Estinzione della cessione per pagamento dei debiti
Con il pagamento del capitale, degli interessi e delle spese di gestione viene meno la radon d'essere della cessione e pertanto il debitore ha il diritto di riacquistare la immediata disponibilità dei beni ceduti. Impropria, come non abbiamo mancato di rilevarne è l’espressione di recesso usata dalla legge non meno di quel che lo sarebbe se riferita al pagamento che un debitore pignoratizia effettuasse onde ottenere nuovamente il possesso del bene dato in pegno : si tratta infatti di una causa di estinzione tipicamente satisfattoria che, anche nel silenzio della legge, avrebbe ugualmente dovuto ritenersi ammessa.
Comunque, per l'esercizio di tale facoltà, è sufficiente l'offerta reale da parte del debitore, offerta che deve comprendere il credito con tutti i suoi accessori liquidi. Non è necessaria invece alcuna offerta reale per le spese di gestione alle quali il debitore rimane tenuto senza che i creditori abbiano alcuna garanzia per il loro pagamento ne, in parti-colare, possano esercitare un diritto di ritenzione sui beni ceduti.
Cause particolari di risoluzione
Per l’ influenza che possono aver esercitato sull’ accettazione della cessione le dichiarazioni del debitore relative alla consistenza del suo patrimonio e per la presunzione che i creditori non vi avrebbero aderito se ne fossero stati a conoscenza, è concessa loro espressamente un'azione di annullamento per dissimulazione di attivo, per occultamento di passività o per simulazione di passività inesistenti.
La dissimulazione di attivo opera, come e ovvio, solo quando la cessione ha per oggetto tutto il patrimonio del debitore ; nondimeno occorre che sia stata occultata una parte notevole dell'attivo e ciò perché è presumibile (ma la presunzione può naturalmente essere vinta da una prova contraria) che i creditori, in vista dell'alea connessa con l’ esecuzione forzata, avrebbero rinunciato all'azione esecutiva anche in presenza di un complesso di attività di valore non molto superiore a quello dichiarato. Quando invece si tratta di cessione parziali, l'occultamento delle passività e la simulazione di passività inesistenti, qualunque sia la loro entità, legittima i creditori cessionari all'annullamento del contratto.
Risoluzione per inadempimento
Oltre a quelle suelencate,
il codice non prevede, almeno in modo espresso,
altre cause di estinzione della cessione dei beni, limitandosi a far richiamo alle regole generali per quanto attiene alla risoluzione per inadempimento. Spetta dunque all'interprete colmare questa lacuna.
Ben poco è da osservare circa le cause di annullamento dipendenti da vizi della volontà se non questo che, essendo la c.d.b. un contratto complesso,
3 ne consegue che ciascun creditore aderente potrà impugnare il proprio atto di adesione con l'effetto di riacquistare la libertà di agire esecutivamente su tutti i beni del debitore pur rimanendo in piedi ed operante, nei confronti degli altri creditori, il contratto di cessione.
Osserviamo che questo può dipendere da colpa tanto dei creditori quanto dello stesso debitore. In effetti sembrerebbe che il debitore, una volta messi a disposizione dei creditori i beni compresi nella cessione, avesse adempiuto ad ogni suo obbligo nei confronti dei creditori. Tuttavia è perfettamente configurabile resistenza di obblighi accessori del debitore come quello, ad esempio, di fornire indicazioni atte a rintracciare i suoi creditori, a recuperare beni mobili ecc.
Tipici obblighi dei creditori, per la cui inosservanza potrà essere invece pronunciata la risoluzione a vantaggio del debitore, sono quelli, gin da noi ricordati, di amministrare i beni ceduti (nella quale espressione sono ovviamente comprese tutte le attività rivolte alla conservazione dei beni stessi), di procedere alla loro alienazione e di ripartirsene il ricavato in proporzione dei rispettivi crediti tenendo conto delle cause di privilegio ecc. Quindi, se i creditori non si curassero, ad es., di alienare prontamente le cose deteriorabili eventualmente comprese nella cessione oppure si appropriassero, fuor dell'ipotesi dell'articolo
1395, di beni ceduti o infine procedessero al reparto del ricavato con criteri arbitrari pregiudicando in tal modo l'effetto liberatorio di cui all'art.
1984, il debitore avrebbe il diritto di risolvere il contratto chiedendo la condanna degli inadempienti al risarcimento del danno.
Effetti del fallimento sulla c. d. b.
Veniamo quindi a indicare le cause tipiche di estinzione della cessione che, seppure non espressamente previste dalla legge, debbono ritenersi ugualmente ammesse in dipendenza dei principi generali che disciplinano l'istituto.
Se si potesse, in qualche modo, stabilirsi una identità o anche soltanto un'analogia fra cessione dei beni e mandato, dovrebbero anche estendersi a quella le cause di estinzione proprie di quest'ultimo contratto e cioè la morte, l'interdizione o l'inabilitazione tanto del mandante quanto del mandatario (art.
