La vicenda giudiziaria, di cui si è occupata la Suprema Corte, traeva origine dall’azione di risoluzione per inadempimento di un contratto di vitalizio alimentare proposta da una donna nei confronti della nipote. Attraverso la stipula di un contratto atipico di vitalizio alimentare, infatti, la donna aveva ceduto la nuda proprietà della propria abitazione alla nipote, in cambio del mantenimento e dell’assistenza vita natural durante da parte di quest’ultima. La vitaliziata, tuttavia, citava in giudizio la nipote ritenendola inadempiente, in quanto l’obbligo di mantenimento da lei assunto, in realtà, era stato adempiuto dalla madre, figlia della parte attrice.
La Corte d’Appello adita, ribaltando il verdetto emesso in primo grado, rigettava la domanda di risoluzione del contratto.
Secondo la Corte territoriale, infatti, il fatto che l’obbligata fosse stata sostituita dalla madre nell’adempimento dell’obbligo assunto, non costituiva un inadempimento dello stesso, considerato che il fatto che la madre dell’obbligata fosse la figlia dell’attrice, faceva si che il contenuto della prestazione restasse il medesimo.
Gli stessi giudici d’Appello, inoltre, evidenziavano come, nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’inadempimento del vitaliziante non potesse dirsi sufficientemente provato sulla base delle dichiarazioni testimoniali.
Nel frattempo, la vitaliziata veniva a mancare e i figli proponevano ricorso in Cassazione avverso la sentenza pronunciata in secondo grado.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, non condividendo la decisione della Corte d’Appello, per cui la sostituzione delle due donne nello svolgimento delle prestazioni assistenziali non avrebbe costituito inadempimento, e ha precisato come ciò contrasti con il principio di infungibilità del vitalizio, che ha origine dalla sua stessa natura di contratto intuitu personae. Né si può ritenere che tale infungibilità sia stata derogata dalle parti, in quanto il contratto da loro stipulato non prevedeva alcuna previsione in tal senso.
Sempre secondo il parere dei giudici di legittimità, la sentenza impugnata è errata anche nella parte in cui ha ritenuto che l’onere di provare l’inadempimento del vitaliziante gravi sul vitaliziato.
Si è, pertanto, chiarito che, in merito alla prova dell’inadempimento, qualora il beneficiario di prestazioni assistenziali, previste come corrispettivo della cessione di un immobile, agisca per ottenere la risoluzione del contratto, egli dovrà provare soltanto l’esistenza del negozio, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte. Graverà, invece, su quest’ultima l’onere di provare il suo adempimento.