L'innovazione rispetto al codice del 1865 e le ragioni del nuovo istituto nelle relazioni della Commissione reale per la riforma dei codici e del Ministro di Grazia e Giustizia al Re Imperatore
Anche la disciplina delle pertinenze rappresenta una felice introduzione del nuovo codice. La Commissione reale per la riforma del codice civile tenne conto delle obiezioni mosse in dottrina agli artt. 412, 413 e 414 del codice del 1865, che costituivano la categoria degli immobili per destinazione e distinguevano fra
immobili per destinazione in senso stretto e
immobili per connessione o congiunzione, provocando uno “sviamento di concetto”, poiché portavano a considerare cosa immobile quella che era e rimaneva cosa mobile, per il semplice fatto che era destinata al servizio e all'ornamento di un immobile.
Abbandonata quindi tale concezione di origine francese, la Commissione propose di accogliere l'istituto delle pertinenze, di cui riconosceva l'
origine romanistica, e che in codici stranieri (specialmente in quello tedesco e svizzero) aveva dato ottimi risultati dal punto di vista economico.
« II rapporto di pertinenza, — era scritto nella relazione —
è ricondotto così alla sua più semplice e più corretta nozione: pertinenze sono le cose la cui destinazione, pur conservando esse la loro natura ed individualità, è al servizio della cosa principale ». Il dubbio sollevato in seno alla Commissione se siano da considerarsi una pertinenza i mobili di casa è stato risolto in senso negativo, poiché i mobili sono normalmente destinati al servizio della persona e non dell'immobile che serve da abitazione.
Perché il rapporto di pertinenza abbia valore giuridico, la destinazione deve avere
carattere permanente (non quindi necessariamente perpetuo)
ed attuale (deve essere cioè attuata effettivamente). È inoltre richiesto che tale destinazione effettiva della pertinenza a servizio della cosa principale sia compiuta dal proprietario dell'una e dell'altra cosa: il progetto ha lasciato così insoluta la questione se tale facoltà possa essere concessa, oltre che al proprietario (e naturalmente a lui vanno equiparate le figure dell'enfiteuta e del possessore di buona fede), anche all'usufruttuario o al locatore.
Non è richiesto altro oltre al requisito della destinazione permanente ed attuale della cosa pertinente alla principale: il rapporto di pertinenza prescinde dalla materiale congiunzione. Non che questa esistendo non sia da considerarsi come circostanza da cui possa desumersi l' esistenza del rapporto, ma tale elemento non è necessario, nè, esistendo, risulta per sè solo sufficiente. Ne deriva che le cose immobili per congiunzione, di cui all'art.
812 del codice civile, a seconda dei casi sono da ricomprendersi o fra le pertinenze o fra le parti mobiliari della cosa.
I1 progetto non limita il rapporto di pertinenza solo fra una cosa mobile ed un immobile, infatti i termini generici usati dall'art. 819 c.c. inducono a ritenere che il rapporto di pertinenza si estenda
anche fra immobili, come affermato in numerosi riscontri delle fonti romane, sia giuridiche che letterarie
.
Il testo definitivo del codice ha accolto l'istituto, ma ha apportato alcune innovazioni alla sua disciplina, sia per perfezionarla sia per eliminare alcune lacune che l'art. 9 del progetto della Commissione reale aveva volutamente lasciato nella sua formulazione. Così, come risulta dalla Relazione al Re Imperatore, si è precisato che la
destinazione può essere effettuata tanto dal proprietario della cosa principale quanto da ogni altro titolare di un diritto reale di godimento sulla cosa medesima. Ha escluso, quindi, che il rapporto pertinenziale possa essere creato dalla volontà del conduttore.
« Tale esclusione, sulla quale non è mancato qualche dubbio, trova la sua ragione nel fatto che gli effetti del rapporto pertinenziale non si possono verificare nel caso in cui la destinazione sia opera del conduttore e che per l'unico aspetto praticamente rilevante del problema, e cioè per l'impignorabilità relativa delle cose destinate alla coltivazione del fondo, ha provveduto con una disposizione generale il codice di procedura civile (art. 515, comma 2) ».
Inoltre, il testo definitivo ha introdotto una notevole
variazione rispetto al testo della Commissione reale, stabilendo che per aversi il rapporto pertinenziale
basta la volontà del proprietario della cosa principale (o di chi ha un diritto reale sulla stessa), e che quindi non occorre che questi sia anche il proprietario della cosa che diventa pertinenza. Infine, il testo definitivo ha dedicate all'istituto tre articoli, invece di uno solo come previsto del progetto, al fine di meglio disciplinare il regime delle pertinenze e precisare la tutela dei diritti dei terzi sulle stesse, alla disciplina della quale la Commissione reale si rimetteva ai principi generali. L'intima connessione delle tre disposizioni di cui agli articoli
817,
818 e 819 c.c. permette di esaminarle complessivamente in questo commento.