1722, n. 4). Viceversa, data la particolare costruzione del rapporto di cessione da noi sommessamente suggerita, ne consegue che il contratto non subisce modificazioni di sorta in dipendenza di quei fatti che invece, come è noto, hanno efficacia estintiva rispetto al mandato.
Su ciò peraltro, salvo una diversa motivazione, tutti sono concordi.
Dibattuta è invece la questione dell'efficacia del fallimento del debitore sulla cessione dei beni, se cioè in tal caso la cessione si estingua o no e, non estinguendosi, se il giudice delegato abbia la facoltà di pronunciarne la risoluzione oppure se il curatore possa semplicemente aderirvi.
In effetti per chi acceda ad una qualsiasi delle teorie che fanno de-rivaie dalla cessione dei beni l'acquisto, a favore dei creditori, di un diritto di disposizione o, addirittura, di un diritto reale, riesce difficile spiegare perché la cessione debba poi risolversi (escluso naturalmente il caso di una sua impugnativa per revocatoria, se di questa avesse gli estremi) a seguito del fallimento del debitore; ma lo stesso dicasi per le altre teorie che costituendo diversi schemi negoziali, non sono in grado, neppure esse, di fornirci una soluzione conseguente del problema che ora ci interessa. Viceversa, aderendo all'opinione citata, appare chiara e convincente la necessità della risoluzione della cessione a seguito 1 fallimento del debitore: infatti il fallimento è, per i debitori commerciali, la procedura esecutiva generale e normale al tempo stesso, quella in cui confluiscono, salvo espressa disposizione in contrario (cfr. art. 196, R. D. 16 marzo 194-7, n. 267 sulla disciplina del fall. eec.), tutte le altre procedure tanto individuali quanto concorsuali (cfr. a questa proposito articoli 192 ult. cpv. e 193 ult. cpv. legge cit.). Non vi sarebbe quindi alcuna ragione perché, nel silenzio della legge, dovesse ritenersi esclusa la cessione dei beni da questa regola tanto più in quanto essa si effettua — diversamente, ad es., dalla c. d. amministrazione controllata, che pure si estingue per fallimento — all'infuori di ogni controllo da parte dello Stato.
Insomma, essendo la cessione dei beni, dal punto di vista statico un patrimonio separato, dal punto di vista dinamico un patrimonio in liquidazione, e perfettamente normale che venga meno col fallimento del debitore anche se di tale effetto siano destinati pure quei creditori che, per essere divenuti tali dopo la stipulazione della cessione, sarebbero stati esclusi da un’azione diretta contro i beni ceduti.
Naturalmente l’estinzione della cessione dei beni per fallimento non determina di per sè necessariamente la nullità o anche la semplice revocabilità dei singoli atti di autosoddisfacimento posti in essere dai creditori cessionari : e vero che questi rientrano nella categoria degli atti estintivi non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento (art. 67, n. 2, legge cit.) ma è altrettanto vero che, data la peculiare natura della cessione dei beni, contratto aperto
ex lege a tutti i creditori, è da escludere ogni presunzione di frode a carico dei cessionari questi in sostanza, ponendo in essere la cessione dei beni, non intendevano violare i1 principio della
par condicio creditorum, ma solo realizzare una forma più celere e, soprattutto, meno dispendiosa di liquidazione dei beni del comune debitore.
Estinzione della c. d. b. per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto
che un semplice precetto mobiliare non impedisce affatto la liquidazione.
Fra questi due estremi vi è poi la maggior parte delle ipotesi che praticamente si presentano e nelle quali si deve vedere se ed in qual momento possa dirsi divenuto impossibile l'oggetto della cessione dei beni.
È sottointeso che, di fronte ad un atto esecutivo qualsiasi da parte dei creditori non aderenti, i cessionari avranno la possibilità di compiere atti necessari per la propria difesa : l'accettazione della cessione infatti implica la rinuncia ad ogni azione esecutiva nei confronti dei altri beni ma non già al diritto di intervenire in una procedura esecutiva iniziata da altri su beni compresi nella cessione : cosi i creditori potranno fare opposizione al prezzo, fare domanda di collocazione, ecc.
Ma fino a qual punto i creditori saranno vincolati dalla cessione per quanto si riferisce all'azione esecutiva sugli altri beni? Prescindiamo naturalmente dall'ipotesi in cui ii creditore esecutante non fosse stato segnalato dal debitore giacche in tal caso i cessionari avrebbero diritto di impugnare la cessione a norma dell'art. 1986 qualunque sia rendita del bene pignorato. Se invece it creditore era noto ai cessionari occorre distinguere a seconda che la liquidazione possa o meno utilmente continuare sugli altri beni : e questa è una indagine tipicamente di fatto che, quando venga resa necessaria dal disaccordo delle parti, sarà compiuta dal giudice che terra, in ogni modo, conto del principio the non qualsiasi atto esecutivo può servire di pretesto alla rottura del contratto.