La norma in esame si pone in deroga al principio generale dell’
onere della prova in senso sostanziale, in quanto attribuisce al
giudice il potere di invitare il
ricorrente a fornire ovvero ad integrare le prove (a tale invito vi provvede il
cancelliere a seguito del
provvedimento del giudice).
Il giudice pronuncerà, con
decreto motivato, il rigetto della domanda nel caso in cui il ricorrente non dovesse ottemperare a tale invito o non dovesse ritirare il ricorso, così come allorché dovesse reputare la prova offerta non concludente e persuasiva.
Secondo un’interpretazione estensiva l’istituto della integrazione, disciplinato da questa norma, potrebbe trovare applicazione in tutte le ipotesi di iniziale inaccoglibilità della domanda, che possano essere superate con un'idonea attività integrativa e che riguardino non solo l’aspetto strettamente probatorio, ma anche altre lacune, in particolare di tipo assertivo, facilmente verificabili anche in considerazione di una possibile formulazione sommaria del contenuto oggettivo del ricorso.
Favorevole a tale interpretazione estensiva è anche la dottrina, argomentando tra l’altro dalla considerazione secondo cui una restrizione del suo campo applicativo si porrebbe in contrasto con le evidenti esigenze di economia processuale, che rendono indubbiamente preferibile un recupero endoprocessuale di qualsiasi lacuna, anche in ottemperanza al principio di collaborazione desumibile dagli artt.
182 e
183, 3° co. c.p.c.
Il raffronto con il secondo comma della norma e con le possibili ragioni del rigetto della domanda impone di ritenere che il giudice, malgrado l’assenza di un'espressa previsione in tal senso, debba fissare al ricorrente un termine per provvedere alla sua integrazione, decorso il quale il ricorso monitorio andrà inevitabilmente rigettato.
La pronuncia di rigetto può essere fondata su ragioni di rito (es. ricorso sottoscritto da avvocato sfornito di
procura) o su ragioni di merito (es.
prescrizione del diritto).
Mentre non vi è alcun dubbio sul carattere meramente processuale della pronuncia di rigetto per motivi di rito, non vi è uniformità di vedute sul rigetto per motivi di merito.
Secondo la tesi prevalente, anche il provvedimento di rigetto per tali motivi deve qualificarsi come un provvedimento di contenuto processuale, su cui non può formarsi il giudicato, ritenendosi così di dover far salva la riproponibilità della domanda, sia in via monitoria che in via ordinaria, secondo quanto disposto dall’ultimo comma della presente norma (questa è la ragione per cui avverso il decreto di rigetto non è esperibile alcun mezzo di
impugnazione).
Ci si è chiesti se il rigetto della domanda ingiuntiva possa essere anche il frutto di un'iniziativa difensiva del soggetto nei cui confronti viene richiesta la pronunzia del
decreto ingiuntivo e se a questi possa essere riconosciuto il potere d'intervento nella fase strettamente monitoria.
E’ preferibile la tesi secondo cui in questa fase l'ingiungendo non può esercitare alcuna attività difensiva, laddove venga casualmente a conoscenza della sua pendenza; non gli può essere, dunque, consentito il deposito di memorie o documenti, né può chiedere di essere ascoltato.
Occorre sottolineare che il secondo comma prevede anche la possibilità che il ricorrente “
ritiri” il ricorso (anche eventualmente dopo la richiesta d'integrazione prevista dal 1° co.).
In dottrina si è ritenuto di poter ricondurre tale fattispecie ad un caso di rinunzia agli atti ex
art. 306 del c.p.c., con conseguente estinzione del procedimento monitorio, anche in assenza di un provvedimento formale del giudice adito, che potrebbe limitarsi a prendere atto dell'avvenuto ritiro del ricorso.
Il provvedimento di rigetto deve avere la forma del decreto e come tale, ex
art. 135 del c.p.c., deve essere steso in calce al ricorso e motivato, seppur sommariamente.
Si tratta di una delle ipotesi eccezionali in cui, in deroga alla previsione generale contenuta nell'ultimo comma dell’art. 135 c.p.c., viene espressamente richiesta una
motivazione per il decreto; in questo caso l'imposizione dell'obbligo di motivazione si spiega con la possibilità di riproporre la domanda, anche in via ordinaria, possibilità di cui il ricorrente si può meglio avvalere proprio tenendo conto del motivo, seppur enunciato sommariamente, che ha determinato il rigetto.