La tradizione romanistica. Il concetto di pars e di instrumentum. L'usus perpetuus. Esempi di pertinenze in diritto romano. Le obiezioni del Bonfante e del Sokolowski. La tesi dell'Andreoli. Il collegamento delle pertinenze alla cosa principale. Le clausole usuali per il trasferimento unitario. Distinzione delle pertinenze. Instrumenta fundi; instrumenta aedis, tabernae, ecc.
La grande maggioranza dei romanisti sostiene che il diritto romano già conosceva la categoria delle pertinenze, vale a dire una categoria di oggetti destinati al servizio permanente di un'altra cosa senza essere parti essenziali della stessa, che altrimenti ne costituirebbe una
« pars ».
Pars per i romani era ciò the formava l'essenza della cosa, e che era indispensabile alla sua «
consummatio » o alla «
perfectio ». Ciò che era adibito soltanto al servizio della cosa si definiva
instrumentum, ornamentum, suppellex: a favore di tale tesi si citano Ulpiano (
perfecisse aedificium is videtur qui ita consummavit ut jam in usu esse possit ) e Pomponio (
statuae adfixae basibus structilibus aut tabulae relegatae catenis, aut ergo parietern adfixae, aut si similiter cohaerent lychni, non sunt aedium; ornatto enim aedium causa parantur, non quo cedes perficiantur ). Lo stesso Ulpiano riporta che anche Labeone dava molto rilievo all
'usus per definire l'edificio (
Labeo generaliter scribit: ea quae perpetui usu, causa in aedificiis sunt, aedifici esse, quae vero ad praesens non esse aedifici: ut puta fistulae temporis quidem causa positae non (sunt) aedium ).
In numerosi testi si parla poi di
dolia, i grandi vasi
vinaria et pecuaria, quae cellae vinariae et pecuariae inslruendae gratis habentur, reservantur perpetui usus causa, che erano considerati come
instrumenta. Quando invece i
dolia sono
dolia defossa in horreo o in cella vivaria et pecuaria si considerano
partes. Labeone definisce
partes, oltre che i
dolia, le molae olivariae et praelun et quaecumque infixa inaedificataque sunt. Allo stesso modo considerava quali
pars i granaria, si stipites eorum in terra defossa sunt; gli
armaria adhaerentia vel adfixa; le
bibliothecae parietibus inhaerentes; gli
specularia, cioè gli specchi e le invetriate di
lapis speculare, se adfixa; i
pegmata (scaffali a muro); i vasi che contengono piante
si alligata sunt aedi bus; le statuae
adfixae, dopo l'eta dei Severi o
parietibus inhaerentes; le
tabulae pro tectorio inclusae; le
tabulae adfixae vet parietibus adjuncta; le
crustae marmoreae; i pali delle vigne se infissi nel terreno, mentre sono
instrumenta se sono pronti su terreno per essere adibiti a sostegno delle viti.
Da questa elencazione e dai testi citati si può dedurre che le cose erano considerate
« fundi aedium esse » (la voce
pertinentiae è tipica del latino medioevale) quando erano al
servizio del fondo, vi erano destinate ad uso perpetuo e non erano incorporate al fondo stesso. Se, invece, erano annesse al fondo, in modo da perdere la loro individualità, allora si consideravano «
pars » o «
portio ».
Non sono poi mancate opinioni contrarie a tale tesi tradizionale. Per
Sokolwski e
Bonfante da una parte, e
Andreoli dall'altra, i romani non conoscevano le pertinenze. Quest'ultimo scrittore infatti, come Kohler in Germania, ha dato la più organica e approfondita trattazione sul tema, osservando che se è vero che i1 concetto di pars si fonda anche - se non esclusivamente - sulla congiunzione fisica, e se nella qualità di parte vi è la consacrazione giuridica di un rapporto materiale fisico, è chiaro che nell'ambito delle «
partes», contrariamente a quanto sostiene l'opinione tradizionale, non può trovare posto la categoria delle pertinenze. Tale categoria è dominata dall'esigenza di assicurare, mediante una connessione giuridica, l'esistenza di una connessione solamente economica. Nella maggioranza dei casi gli oggetti che si trovano in quella relazione economica rispetto ad una cosa, che rappresenta il substrato della qualità giuridica di pertinenza, dovevano essere esclusi dall'ambito delle «
partes » per l'incompatibilità della loro situazione fisica con quella richiesta dal concetto di «
pars ».
