudice di pace.
L’attribuzione del potere istruttorio ufficioso anche in favore del tribunale in composizione monocratica costituisce un'attenuazione del principio dispositivo in materia di prove ed un rafforzamento dei poteri dell'organo giudicante.
L’inserimento di tale norma nell'ambito del procedimento da seguire innanzi al tribunale in composizione monocratica ha, in buona sostanza, trasformato in regola quel potere istruttorio d'ufficio che nella previgente disciplina costituiva mera eccezione.
Raffrontando l'art. 281 ter con l'omologo
art. 257 del c.p.c. comma 1, applicabile a tutte le controversie soggette al rito ordinario, emerge da un lato la medesima
ratio, ossia quella di ricercare la verità materiale, ma nello stesso tempo la più ampia portata del potere istruttorio del giudice monocratico, essendo tale potere esercitabile in via autonoma sulla base di riferimenti provenienti dalla parte, attraverso la diretta formulazione dei capitoli da parte del giudice.
Dal raffronto, poi, con il secondo comma dell'
art. 421 del c.p.c., relativo ai poteri istruttori del giudice del lavoro, si desume come il potere istruttorio del giudice monocratico del rito ordinario sia più ristretto di quello attribuito al giudice del lavoro, in quanto il primo è circoscritto alla sola prova testimoniale e legato alla circostanza che il riferimento a persone capaci di conoscere la verità deve provenire dalle indicazioni operate dalle parti.
Il potere di disporre d'ufficio la prova testimoniale va esercitato nel pieno rispetto dell'attività di allegazione dei fatti individuati dalle parti nei loro scritti difensivi; ciò comporta che la prova testimoniale disposta d'ufficio dal giudice potrà riguardare solo fatti allegati dalle parti, mai fatti derivanti dalla scienza privata del giudice (il giudice, pertanto, non ha alcun potere di acquisire autonomamente al processo fatti e/o fonti di prova).
Altro presupposto per l’esercizio del potere ufficioso è che i fatti allegati siano bisognosi di prova; pertanto, i poteri istruttori ufficiosi non possono essere esercitati in relazione a fatti che, allegati dalle parti, sono pacifici o non contestati.
Al fine di rispettare il principio del
contraddittorio, il giudice, ancora, è tenuto a sottoporre l'ammissione della prova d'ufficio alle deduzioni e controdeduzioni delle parti circa l'ammissibilità e rilevanza dello stesso mezzo di prova; le parti, dunque, hanno il diritto di vedersi assegnare dallo stesso giudice un
termine perentorio per poter dedurre i mezzi di prova che si sono resi necessari in relazione a quelli disposti d'ufficio.
Ciò si impone non solo per ragioni di carattere logico e sistematico, ma anche in osservanza del disposto di cui al comma 8 dell'
art. 183 del c.p.c., in forza del quale “
nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui al 7° co., ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi”.
Poiché la lettera dell'art. 281 ter prevede solo il potere di disporre d'ufficio la prova testimoniale, si ritiene che il giudice:
a) può disporre d'ufficio la sola prova testimoniale;
b) lo può fare solo in relazione ai fatti allegati dalle parti, anche se non occorre che i fatti debbano risultare dagli atti introduttivi delle parti (
citazione e
comparsa di risposta), potendo anche emergere da dichiarazioni orali;
c) può disporre l'assunzione del teste di riferimento ex
art. 257 del c.p.c. comma 1 soltanto ove la conoscenza del fatto da parte del terzo si sia palesata nel corso di una testimonianza e non anche quando la stessa emerga già dalle allegazioni di una delle parti.
Per quanto concerne le persone a conoscenza della verità dei fatti, anch'esse devono essere indicate dalle parti, in forma scritta o in forma orale nel corso dell'interrogatorio o durante l'assunzione di un'altra prova; ciò comporta che la prova testimoniale potrà essere disposta d'ufficio solo nei confronti di persone la cui identità, sebbene non indicata con precisione dalle parti, possa agevolmente ricavarsi dal contesto delle attività svolte dalle parti nei loro atti difensivi o in sede di
interrogatorio libero.
