AUTORE:
Armando Ciro Campanile
ANNO ACCADEMICO: 2021
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Libera Universitą Mediterranea
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Il presente elaborato si propone come obiettivo quello di esaminare il tema della libertà religiosa, ponendo l’accento in modo particolare sulle restrizioni che tale libertà costituzionale ha subìto durante il periodo dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Durante il periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, le istituzioni pubbliche italiane hanno adottato una serie di misure, volte al contenimento del contagio, attraverso le quali, in nome del diritto alla salute, è stata fortemente compressa la libertà religiosa degli individui. Operando un bilanciamento dei vari interessi in gioco, infatti, in una situazione di particolare gravità come quella della pandemia in corso, è stato ritenuto opportuno accordare prevalenza al primo dei due valori costituzionali, sancito dall’art. 32 Cost., a discapito della libertà di culto. Naturalmente questa tendenza non è stata riscontrata solo in Italia ma anche in moltissimi altri Paesi. La tutela della salute pubblica, pertanto, ha posto la necessità di chiudere i luoghi sacri o di limitarvi gli accessi per scongiurare il pericolo di assembramenti, impedendo ai fedeli di esercitare liberamente il proprio culto. Una delle principali criticità che è stata riscontrata nel modus operandi adottato dalle nostre istituzioni per fronteggiare la pandemia da Covid-19 è data dal fatto che tali limitazioni alla libertà religiosa (così come ad altri diritti, libertà e interessi costituzionalmente garantiti) sono state realizzate mediante uno strumento che, sul piano giuridico, non è altro che un atto sostanzialmente amministrativo, ossia il DPCM, con un’insolita concentrazione di poteri nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri. Nella prima fase dell’emergenza epidemiologica (il cosiddetto “primo lockdown”), inoltre, tali decreti sono stati adottati dal Governo unilateralmente, senza alcun coinvolgimento democratico né partecipazione delle minoranze o, in generale, delle parti sociali di volta in volta interessate (tra cui anche le confessioni religiose).
Da questo punto di vista, bisogna tener presente anche il fatto che la nostra Costituzione, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, non contiene una disciplina generale sul concetto di emergenza, quindi non detta una regolamentazione specifica dei criteri da seguire in situazioni di questo tenore. Gli unici riferimenti espressi sono quelli relativi alle condizioni che legittimano l’adozione di decreti-legge e allo Stato di guerra, ma naturalmente le emergenze possono essere anche di diverso tipo; è proprio a causa di questa lacuna che sono state riscontrate le maggiori difficoltà nel gestire l’epidemia da Covid-19. La situazione è migliorata nella seconda fase della pandemia, grazie al ricorso alla cosiddetta “procedura negoziata”: l’Esecutivo, prima di introdurre restrizioni alla libertà di culto degli individui, ha avviato delle negoziazioni con le parti sociali interessate – tra cui anche le comunità di fede – per giungere alla stipula di vari accordi e protocolli, in modo tale da garantirne una partecipazione attiva. Uno di questi accordi è stato, ad esempio, il Protocollo per la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo, stipulato il 7 maggio 2020 tra il Ministero dell’Interno e i rappresentanti della Conferenza Episcopale Italiana, con il quale si è deciso di consentire la ripresa delle celebrazioni religiose con la partecipazione dei fedeli, a condizione che venissero rispettate alcune misure precauzionali, come il mantenimento della distanza di sicurezza, l’uso della mascherina, l’igienizzazione delle mani. Un altro principio essenziale tipico della materia religiosa sul quale è stato necessario porre l’attenzione proprio durante il periodo dell’emergenza Covid-19 è quello della bilateralità pattizia, sancito dalla Costituzione agli art. 7, comma 2, e 8, comma 3, Cost. Le norme in questione stabiliscono che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi, mentre quelli con le altre confessioni religiose sono regolati mediante delle intese tra le relative rappresentanze. Ciò significa che l’intesa costituisce uno strumento essenziale per la disciplina dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica, ma non obbligatorio; le organizzazioni religiose non sono tenute a stipulare questo tipo di accordi, fermo restando che, se non lo fanno, restano soggette alla sola disciplina dei cosiddetti “culti ammessi” (l. n. 1159/1929), la quale riconosce i culti diversi da quello cattolico, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume. Le restrizioni alla libertà religiosa introdotte durante l’emergenza da Covid-19 hanno sollevato perplessità anche per quanto riguarda la loro conformità o meno al principio di bilateralità pattizia.
Da questo punto di vista, bisogna tener presente anche il fatto che la nostra Costituzione, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, non contiene una disciplina generale sul concetto di emergenza, quindi non detta una regolamentazione specifica dei criteri da seguire in situazioni di questo tenore. Gli unici riferimenti espressi sono quelli relativi alle condizioni che legittimano l’adozione di decreti-legge e allo Stato di guerra, ma naturalmente le emergenze possono essere anche di diverso tipo; è proprio a causa di questa lacuna che sono state riscontrate le maggiori difficoltà nel gestire l’epidemia da Covid-19. La situazione è migliorata nella seconda fase della pandemia, grazie al ricorso alla cosiddetta “procedura negoziata”: l’Esecutivo, prima di introdurre restrizioni alla libertà di culto degli individui, ha avviato delle negoziazioni con le parti sociali interessate – tra cui anche le comunità di fede – per giungere alla stipula di vari accordi e protocolli, in modo tale da garantirne una partecipazione attiva. Uno di questi accordi è stato, ad esempio, il Protocollo per la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo, stipulato il 7 maggio 2020 tra il Ministero dell’Interno e i rappresentanti della Conferenza Episcopale Italiana, con il quale si è deciso di consentire la ripresa delle celebrazioni religiose con la partecipazione dei fedeli, a condizione che venissero rispettate alcune misure precauzionali, come il mantenimento della distanza di sicurezza, l’uso della mascherina, l’igienizzazione delle mani. Un altro principio essenziale tipico della materia religiosa sul quale è stato necessario porre l’attenzione proprio durante il periodo dell’emergenza Covid-19 è quello della bilateralità pattizia, sancito dalla Costituzione agli art. 7, comma 2, e 8, comma 3, Cost. Le norme in questione stabiliscono che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi, mentre quelli con le altre confessioni religiose sono regolati mediante delle intese tra le relative rappresentanze. Ciò significa che l’intesa costituisce uno strumento essenziale per la disciplina dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica, ma non obbligatorio; le organizzazioni religiose non sono tenute a stipulare questo tipo di accordi, fermo restando che, se non lo fanno, restano soggette alla sola disciplina dei cosiddetti “culti ammessi” (l. n. 1159/1929), la quale riconosce i culti diversi da quello cattolico, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume. Le restrizioni alla libertà religiosa introdotte durante l’emergenza da Covid-19 hanno sollevato perplessità anche per quanto riguarda la loro conformità o meno al principio di bilateralità pattizia.