In questo ragionamento risulta evidente, più che la dimostrazione dell'inesistenza delle pertinenze, la mancanza di un rigore sistematico e di concezione moderna nella dottrina romanistica. Lo stesso Autore però avverte che per i romani mancava in generale una vera ragione d'essere delle pertinenze, e cioè la necessità di legare giuridicamente una cosa ad un'altra per evitare la diversità di trattamento giuridico, che può spezzare la relazione di fatto tra esse esistente. Tale esigenza non era sentita perché non si era ancora pienamente affermata la distinzione fra beni mobili ed immobili, non era ancora sorta una successione ed una esecuzione distinta per gli uni e per gli altri, non si erano sviluppati diritti e rapporti costituiti coattivamente come il pegno e l'ipoteca legale, nei quali è bene evidente l'utilità dell'istituto delle pertinenze.
Ma nell'economia rurale romana, così progredita ed essenziale per la vita dello Stato, il rapporto economico fra gli
instrumenta fundi e il fondo in realtà era già stato avvertito, tanto che gli
instrumenta erano denominati
dotes praediarum. Anche se vi è contrasto fra i testi circa il trasferimento degli
instrumenta col fondo, in caso di legato del fondo stesso è pacifico che ciò avveniva per uso costante mediante la clausola «
cum instrumento », «
ita ut instructus est », le quali clausole potevano trovare giustificazione nel fatto che le parti avrebbero potuto escludere le scorte dal trasferimento, ed esse escludevano a loro volta tale intenzione, confermando l'avvenuto trasferimento. L'intero titolo VII del Libro XXXIII del Digesto si occupa degli instrumenta, e la loro importanza non si spiegherebbe se i romani non avessero sentito un vincolo economico, salvaguardando quello giuridico con il fondo cui servivano. La stessa definizione dell'instrumentum data da Ulpiano (
Instrumentum est apparatus serum diutius mansurarum sine quibus exerceri nequiret possessio) conferma tale ricostruzione.
Gli
instrumenta si distinguevano in
instrumenta fundi (quelli che servivano direttamente al fondo) e
instrumenta patris familias (quelli the servivano alla persona, come gli utensili professionali). Fra i primi sono compresi gli schiavi,
qui agrum colunt, e i1 loro collegamento al fondo, tale che anche se venivano allontanati continuavano ad essere
instrumento fundi. Quelli, invece, che prestavano servizio alla « famiglia rustica » erano considerati
instrumento instrumenti. Massimo
instrumentum era considerato il bestiame, destinato al fondo per il lavoro e per la produzione, anche se allontanato temporaneamente per farlo pascolare. Fra il bestiame era compreso anche quello minore (come i pesci, i polli, le api ecc.) che aumentavano la produzione dell'azienda e quindi il reddito del fondo. Erano considerate
instrumento anche le sementi, i1 fieno, la paglia (
stramentum), il letame (
sterculinum), gli attrezzi rurali, quelli destinati alla raccolta e alla lavorazione dei fondi (di speciale importanza le
molae per l'attività molitoria), e quelli occorrenti per la conservazione dei prodotti.
Concezione parallela all'
instrumentum fundi è l'
instrumentum aedis, costituito dalle cose poste a servizio permanente della
domus, per il funzionamento della
taberna, del
balneum o, infine, per la navigazione della nave.
Le pertinenze nel diritto tedesco
All'antico diritto tedesco l'istituto della pertinenza non era sconosciuto, infatti era noto con il nome di
Rubeheir, che è un concetto analogo a quello romanistico e che si riscontra in tutta la pratica notarile dell'alto medioevo. Con la rinascita degli studi romanistici, il diritto tedesco in materia si avvicinò sempre più a quello romano e si iniziò ben presto un processo di unificazione, lento ma continuo. La maggiore divergenza da superare era data dal disconoscimento nel diritto tedesco del carattere di pertinenza alle scorte del fondo, ma essendosi man mano affermato il nesso economico fra il fondo e ciò che è posto a suo servizio, non si ebbe più difficoltà nel ravvisare nelle scorte un accessorio della cosa principale, tanto da scorgervi anche una parte del fondo stesso.
Così si andò
oltre la concezione romanistica, arrivando a reputare cosa immobile la pertinenza di un immobile e affermare il
trasferimento della pertinenza con quello dell'immobile. Inoltre, il concetto di pertinenza si allargò fino a ricomprendere le
accessioni (corporali o incorporali), purché avessero una dipendenza economica con la cosa principale. Le dipendenze furono così minutamente esaminate e discusse che si finì per elaborarne degli elenchi, messi al servizio dei pratici.
Un'ulteriore e più elevata elaborazione del concetto di pertinenza si ebbe nel secolo scorso, principalmente in dottrina, con un nuovo e maggiore
accostamento al concetto romanistico. Venne, quindi, distinto il concetto di pertinenza da quello di parte, affermandosi che non vi sono pertinenze per volontà delle parti, ma soltanto per collegamento economico, e che le dipendenze hanno natura mobiliare, anche se connesse ad un immobile, tanto che i diritti non possono mai considerarsi dipendenze.