Ulteriore limite al potere ufficioso del giudice monocratico è rappresentato dalla circostanza che la prova va dedotta comunque per capitoli (pertanto, occorrerà seguire le modalità previste dall'
art. 244 del c.p.c.).
Per quanto concerne il momento ultimo entro il quale il giudice può esercitare il suo potere ufficioso, ci si chiede se tale potere sia soggetto ai medesimi limiti temporali previsti per le parti.
A tale riguardo parte della dottrina riteneva che il limite alla possibilità per il giudice di disporre d'ufficio la prova testimoniale fosse dato dal termine ultimo concesso alle parti per l'allegazione dei fatti di causa, per cui doveva escludersi che dopo la chiusura della prima udienza di trattazione, o al più tardi, dopo il decorso dei termini concessi dal giudice per le allegazioni istruttorie, le parti potessero allegare fatti nuovi e il giudice potesse d'ufficio disporre la prova testimoniale.
Secondo altra tesi, invece, poiché il potere qui previsto non va considerato come potere meramente discrezionale, ma come potere-dovere da esercitarsi, ad opera del giudice, ogni qualvolta, al fine di decidere la controversia, fosse costretto a ricorrere alla regola formale di giudizio di cui all'
art. 2697 del c.c., doveva ammettersi l'esercizio di tale potere anche e soprattutto oltre le barriere preclusive stabilite per le parti.
Dopo la riforma del 2005, stando al riformato art. 183, 8° co., si ammette che il giudice possa esercitare i suoi poteri istruttori ufficiosi con la stessa ordinanza con cui egli ammette le prove dedotte dalle parti, dunque con un provvedimento che è successivo al momento ultimo entro il quale le parti possono dedurre istanze probatorie.
Ci si è anche chiesti se il potere del giudice possa essere esercitato con riferimento a prove testimoniali rispetto alle quali la parte sia decaduta.
A tal proposito si distingue l'ipotesi in cui la decadenza si sia verificata in forza della previsione di cui all'art. 183 c.p.c. da quella in cui si sia verificata, invece, in forza della previsione di cui all'
art. 208 del c.p.c..
Si esclude che la deduzione
ex officio possa consentire l'ammissione di una prova testimoniale in ordine alla quale la parte interessata è ormai decaduta, ad esempio per mancata citazione dei testi.
Nel caso in cui il giudice abbia esercitato il proprio potere ufficioso al di là dei limiti appena visti oppure abbia disposto l'ammissione di una prova testimoniale senza aver consentito alle parti di poter reagire a tale attività mediante la deduzione di prove contrarie, il relativo vizio potrà essere sottoposto a verifica in sede di gravame.
Nella fase del gravame, invece, le parti non potranno sindacare il mancato esercizio del potere ufficioso da parte del giudice, nonostante ricorrano i presupposti di cui all'art. 281 ter, poiché si tratta di un potere e non di un dovere processuale.
E’ discusso se la norma in esame sia applicabile anche al procedimento innanzi al tribunale in composizione collegiale.
La dottrina maggioritaria è per la soluzione negativa, in considerazione del fatto che l'applicazione dell'art. 281 ter nelle cause riservate al giudice monocratico presenta aspetti fortemente pubblicistici.
Anche la Corte costituzionale è intervenuta sul punto (C. Cost. 14.3.2003, n. 69) dichiarando manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 281 ter nella parte in cui non si applica ai giudizi demandati al tribunale in composizione collegiale, in riferimento agli artt. 3, 24 Cost.
Deve invece essere data soluzione positiva a tale problema per il procedimento innanzi al giudice di pace, argomentando dal disposto attuale dell'
art. 311 del c.p.c., il quale testualmente prevede che “
il procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è regolato nel presente Titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili” e dunque anche dell'art. 281 ter (in tal senso è anche orientata la giurisprudenza di legittimità).