Le pertinenze nel diritto francese. Beni immobili per destinazione. L'opinione di Pothier
Le pertinenze sono state ritenute un istituto di origine tedesca non tanto per la loro elaborazione nel diritto germanico quanto per il fatto che esse non furono accolte dal codice Napoleon e dagli altri codici, compresi i codici degli ex-stati italiani e quello italiano del 1865.
In Francia i maggiori giuristi del periodo del diritto comune insegnarono la dottrina delle pertinenze così come era generalmente professata. Ma in alcune zone vigeva il diritto consuetudinario, il quale non andava d'accordo la scuola giuridica imperante. II diritto consuetudinario aveva infatti sempre considerato gli accessori dei beni immobili come immobili, ed aveva trattato come accessori tutte le cose collocate nel fondo «
pour perpetuelle demeure ». Faceva tuttavia eccezione per le scorte vive, che nella maggior parte delle consuetudini regionali erano considerate cose mobili, indipendenti dalle sorti del fondo.
Pothier evidenziò le conseguenze dannose che tale concezione provocava all'economia agraria, ed invocò una legge che meglio la proteggesse, affermando il collegamento fra il fondo e il bestiame destinatovi per la coltivazione o l'allevamento. La consuetudine non negava, invece, un nesso fisico fra i pesci negli stagni, i colombi nelle colombaie, i conigli nelle conigliere, poiché senza il fondo ed i necessari apprestamenti non era possibile l'esistenza di tali animali e nemmeno la loro riproduzione: li riteneva, di conseguenza, cose immobili. Erano ugualmente considerati immobili lo strame e il concime, concezione che si è spiegata come infiltrazione della tradizione romanistica.
La consuetudine affermava la dottrina degli immobili per destinazione, che era distinta dai beni immobili per connessione, i quali venivano qualificati
pastes fundi e sottoposti al regime relativo. Il Pothier esercitò anche in questo settore la sua grande influenza: non contrastò ciò che nelle consuetudini risultava conforme all'economia agraria, e insistè affinché si ammettesse un collegamento col fondo degli animali
ratione loci in quo vivunt. Ciò riguardava soprattutto gli animali
viventi in laxitate naturali, come i pesci, i conigli, i colombi. La dimora perpetua sul fondo delle scorte vive e morte gli faceva apparire il fondo e le scorte un tutto unico economico e non reputava ragionevole spezzarne il nesso in occasione di vendita, legato, espropriazione, ecc. La stessa coerenza fisica di alcune cose mobili col fondo gli faceva presumere la destinazione perpetua.
Nel codice Napoleone il pensiero di Pothier venne ripreso agli art. 517 segg., laddove vennero elencati i beni immobili per destinazione, come le pertinenze all'epoca della glossa, ma con più serietà e criterio. Il collegamento economico del fondo con gli animali e con gli oggetti indicati negli articoli del codice affiora dall'insieme delle disposizioni. Malgrado ciò, prima in Francia e poi in Italia (che, come si è detto, ne aveva adottato il sistema), si mossero critiche e obiezioni, delle quali fa cenno anche la Relazione della Commissione reale, e che indussero quest'ultima ad abbandonare la figura giuridica degli immobili per destinazione e a sostituirvi quella delle pertinenze.
La concezione delle pertinenze nel nuovo codice. Il collegamento economico e quello giuridico. L'elemento della volontà e dell'effettuazione. L'elemento della pubblicità. Carattere della destinazione durevole
La nuova codificazione col riconoscere e disciplinare l'istituto delle pertinenze ha eliminato un gran numero di controversie che dovettero affrontare gli autori del passato, i quali vollero esporne il sistema attraverso gli art. 414 e 415 del codice del 1865.
Non vi ha dubbio (e la conferma si trova nelle Relazioni della Commissione reale e del Ministro), che il fondamento dell'istituto è il collegamento economico che esiste fra il fondo e la pertinenza. Questa relazione economica esige che la pertinenza sia considerata come un tutto unico con il fondo, pur senza costituirne una parte e, quindi, senza confondersi con esso, mantenendo la sua individualità, ma normalmente assoggettandosi ad un unico regime, di modo che gli atti e i rapporti giuridici, che hanno per oggetto la cosa principale, comprendano anche le dipendenza. L'avverbio « normalmente » è stato usato per spiegare che l'unità di regime non è inderogabile, infatti la convenzione può disporre in modo diverso. Può cioè stabilire che in caso di vendita una determinata pertinenza non sia trasferita con l'immobile, che l'ipoteca si costituisca sulla parte principale e non sulla pertinenza, e che in caso di espropriazione questa sia risparmiata e sottratta alla procedura concernente la cosa principale.
Va notato che una cosa non può convenzionalmente considerarsi dipendenza dell'altra se essa non è posta a durevole servizio della principale, la volontà delle parti non basta a sostituirsi allo stato di fatto, essa può, invece, non far considerare come dipendenza per determinati atti e rapporti giuridici una cosa destinata a durevole servizio dell'altra o che costituirebbe una dipendenza a norma dell'art.
817 c.c. Allo stesso modo la volontà del proprietario o quella delle parti non può far considerare quale dipendenza una cosa destinata a servizio di un immobile ma non ancora posta a servizio dello stesso: la destinazione predisposta ma non effettuata non è sufficiente. Del pari non è sufficiente una destinazione effettuata, ma poi cessata. Si deve fare eccezione per una destinazione sospesa a causa di riparazione o per altro motivo che presupponga il ritorno della cosa al servizio della principale, appena cessata la ragione che ha fatto interrompere il rapporto di dipendenza.
La
ragione del prevalere del fatto sulla volontà deve ravvisarsi nel bisogno della pubblicità della destinazione, la quale soltanto rende noti ai terzi il rapporto di dipendenza e impedisce le facili frodi che si potrebbero compiere in questo contesto. Il legislature ha predisposto altre garanzie per la tutela dei diritti dei terzi, ma queste non escludono quella generale che deriva dallo stato di fatto, rivelatore dello stato giuridico. Nè questa può essere sostituita da altra di diversa natura: così una dichiarazione del proprietario dell'immobile, che destina una determinata cosa a dipendenza dello stesso, anche se eseguita in forma solenne, non avrebbe l'efficacia di costituire il rapporto, nè varrebbe a tal fine la prova che essa sia giunta a notizia del terzo. Il rapporto sorge ex re sita.
Il testo dell'art.
817 c.c. aggiunge che la destinazione può essere non solo posta a servizio ma anche ad ornamento di un'altra cosa: l'ornamento non è che una specificazione del servizio. Infatti una quadriga su di un monumento o le statue su un edificio rendono servizio alla cosa principale, in quanto ne completano il disegno e concorrono a renderne più pregevole l'estetica.
La stessa prima parte dell'articolo esige che la destinazione abbia luogo in modo durevole. Si è già visto che quest'ultimo era un requisito essenziale anche nel diritto romano: in effetti, una destinazione temporanea di una cosa ad altra non crea il collegamento giuridico richiesto dalla legge, poiché le due cose non costituiscono un'unità economica. Il carattere di temporaneità esclude anzi il nesso necessario tra la cosa principale e quella accessoria, che è richiesto per la dipendenza. Non si esige, peraltro, che la destinazione sia perpetua, specie per le cose destinate ad ornamento non sempre si può assicurare la perpetuità, ben potendo mutare i criteri estetici. In genere, poi, le dipendenze subiscono l'usura del tempo e devono essere sostituite, oppure invecchiano tecnicamente e debbono essere rinnovate in modo migliore e più utili. Ciò che si esige è che al momento della destinazione il proprietario abbia il proposito di porre le dipendenze al servizio della cosa principale senza limite di tempo e questa sua intenzione renda palese col modo in cui l'effettua.
Pertinenze mobiliari con bene immobile. Pertinenza mobiliare con bene mobile. Pertinenze immobiliari con bene immobile
La dipendenza può aversi: a) fra bene immobile e bene mobile; b) fra bene mobile e bene mobile ; c) fra bene immobile e bene immobile.
La
prima è la più frequente ed è quella che ricorre nel diritto classico e sulla quale si è costituita principalmente la dottrina delle dipendenze: essa interessa, in modo particolare, l'economia agraria.
La
seconda (cornice nei riguardi del quadro, cofano nei riguardi della bandiera, vaso nei riguardi del vino, astuccio nei riguardi del gioiello, monetario nei riguardi dell'insieme delle monete, ecc.) può presentare la caratteristica che la pertinenza sia di maggior valore rispetto alla cosa principale. Ciò non deve ingannare circa il riconoscimento della cosa principale, la quale non può mai determinarsi in base al valore, ma unicamente sulla base del rapporto di servizio e di ornamento. Del resto, anche nelle dipendenze di cose mobili con l'immobile, può verificarsi che la pertinenza abbia maggior valore rispetto alla cosa principale, come nel caso di statua di alto pregio collocata su di un edificio di modesta importanza.
La
terza categoria ha incontrato sempre vivaci opposizioni: il suo riconoscimento, che si credeva di scorgere nei testi romani, è stato dimostrato inesistente, in quanto in essi si trattava semplicemente di ricercare la volontà del testatore e di vedere se la casa per il fondo, il bagno e il giardino per la casa fossero o meno da considerare come parte del legato. Si è affermato poi che i due immobili hanno separata iscrizione nei registri catastali e ciò comporta la rispettiva autonomia, che manca fra essi il collegamento spaziale, che la pertinenza di immobile ad immobile è inutile poiché se i due immobili sono materialmente collegati si tratta di una parte dell'immobile che si ritiene principale e, se i due immobili sono separati e distanti e appartengono a diversi proprietari, si instaura un rapporto di servitù a carico di quello che fornisce i foraggi, il legname, il pascolo ecc. in favore dell'altro.
Ora, lasciando da parte i testi romani, è da notare che la duplice iscrizione nei registri catastali non ha importanza, perché la pertinenza non è parte dell'immobile principale e se è costituita da un immobile è naturale che abbia una propria iscrizione, indipendentemente dal rapporto che la lega all'altro immobile; che il collegamento spaziale esiste sempre che l'immobile accessorio non sia parte del principale, e sia separato ed anche a relativa distanza, come l'autorimessa, il casotto del portiere, la piccola costruzione pel motore che fornisce l'acqua, la luce alla casa ecc. Quegli immobili, insomma, che nel linguaggio comune (e sono i soli) si chiamano appunto dipendenze o pertinenze: parlare di servitù non è possibile nei casi accennati, perché quei servizi non possono essere il contenuto di una servitù prediale, infatti esula ogni concetto di servitù se i due beni immobili appartengono allo stesso proprietario.
Ciò premesso, sembra che in base al nuovo codice si debba
ammettere la pertinenza immobiliare. Il testo dell'art. 817 c.c. non fa alcuna distinzione, anche se la Commissione reale aveva esplicitamente riconosciuto la possibilità di una dipendenza fra immobili. Se tale tesi non fosse stata accolta, il legislatore l'avrebbe motivato, quantomeno nella relazione che accompagna il libro in esame. Ma più di tutto sembra che debba tenersi conto della realtà della vita, dove spessissimo nelle costruzioni urbane
e in quelle rurali altri immobili dipendono dall'immobile principale, e sono economicamente collegati ad esso, poiché servono alla sua utilizzazione, senza che abbiano una propria ragion d'essere. È naturale che siano influenzati dagli atti e rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale, se non viene diversamente disposto.
Qualità in chi costituisce la pertinenza. Proprietario della cosa principale e della pertinenza. Proprietario della sola cosa principale. Mancanza della qualità di proprietario della cosa principale e della dipendenza. Rivendica da parte dei terzi. L'usufruttuario, l'enfiteuta, il superficiario
Sono sufficienti pochi cenni relativamente la qualità giuridica di colui che vuole stabilire la dipendenza.
Tre opinioni si sono affermate in proposito:
a) che il costituente sia il proprietario della cosa principale e della dipendenza; b) che sia almeno il proprietario della cosa principale; c) che non occorra che sia proprietario nè dell'una nè dell'altra.
La discussione su tale argomento perdura tutt'oggi in dottrina, sorretta dalle diverse soluzioni legislative. La Commissione reale aveva richiesto che la destinazione potesse essere fatta da chi fosse proprietario della cosa principale e della dipendenza. Il testo definitivo del codice ha invece accolto la soluzione intermedia, disponendo (art.
817 c.c. cpv.) che la destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale anche se non è proprietario della dipendenza. La cosa costituita in dipendenza non diventa di proprietà del proprietario della cosa principale perché non diventa parte della stessa, ma mantiene la sua condizione giuridica precedente e il proprietario può rivendicarla, tranne che ricorra l'ipotesi dell'art.
1153 c.c. Questa chiarificazione rende vana l'obiezione di coloro che negano la possibilità della destinazione da parte di chi non sia proprietario della dipendenza, notando che chi non è proprietario non può permettersi una disponibilità che è al di fuori dei suoi poteri.
L'altra grave
disputa in materia, se cioè oltre al proprietario anche altri possano costituire la dipendenza, è stata risolta dal legislatore nel senso che la destinazione può essere effettuata sia dal proprietario della cosa principale sia da chi abbia un diritto reale sulla medesima. Di conseguenza sono equiparati al proprietario l'enfiteuta, l'usufruttuario, il superficiario, ma non anche il locatore.
Esempi tipici di pertinenze rurali, domestiche, industriali, ecc.
In applicazione dei principi ora esposti si potrebbe anche fare un elenco delle pertinenze, ma sarebbe senza dubbio incompleto ed incerto. Giova, tuttavia, accennare ad alcune categorie di pertinenze, tra quelle che sono le più caratteristiche e le più comuni e che possono servire da esemplificazione, soprattutto considerando che l'art. 413 del codice del 1865 oggi non è più vigente.
a) gli
instrumenta fundi, vale a dire gli attrezzi, gli animali, le macchine, che servono alla coltivazione del fondo, il bestiame minore come il pollame e gli animali di cortile, i pali che si trovano approntati sul fondo per essere infitti, i torchi, le caldaie, i lambicchi, i tini, e nella generale categoria delle pertinenze agrarie, il fieno, le sementi, la paglia, lo strame, i concimi;
b) i piccioni nelle colombaie, i conigli nelle conigliere, i pesci nelle peschiere, le api negli alveari;
c) gli
instrumenta domus o pertinenze domestiche, che comprendono le cose poste a servizio della casa, ma non della persona che l'abita (
instrumenta patris familias) come le chiavi, gli estintori di incendio, le condutture elettriche esterne (non nascoste cioè nei muri), le cose occorrenti alla pulitura e manutenzione dell'edificio, escluse quelle fisicamente connesse (termosifoni, ascensori, parafulmini ecc.), che sono da considerare parti dell'edificio stesso;
d) le
pertinenze di enti o istituti scientifici, di cultura o religiosi, degli ospedali, degli stabilimenti militari o di altri analoghi, che possono consistere in strumenti scientifici, in utensili occorrenti agli esperimenti, in collezioni di armi, di paramenti, di oggetti sacri, posti a servizio degli istituti stessi per l'adempimento delle loro finalità;
e) le
pertinenze industriali o commerciali, vasta categoria, che non abbraccia più esclusivamente «
gli utensili necessari alle fucine, cartiere, mulini e altre fabbriche », citati dall' art. 413 del codice abrogato, ma tutti i meccanismi delle varie branche della grande industria, compresa quella alberghiera e, analogamente, quella dei ristoratori e degli stabilimenti balneari.
Le pertinenze conservano la loro individualità. Le mobiliari collegate ad immobili restano cose mobili. Salvaguardia dei diritti dei terzi
La più notevole differenza fra il sistema del codice abrogato e il nuovo consiste nella cessata immobilizzazione delle pertinenze mobili: tutte le cose che l'art. 413 del codice del 1865 elencava erano immobili (il testo diceva “
sono beni immobili”, neppure si considerano o si reputano, come in altri casi). Con il sistema delle pertinenze le cose mobili restano mobili, ma per effetto del collegamento con gli immobili presentano comuni vicende economiche e giuridiche, salvo che sia diversamente disposto.
L'
individualità delle pertinenze non è assorbita da quella della cosa principale: il capoverso dell'art.
818 c.c. avverte, infatti, che le pertinenze possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. Tutti i negozi giuridici dei quali la pertinenza può essere oggetto per se stessa non sono ostacolati dal collegamento con la cosa principale. Questa stessa individualità della pertinenza fa sì che essa nel collegamento con la cosa principale lasci impregiudicati i diritti preesistenti su di essa a favore dei terzi. Se l'esercizio di tali diritti non è ostacolato dal collegamento, questo può aver luogo, ma non può impedire che i diritti stessi si realizzino, sempre che lo possa e voglia il titolare, anche se la cosa cessi per ciò solo di essere una dipendenza. Se, invece, il collegamento rende impossibile l'esercizio del diritto del terzo (per es. in caso di proprietà o di usufrutto), il terzo può far valere su di essa il suo diritto e far subito cessare la dipendenza.
Il diritto del terzi sulla cosa destinata ad essere dipendenza si deve provare con i
mezzi ordinari. L'articolo però esige che quando la cosa principale sia un bene immobile o un bene mobile iscritto nei pubblici registri i diritti dei terzi non possano essere opposti ai terzi di buona fede, proprietari della cosa principale, se non risultino da scrittura avente data certa anteriore al collegamento.
Pertinenza al servizio di più cose principali
Una dipendenza serve normalmente ad una sola cosa principale, ma può essere destinata al servizio anche di più cose principali. Ciò può verificarsi più facilmente nei sistemi legislativi che, come quello del nostro nuovo codice, riconoscono la dipendenza immobiliare: nulla è più comune di un'autorimessa serva di dipendenza a più edifici adibiti ad abitazione, che una piccola officina di produzione di energia elettrica distribuisca acqua e luce a più edifici appartenenti a diversi proprietari o serva all'irrigazione di pia fondi appartenenti a diverse persone. La pluralità delle cose principali appartenenti a diversi proprietari non è possibile, invece, nei sistemi legislativi che esigono che la cosa principale e la dipendenza siano di proprietà della stessa persona. Non sempre la duplice dipendenza è ad uguali condizioni, infatti può darsi che la dipendenza renda ad una cosa principale un servizio maggiore di quello che rende all'altra: la dipendenza, allora, è in proporzione della grandezza del servizio che rende.
I due o più proprietari delle cose principali godono in
comunione della dipendenza comune: si tratta di una comunione forzosa a norma dell'art.
1112 c.c. Per l'uso, la disposizione, l'amministrazione, le obbligazioni dei partecipanti si osservano le norme del Titolo VII del libro della Proprietà, in mancanza di convenzione o di speciali disposizioni di legge.
Vendita, legato, ipoteca, locazione della cosa principale ed estensione del negozio giuridico alle pertinenze
Il trasferimento della cosa principale, salvo diversa volontà delle parti, comporta il trasferimento e l'obbligo della consegna delle pertinenze; il legato della cosa principale deve essere prestato al legatario con tutte le sue pertinenze nello stato in cui si trovava al momento della morte del testatore; le pertinenze sono capaci d'ipoteca con i beni immobile principali che siano in commercio; le cose, che il proprietario di un fondo vi tiene per il servizio e la coltivazione del medesimo, possono essere pignorate separatamente dall'immobile anche se manchino altri beni mobili, il giudice, tuttavia, su istanza del debitore ed udito i1 creditore può escludere dal pignoramento, con ordinanza non impugnabile, quelle fra le cose suindicate che sono di uso necessario per la cultura del fondo e può anche permetterne l'uso, sebbene pignorate, con le opportune cautele per la loro conservazione e ricostituzione. Il giudice può stabilire lo stesso relativamente alle
cose destinate dal coltivatore al servizio e alla coltivazione del fondo (art.
515 cod. proc. civ.). Le suddette disposizioni sono l'effetto logico del principio del collegamento economico della dipendenza col bene principale e saranno illustrate nel commento dei relativi articoli.
Per lo stesso principio non può dubitarsi che l
'usufrutto e la
locazione sulla cosa principale si estendano anche alla dipendenza, sebbene non si rinvengano nel codice analoghe disposizioni. Quanto all'usufrutto l'estensione è pacificamente ammessa in dottrina: se le dipendenze sono costituite dal bestiame addetto alla coltivazione del fondo o da cose consumabili o da cose deteriorabili si applicano rispettivamente gli artt.
994,
995,
996 c.c. Se la cosa principale perisce, l'usufrutto si restringe sulla pertinenza quale parte superstite dell'oggetto dell'usufrutto, e lo stesso dicasi per l'enfiteusi, l'uso e l'abitazione.
Quanto alla locazione, le opinioni non sono concordi, ma quella predominante è per la sua estensione anche alle dipendenze. I principi generali e particolari che concernono la locazione, infatti, specie per quanto riguarda le scorte morte e le scorte vive nell'affitto dei fondi rustici sono da osservarsi anche nei riguardi delle pertinenze. Per le pertinenze nelle imprese di mezzadria, della colonia parziaria e della società si deve far ricorso alle norme regolatrici dei detti negozi giuridici stabilite dal Libro del Lavoro.
Fine della pertinenza. Tutela dei diritti dei terzi sulle pertinenze costituite durante il collegamento
La cessazione della pertinenza può dipendere
da un fatto naturale o da un atto volontario. Il primo si ha nel caso di distruzione della pertinenza o della cosa principale per vetustà o per accidente (incendio, fulmine, terremoto, ecc.). I materiali risultanti dalla distruzione della pertinenza, che siano mantenuti sul posto e servano alla ricostruzione, continuano ad essere pertinenze: il loro collegamento, in effetti, non è ancora cessato.
Il secondo si ha con la volontaria eliminazione del collegamento, mediante la rimozione o demolizione della cosa principale o della dipendenza. La semplice dichiarazione di volontà, come si è già accennato, non basta, ma occorre la sua effettuazione. La dipendenza può inoltre aver termine mediante l'incorporazione della dipendenza nella cosa principale, poiché in tal caso ne diventa una parte.
Altra causa di cessazione è la
rivendicazione della dipendenza da parte del proprietario. La vendita separata, invece, della pertinenza e della cosa principale o altra forma di trasferimento separato dell'una o dell'altra non importa la fine della pertinenza, finché non venga a cessare il collegamento. Si è già detto che non è necessario che la cosa principale e la pertinenza appartengano allo stesso proprietario. Si deve, tuttavia, fare eccezione per le pertinenze immobiliari o di cose mobili iscritte nei pubblici registri, poiché la trascrizione nel primo caso e l'annotazione nel secondo del negozio giuridico di trasferimento tengono luogo della pubblicità, che risulterebbe dalla cessazione del collegamento. Dall'iscrizione, quindi, e dall'annotazione, le pertinenze cessano di essere tali.
La cessazione della qualità di pertinenza, peraltro,
non è opponibile ai terzi, i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale, vale a dire durante il collegamento.